tratto da mauriziolucca.com
Determinazione del valore a base d’asta di una concessione di impianti sportivi
La sez. VII del T.A.R. Campania, Napoli, con la sentenza n. 2706 del 21 maggio 2019, interviene sulla corretta determinazione dell’importo da porre a base d’asta (superiore alla soglia comunitaria di € 636.788,44) in una concessione non potendosi limitare al solo importo concessorio (inferiore alla soglia comunitaria di € 32.000).
La questione, nella sua sinteticità, riguarda l’impugnazione (di un già affidatario e unico concorrente alla gara) di un annullamento d’ufficio di una procedura di selezione del concessionario della gestione di un campo sportivo per la durata di anni quattro.
Tra i motivi del ricorso:
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l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, in particolare, delle ragioni di interesse pubblico, l’omessa considerazione dell’affidamento del privato e la partecipazione;
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l’aver investito ingenti risorse nelle attività preparatorie ed organizzative per la partecipazione ai vari campionati per l’anno sportivo 2018/2019, oltre a quelle destinate ai lavori di manutenzione dell’impianto.
Ora come sia possibile investire risorse private in ambito pubblico e pretendere una sorta di “diritto di insistenza”, quando semmai si dovrebbe osservare il “principio di rotazione” degli affidamenti è una questione che potrebbe innescare altre valutazioni sotto piani diversi dalla mera aspettativa o legittimo affidamento.
Il c.d. diritto di insistenza, conferito ad es. dall’art. 37 cod. nav., in favore del titolare della concessione demaniale marittima in scadenza, in occasione del suo rinnovo, non può considerarsi tale da determinare sempre e comunque la prevalenza dell’insistente rispetto agli altri eventuali concorrenti, che abbiano prodotto regolare istanza di concessione in relazione agli stessi spazi demaniali, non potendo tale previsione normativa, secondo un’interpretazione conforme ai principi di concorrenzialità di derivazione comunitaria, essere intesa come un meccanismo capace di elidere ogni confronto concorrenziale tra più istanze in competizione[1].
Per altri versi, si dovrebbe riflettere il principio della “tutela del legittimo affidamento” nell’operato della Pubblica Amministrazione in circostanze diverse (e non per invocare un nuovo riaffidamento), essendo noto che tale principio investe un ruolo centrale in ambito europeo, sia dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea[2] e sia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo[3], e in ambito nazionale, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3 e 97 Cost., immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, costituendo uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa ed amministrativa[4].
In punto di diritto il ricorso è infondato: il Tribunale non è favorevole alla doglianza del ricorrente secondo la quale «l’unico fattore su cui possa basarsi il valore della concessione sia quello del canone di concessione, mentre considera meramente ipotetici quelli sulla base dei quali è stato calcolato il fatturato indicato nel provvedimento gravato».
La norma di riferimento dell’art. 8, comma 2, della direttiva 2014/23/UE stabilisce che «Il valore di una concessione è costituito dal fatturato totale del concessionario generato per tutta la durata del contratto, al netto dell’IVA, stimato dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore, quale corrispettivo dei lavori e dei servizi oggetto della concessione, nonché per le forniture accessorie a tali lavori e servizi. Tale valore stimato è valido al momento dell’invio del bando».
Inoltre, il comma 3 del cit. articolo dispone che il valore della concessione deve essere calcolato secondo un metodo oggettivo specificato nei documenti della concessione, indicando poi la norma gli stessi elementi di valutazione, al fine di consentire alle imprese di poter verificare anche i criteri utilizzati dalla stazione appaltante per la sua commisurazione[5].
In particolare dei seguenti elementi:
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«il valore di eventuali forme di opzione e di eventuali proroghe della durata della concessione;
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gli introiti derivanti dal pagamento, da parte degli utenti dei lavori e dei servizi, di tariffe e multe diverse da quelle riscosse per conto dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore;
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i pagamenti o qualsiasi vantaggio finanziario conferito al concessionario in qualsivoglia forma dall’amministrazione aggiudicatrice o dall’ente aggiudicatore o da altre amministrazioni pubbliche, incluse le compensazioni per l’assolvimento di un obbligo di servizio pubblico e le sovvenzioni pubbliche di investimento;
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il valore delle sovvenzioni o di qualsiasi altro vantaggio finanziario in qualsivoglia forma conferiti da terzi per l’esecuzione della concessione;
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le entrate derivanti dalla vendita di elementi dell’attivo facenti parte della concessione;
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il valore dell’insieme delle forniture e dei servizi messi a disposizione del concessionario dalle amministrazioni aggiudicatrici o dagli enti aggiudicatori, purché siano necessari per l’esecuzione dei lavori o la prestazione dei servizi;
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ogni premio o pagamento ai candidati o agli offerenti».
Il contenuto di tale norma è stato trasposto, senza significative differenze per soglie o applicabilità o di una qualche esenzione per le concessioni di minore valore economico, nell’art. 167 «Metodi di calcolo del valore stimato delle concessioni» del D.Lgs. n. 50/2016, dal cui contenuto si desume in maniera inequivocabile che il valore della concessione non può essere parametrato sic et simpliciter all’importo del canone concessorio, costituendo un precetto vincolante.
Il valore della concessione non può essere computato con riferimento al c.d. “ristorno” e cioè al costo della concessione, che è un elemento del tutto eventuale, ma deve essere calcolato sulla base del fatturato generato da parte degli utenti del servizio concessionato: la correttezza di detto criterio di calcolo risulta confermata dalla previsione contenuta nell’art. 8, comma 2 e comma 3 della Direttiva 2014/23/UE recepita nell’art. 167 del D.Lgs. n. 50/2016[6].
Stesse considerazioni, ai sensi del previgente D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, dove la giurisprudenza si è consolidata nel fornire un’interpretazione delle norme conforme al diritto europeo, escludendo anche nell’assetto anteriore che il valore della concessione potesse essere riconnesso sic et simpliciter all’importo del canone concessorio[7].
Già in un precedente, lo stesso T.A.R. Napoli[8] constatò l’illegittimità di bando di gara che non aveva dato applicazione alla previsione dell’art. 167, comma 1 e 2 del D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, che impone, anche con riferimento alle concessioni, l’inserimento nella lex specialis della procedura, del valore di una concessione; né tale omissione può essere ovviata mediante la sola indicazione del canone di concessione.
Invero, l’indicazione del valore stimato della concessione non può nemmeno essere surrogata dalla stima del numero dei possibili utenti, giacché l’art. 167 cit. opera un preciso riferimento ad un valore della concessione stimato in termini monetari, secondo i precisi criteri di cui al quarto comma della disposizione, ed appare, pertanto, del tutto insufficiente l’utilizzazione di altri criteri di valutazione che, per di più non possono strutturalmente individuare quale sia il numero concreto di utenti interessati ad utilizzare il servizio e per quale volume di prestazioni[9].
Il quadro delineato porta a concludere sulla correttezza dell’autotutela operata dal Comune per aver preso a riferimento nel calcolo della concessione da porre a base d’asta unicamente il canone concessorio annuo, risultando certo contra ius.
Il Tribunale prosegue, poi, analizzando la costruzione normativa dell’annullamento di ufficio, quale potere di secondo grado di cui l’Amministrazione ha inteso fare esercizio, rilevando il rispetto della norma dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990:
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la prescrizione sulla competenza interna risulta corretta, avendo adottato l’atto lo stesso organo che ha provveduto in primo grado;
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l’onere motivazionale delle ragioni di illegittimità della procedura di gara sono state esplicitate, ossia l’errato calcolo dell’importo posto a base d’asta in quanto riferito al solo canone annuo (con conseguente violazione degli art. 35 ss. D.Lgs. 50/2016);
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l’osservanza del termine di 18 mesi intercorrente tra i provvedimenti di primo e secondo grado, in presenza di statuizioni attributive di vantaggi economici non è stato violato;
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la ponderazione degli interessi opposti (il c.d. affidamento) depone per una prevalenza dell’interesse pubblico volto al recupero di una condizione di legittimità, quale quella di porre rimedio ad una violazione di legge («a tanto deve ritenersi che abbia inteso provvedere il Comune agendo in autotutela»).
Con riferimento alla presunta violazione delle regole partecipative, per l’asserita genericità della comunicazione di avvio del procedimento inviato dall’Amministrazione, si osserva che l’annullamento adottato in autotutela non poteva avere contenuto dispositivo diverso, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, della Legge n. 241/1990: rispetto a tale quadro decisionale, nessun apporto che avrebbe potuto condizionare diversamente l’Amministrazione nelle sue decisioni poteva fornire la società ricorrente aggiudicataria, rilevando che sotto profilo sostanziale il potere di autotutela è pienamente giustificabile, poiché connesso ad un evidente situazione di illegittimità e all’interesse pubblico ad assicurare lo svolgimento della procedura di affidamento della concessione nel rispetto della legge.
In modo più puntuale, va rimarcata l’essenzialità ed obbligatorietà dell’indicazione nel bando di gara del valore della concessione in tutte le sue componenti, al fine di garantire al partecipante alla procedura la possibilità di formulare la propria offerta cognita causa, ovvero nella più completa conoscenza dei dati economici del servizio da svolgere[10].
Il quadro delineato porta a disvelare che – in relazione ad un’illegittimità dell’azione amministrativa (violazione di legge) – è doveroso procedere in autotutela al fine di ripristinare le regole del diritto, specie in un determinato campo degli affidamenti (impianti sportivi) dove, accanto all’attività ricreativa, si possono generare una molteplicità di introiti economici, e il valore della concessione non può essere valutato al solo canone, magari per limitare la concorrenza o (ri)affidare (senza gara) i beni pubblici (alterando inesorabilmente un elemento essenziale del negozio, il quantum)[11].
[1] Cons. Stato, sez. VI, 26 maggio2011, n. 3160; sez. V, 31 maggio 2007, n. 2825.
[2] CGUE, vedi, per tutte la sentenza 17 ottobre 2018, C-167/17, punto 51; sentenza 14 ottobre 2010, C 67/09, punto 71.
[3] CEDU, vedi, per tutte la sentenza 28 settembre 2004, Kopecky c. Slovacchia; sentenza 13 dicembre 2013, Bélàné Nagy c. Ungheria.
[4] In base all’art. 97 Cost., la P.A. è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento, Cass. Civ, sez. Unite, ordinanza 13 maggio 2019, n. 12640. Vedi, anche, Cass., 17 aprile 2013, n. 9308; Cass., 24 maggio 2017, n. 12991; Cass., 2 febbraio 2018, n. 2603.
[5] Risulta essenziale ed obbligatoria l’indicazione nel bando di gara del valore della concessione, e del sistema di determinazione, al fine di garantire al partecipante alla procedura la possibilità di formulare la propria offerta cognita causa, ovvero nella più completa conoscenza dei dati economici del servizio da svolgere, T.A.R. Piemonte Torino, sez. I, 17 maggio 2018, n. 622.
[6] Cons. Stato, sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4343, dove si precisò anche che il valore della concessione non può essere ancorato ad un parametro – quello del canone di concessione – non rispondente alla previsione normativa, del precedente art. 29 del D.Lgs. n. 163/2006, né può ritenersi che la stima del fatturato possa essere demandata al concorrente anziché all’Amministrazione, né che possa essere desunta sulla base degli elementi contenuti nel capitolato speciale.
[7] Cons. Stato, sez. III, 14 giugno 2017, n. 2926, che rilevò come la stima del fatturato non possa essere demandata al concorrente, essendo un dovere riservato alla stazione appaltante, non potendo nemmeno ridursi al solo fatturato del precedente gestore.
[8] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 28 settembre 2017, n. 5596, ove si precisò anche che la previsione è vincolante e costituisce recepimento, nell’ordinamento italiano, dell’art. 8 della Direttiva n. 2014/23/UE, senza alcuna statuizione (ed in questo è una significativa differenza con la direttiva comunitaria) di soglie minime di applicabilità o di una qualche esenzione per le concessioni di minore valore economico. Idem T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 14 febbraio 2017, n. 239.
[9] T.A.R. Toscana, Firenze, sez. II, 1 febbraio 2017, n. 173.
[10] T.A.R. Piemonte, sez. I, 17 maggio 2018, n. 622; Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2017, n. 748; sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4343.
[11] Cfr. Autorità garante della concorrenza e del mercato, Determinazione del 4 giugno 2018, n. AS1520 (Bollettino n. 26/2018), dove a commento, chi scrive, Proroga della concessione per la gestione di impianti sportivi, appalticontratti.it, 23 novembre 2018, si rilevava che l’applicazione delle procedure ad evidenza pubblica risulta preordinata soprattutto ad assicurare la piena contendibilità del mercato e la parità di trattamento di tutti gli operatori economici interessati, mentre la proroga nella sua essenzialità di modifica delle condizioni negoziali produce, in ogni caso, l’effetto di chiudere il mercato alla concorrenza e frustrare, per tale via, una delle finalità cui è volta la normativa di matrice comunitaria: la concorrenza, sinonimo di trasparenza, principio base del Codice dei contratti pubblici, volto ad evitare ogni restrizione che comprometta l’apertura del mercato.
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