tratto da luigioliveri.blogspot.com
Quando le “diffide” sindacali scadono nel grottesco: i buoni pasto nel lavoro agile
 
Molte amministrazioni pubbliche hanno ricevuto in questi giorni “diffide” dalle organizzazioni sindacali, finalizzate alla “corretta attuazione” dell’articolo 87 del d.l. 18/2020.
 
Particolarmente significativa è quella della Cisl-Funzione pubblica della Campania, che si sofferma specificamente sul presunto diritto del lavoratore disposto in lavoro agile a fruire del buono pasto.
Ecco il passaggio della “diffida”: “la scrivente O.S., ritiene che la corresponsione dell’indennità sostitutiva per mancato servizio di mensa debba essere legittimamente riconosciuto ai lavoratori posti in lavoro agile. A tal proposito la Scrivente ricorda altresì, che: ai sensi e per gli effetti dell’art. 20 della Legge 81/2017: “Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”; che le linee guida della Funzione Pubblica in merito al lavoro agile non precludono la possibilità di elargizione del buono pasto, ma lo rimandano agli accordi aziendali di secondo livello, cosa che data la condizione di emergenza non possono essere contrattati, pertanto la legge n.18/2020, in quanto fonte normativa di rango superiore, decide, e ne preclude l’attribuzione al solo caso di esenzione dal servizio”.
Gli errori di impostazione ed interpretazione della “diffida” sono talmente tali, profondi e tanti da far scadere nel grottesco, una sia pur lecita azione volta al tentativo di tutelare i lavoratori. Azione che meriterebbe meditate forme di confronto, non scriteriate “diffide” prive di fondamento.
Andiamo al primo punto, ove si afferma che occorrerebbe corrispondere l’indennità sostitutiva di mensa ai lavoratori agili. La “diffida”, in effetti, prima parla dell’indennità sostitutiva della mensa e poi del buono pasto (come emerge dalle parole in grassetto), come fossero la stessa cosa o equivalenti.
Peccato che non sia affatto così. L’indennità sostitutiva della mensa è un elemento della retribuzione, interamente soggetta a contribuzione fiscale e previdenziale. Il buono pasto non fa per nulla parte della retribuzione e non è soggetto a contribuzione, entro determinati limiti di valore.
Dovrebbe essere noto, poi, che ai sensi dell’articolo 40 del d.lgs 165/2001, spetta alla contrattazione nazionale collettiva disciplinare il trattamento economico dei dipendenti pubblici. Quindi, l’indennità sostitutiva della mensa, per spettare in astratto, dovrebbe essere regolata e prevista dalla contrattazione collettiva nazionale. Un altro peccato: nel comparto Funzioni locali la contrattazione collettiva nazionale non prevede per nulla tale indennità sostitutiva.
Gli articoli 45 e 46 del Ccnl 14.9.2000, ancora vigenti, rispettivamente regolano la mensa aziendale o il buono pasto. Non l’indennità sostitutiva della mensa.
Andiamo, in secondo luogo, alle linee guida della Funzione Pubblica in merito al lavoro agile. La Direttiva 3/2017 della Funzione Pubblica, alla questione dedica, nell’ambito del capitolo dedicato alle relazioni sindacali, le seguenti parole: “eventuali riflessi sull’attribuzione del buono pasto”.
Il lavoro agile, quindi, per espressa laconica indicazione delle invocate “direttive” della Funzione Pubblica considerano la possibilità di attribuire il buono pasto al lavoratore agile solo in via eventuale. Il che conferma: non esiste alcun diritto al buono pasto per il lavoratore agile.
Anche perché, si dimentica che, sia la mensa, sia l’erogazione del buono pasto, a loro volta né sono un diritto del lavoratore, né un obbligo per il datore. L’articolo 45, comma 1, del Ccnl 14.9.2000 è chiarissimo, sul punto: “Gli enti, in relazione al proprio assetto organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire mense di servizio o, in alternativa, secondo le modalità indicate nell’art. 46, attribuire al personale buoni pasto sostitutivi, previo confronto con le organizzazioni sindacali”. Gli enti “possono” istituire mensa o erogare buoni pasto. Non “debbono”.
C’è, poi, un “rinvio” delle direttive di Palazzo Vidoni ad accordi aziendali di secondo livello? No, E non potrebbe esservi. Per una ragione semplicissima: stabilire quali siano le relazioni sindacali e quali le loro materie è competenza che la legge (sempre l’articolo 40 del d.lgs 165/2001) riserva in via esclusiva solo ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Il Ccnl 21.5.2018, all’articolo 7, ove si disciplinano le materie di contrattazione, quelle che consentono gli “accordi di secondo livello” non cita per nulla la questione dell’erogazione dei buoni pasto. Dunque, essa non costituisce materia di contrattazione e di accordi sindacali di secondo livello: né in periodo emergenziale, né in tempi normali. L’articolo 45 del Ccnl 14.9.2000, per parte sua, come visto parla di “confronto” con le organizzazioni sindacali: relazione che non produce alcun accordo, come ben noto.
Sulla presunta possibilità, poi, che il buono pasto sia dovuto al lavoratore agile in quanto la “legge” 18/2020 (terzo peccato: è un decreto legge, ma non stiamo a sottilizzare) esclude espressamente l’indennità sostitutiva di mensa ai soli lavoratori esonerati dal servizio, tale idea è, a sua volta, ovviamente, totalmente priva di qualsiasi fondamento. Sia perché la legge si riferisce ad un istituto, l’indennità sostitutiva della mensa, che nell’ambito degli enti locali non esiste. Sia perché da una previsione speciale che precluda a chi per legge sia esentato dalla prestazione lavorativa, non si può certo, a contrario, desumere un’indicazione generale di spettanza dei buoni pasto per ogni altro lavoratore.
Al di là delle facili deduzioni alle infondate ragioni della “diffida”, si deve osservare che al lavoratore agile dell’ordinamento locale non spetta il buono pasto, in via generale, per una ragione assolutamente ovvia: questo “benefit” è evidentemente connesso al disagio che affronta il lavoratore obbligato a rendere la propria prestazione in un orario comprensivo della fisiologica pausa nutritiva in un luogo, la sede di lavoro, diverso da quello della propria abitazione, nel quale non può trovare quanto necessario per rifocillarsi. Per questo, discipline normative e contrattuali consentono ai datori di organizzare mense aziendali o di rifondere, con l’indennità di mensa, la spesa affrontata dal lavoratore costretto a rifocillarsi nella pausa per il pranzo presso ristoratori, o di fornire i buoni pasto, sempre al medesimo scopo di alleviare la spesa che il lavoratore affronta presso ristoratori, invece di mangiare a casa propria.
E’ chiaro che laddove il lavoratore sia disposto in lavoro agile, viene a mancare il presupposto stesso del sinallagma che sta alla base della possibilità di fruire della mensa, dell’indennità sostitutiva di essa o del buono pasto: l’obbligo di prestare l’attività lavorativa nella sede di lavoro, per un orario che avvolga anche la pausa pranzo.
Il lavoro agile fa mancare il presupposto sinallagmatico non solo per ragioni logistiche, ma anche di orario. Lo smart worker, infatti, non è obbligato a rendere la propria prestazione entro un segmento definito ed inviolabile orario “dalle… alle…”; può, invece, autonomamente distribuire la prestazione oraria spezzandola, adeguandola ad esigenze organizzative anche proprie.
Manca del tutto, quindi, una ratio perché possa giustificarsi il buono pasto. A meno che, ed è questa la sola “evenutalità” che, come ha indicato la direttiva 3/2017 della Funzione pubblica, si può prendere in considerazione, il lavoro agile non sia svolto solo a casa, ma anche in altre sedi, che rendano non raggiungibile l’abitazione mentre si renda la prestazione. In questo caso, quindi, gli specifici accordi individuali (non collettivi decentrati) possono anche permettere la fruizione del buono pasto.
Ma non è certo il caso specifico dello smart working dovuto all’emergenza Covid-19, che, come ritenuto da accorta dottrina (Vito Antonio Bonanno, “Alcune note sull’organizzazione del lavoro pubblico da parte dei dirigenti in vigenza dalla normativa di contrasto all’emergenza epidemiologica da COVID-19”) è piuttosto un “home working”, perché deve essere svolto da casa, allo scopo di garantire il distanziamento sociale, come misura principale di contrasto al contagio.
La funzione delle organizzazioni sindacali è fondamentale in ogni fase della riorganizzazione del lavoro. Il loro contributo, prezioso. Le idee ed i suggerimenti irrinunciabili. Le “diffide” proposte da teste di ariete volte solo alla conflittualità non pare possano e debbano avere troppo spazio.

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