un articolo di Luigi Oliveri tratto da FB

Il potere datoriale di imporre le ferie d’ufficio

di Luigi Oliveri

Nella fase d’emergenza per la lotta al contagio da coronavirus, appare oggettivamente paradossale il dibattito sulla collocazione o meno in ferie, anche del 2020 e d’ufficio, dei dipendenti, dal momento che le ferie sono uno degli strumenti necessari a garantire l’attuazione della principale misura anti contagio: il distanziamento sociale.

Contro l’evidenza che occorre attivare ogni strumento capace di tenere lontani i lavoratori dai luoghi di lavoro sulla base di un titolo legittimo che ne garantisca l’intera retribuzione, molti sindacati hanno attivato un fuoco di fila, volto alla “conservazione” delle ferie, ambiguamente riferito alle ferie 2020, ma sotto sotto rivendicante una sorta di diritto all’accumulazione e conservazione ad libitum di quante ferie sembri opportuno al lavoratore.

Non sembrerebbe che nell’emergenza attuale una lotta per la conservazione delle ferie abbia molto senso, specie nel momento in cui si rende sempre più evidente il prolungarsi piuttosto ampio dell’emergenza nel corso dell’anno, tale da rendere poco realistica la prospettiva di fare le ferie secondo le abitudini del tempo passato, quel tempo nel quale le nostre scelte non erano condizionate dal coronavirus.

Non di meno, è evidente che ciascuno può approcciarsi individualmente al futuro, in modo più o meno ottimistico. Quel che appare meno evidente è l’opportunità di sollevare conflitti sul tema della fruizione delle ferie, come strumento, si ribadisce, di contrasto al contagio.

In prima analisi, non può non destare meraviglia la circostanza che diversi sindacati stiano alzando barricate non nei confronti di datori pubblici che cerchino di far fruire le ferie, ma, all’opposto, per non farle espletare!

In ogni caso, certamente non ha aiutato ad affrontare con la necessaria freddezza d’animo la previsione contenuta nell’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020, laddove, sciaguratamente, si è affermato semplicemente l’ovvio qualificando il sostantivo “ferie” con l’aggettivo “pregresse”.

Certo, il legislatore ha indicato l’ovvio. E’ del tutto scontato, naturale, necessario, obbligatorio, emergenza o non emergenza, che i lavoratori, tutti, siano in lavoro agile, siano, invece tra quelli che non possano essere adibiti a funzioni essenziali da svolgere in presenza né possano essere disposti in lavoro agile, debbano fruire di tutte le ferie entro l’anno e quindi esaurire le ferie arretrate.

Dispone l’articolo 28, comma 9, del Ccnl 21.5.2018 del comparto Funzioni locali: “Le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili. Esse sono fruite, previa autorizzazione, nel corso di ciascun anno solare, in periodi compatibili con le esigenze di servizio, tenuto conto delle richieste del dipendente”.

Dunque, il precetto fondamentale è: fruire di tutte le ferie spettanti nell’anno solare, entro l’anno solare. Aggiunge il successivo comma 15: “In caso di motivate esigenze di carattere personale e compatibilmente con le esigenze di servizio, il dipendente dovrà fruire delle ferie residue al 31 dicembre entro il mese di aprile dell’anno successivo a quello di spettanza”.

La formazione di ferie “pregresse”, quindi, costituisce un’eccezione al precetto fondamentale. La regola è esaurirle tutte e a questo serve la programmazione annuale richiesta dall’articolo 2109 del codice civile.

La mancata fruizione di tutte le ferie spettanti nell’anno solare entro l’anno solare, come si nota, è oltre tutto condizionata da esigenze personali che vanno “motivate”: è lasciata alla discrezionalità del datore di lavoro, quindi, valutare se sia possibile un rinvio delle ferie del lavoratore. Ed è implicito che questi debba comunicare molto per tempo la sussistenza delle esigenze personali sulla base delle quali consentire la fruizione oltre l’anno solare.

Quindi, l’accumulo delle ferie “pregresse”, come è facilissimo notare dall’esame delle norme vigenti, non è né un diritto del lavoratore, né una prassi accettabile. La formazione di cumuli di decine e decine di giorni di ferie arretrate, che tuttavia si osserva in maniera troppo diffusa, è, conseguentemente, indice di continue violazioni normative e contrattuali, cagionate tanto dal datore quanto dal lavoratore ed indice certo di un’azione gestionale del datore distratta e male organizzata.

Quindi, non appare per nulla un’idea particolarmente originale quella contenuta nell’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020, ove si indica di far precedere l’eventuale esonero dei lavoratori non utilizzabili per attività indifferibili da rendere in presenza né collocabili in lavoro agile, a tutti gli strumenti possibili posti a giustificare assenze retribuite dal servizio, tra cui le ferie pregresse. E’ un’affermazione assolutamente pleonastica.

Che, tuttavia, se letta da chi ha interesse solo a coltivare conflitti o a fare lotte di retroguardia, ed è abituato a leggere le norme non inquadrandole in un contesto ordinamentale coerente, ma estrapolandole dal contesto sì da vederle nella sola parte atomizzata che possa essere utilizzata per un ragionamento sofistico a proprio uso e consumo.

Infatti, alcune “truppe d’assalto” sindacali propongono una lettura totalmente distorta della norma, per trarre da essa la conclusione che alle amministrazioni pubbliche sia precluso collocare in ferie d’ufficio i dipendenti pubblici. E fanno leva su un’altra ingenua quanto inopportuna Faq della Funzione Pubblica, la n. 5 del sito: http://www.funzionepubblica.gov.it/lavoro-agile-e-covid-19/faq: “Per ricorrere all’istituto dell’esenzione dal servizio previsto dall’articolo 87 del d.l. 18/2020, tra i presupposti, occorre verificare l’assenza delle ferie pregresse relative all’anno 2019? Si, nonché degli altri strumenti alternativi fissati dalla norma. Per ferie pregresse si intendono quelle del 2019 o precedenti”.

Ma va? Per ferie “pregresse” si intendono quelle precedenti? Per qualcuno è una “scoperta”. Dalla quale, come detto, traggono la conclusione, completamente priva di correlazione, secondo la quale siccome la norma prevede la fruizione delle ferie pregresse, allora solo quelle il datore di lavoro può imporre.

Conclusione del tutto priva di fondamento e di utilità, alla luce di quanto visto prima: le ferie pregresse, in astratto, nemmeno dovrebbero esistere e comunque il loro azzeramento è un obbligo per tutti i lavoratori, a prescindere dall’articolo 87, comma 3, del d.l. 18/2020.

E che le ferie possano (e in alcuni casi, come un’emergenza qual è purtroppo quella nella quale siamo coinvolti, debbano) essere disposte d’ufficio, adottate le cautele necessarie, è perfettamente noto ed ammesso da larghissima giurisprudenza. A partire dalla Corte di Giustizia Ue Sezione X, del 20 luglio 2016 (causa C-341/15): “l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, come interpretato dalla Corte, non assoggetta il diritto a un’indennità finanziaria ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui tale rapporto è cessato;

– ne consegue, conformemente all’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88, che un lavoratore, che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute”.

Il datore, quindi, ha il dovere di far godere al lavoratore tutte le ferie annuali. Tutte. Come e quando? “Nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro”, risponde l’articolo 2109, comma 2, del codice civile. “Compatibilmente con le esigenze del servizio, il dipendente può frazionare le ferie in più periodi. Esse sono fruite nel rispetto dei turni di ferie prestabiliti, assicurando comunque, al dipendente che ne abbia fatto richiesta, il godimento di almeno due settimane continuative nel periodo 1 giugno – 30 settembre”, specifica l’articolo 28, comma 12, del Ccnl 21.5.2018.

Dunque, il diritto alle ferie va armonizzato sempre e comunque con le esigenze dell’impresa, che altro non sono se non le esigenze di servizio.

Il datore ha un obbligo specifico: consentire al dipendente, che però deve chiederlo, di godere delle ferie per due settimane consecutive tra l’1.6 e il 30.9. Negli altri periodi dell’anno non può esservi dubbio che le ferie sono da programmare in modo che siano effettuate, tutte, non solo in considerazione di utilità specifiche del lavoratore, ma anche di esigenze di servizio.

Non è da dubitare che tra le esigenze del datore di lavoro vi siano anche periodi di “chiusura aziendale”, connesse ad esigenze produttive oppure organizzative: basti pensare ai periodi delle prime settimane di agosto o alle festività natalizie. In queste circostanze, imprese e anche enti che non siano tenuti a svolgere attività, decidono di chiudere e le ferie dei lavoratori non possono che essere in funzione di queste chiusure “forzate”. Sono ferie, quindi, certamente decise dal datore. Il lavoratore potrà avere margini di scelta maggiori per i restanti giorni disponibili.

La fattispecie delle ferie imposte dal datore, quindi, non è per nulla nuova, né strana, visto che le esigenze di servizio sono comunque una guida per la programmazione ed effettiva fruizione.

E d’altra parte l’Aran in merito alla possibilità di imporre d’ufficio le ferie non ha mai avuto dubbi, come nel parere Ral 1424: l’istituto delle ferie “non dipende, nelle sue applicazioni, esclusivamente dalla volontà del dipendente. L’art. 2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. L’art.2109 c.c. espressamente stabilisce che le ferie sono assegnate dal datore di lavoro, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore. L’applicazione di tale disciplina, pertanto, nel caso di inerzia del lavoratore o di mancata predisposizione del piano ferie annuale, consente all’ente anche la possibilità di assegnazione di ufficio delle ferie. Si veda, su tale materia, anche l’art.10, comma 2 del D.Lgs.n.66/2003”.

E c’è una norma di legge a deporre ulteriormente per l’immanenza di un potere datoriale di disporre ferie obbligatorie: è l’articolo 5, comma 8, del d.l. 95/2012, a mente del quale “Le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, nonché delle autorità indipendenti ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob), sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi”.

Sempre l’Aran nel parere Ral 1424 chiarisce: “le situazioni di accumulo nel tempo di diversi giorni di ferie non godute con conseguente richiesta di monetizzazione all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, devono considerarsi aspetti patologici della disciplina dell’istituto. Infatti, occorre ricordare che nella vigente regolamentazione, fermo restando la necessità di assicurare la fruizione del diritto da parte del dipendente, l’ente, in base, alle previsioni dell’art.18 del CCNL del 6.7.1995, è chiamato a governare responsabilmente l’istituto attraverso la programmazione delle ferie”.

E la giurisprudenza? Una sentenza che ha orientato da 20 anni la giurisprudenza indica: “il datore di lavoro nell’organizzare i turni di ferie: “…deve tenere conto anche degli interessi del prestatore di lavoro. In sostanza l’imprenditore deve organizzare il periodo delle ferie in modo utile per le esigenze dell’impresa, ma non ingiustificatamente vessatorio nei confronti del lavoratore e dimentico delle legittime esigenze di questi” (Sentenza – Sez. Lavoro n. 13980/2000)

Nel momento in cui il datore di lavoro pubblico è chiamato a riorganizzarsi, per altro in fretta e furia, per minimizzare la presenza in servizio dei propri dipendenti, è ben evidente che deve garantire “esigenze di impresa” tali da assicurare che i lavoratori stiano a casa, si ripete, utilizzando istituti che gli consentano di affiancare alla misura di distanziamento sociale (in assenza di altri strumenti, le ferie) anche il diritto alla percezione della retribuzione.

Ed è assolutamente chiaro che, poiché le ferie “pregresse” non dovrebbero nemmeno esistere e che la loro fruizione è necessitata non certo dall’emergenza coronavirus, bensì dalla corretta applicazione delle norme vigenti viste sopra, il datore pubblico dispone senz’altro del potere di organizzarsi prevedendo “chiusure” anche parziali ed individualizzate, tali da imporre le ferie al lavoratore, nelle more sia di una complessa e difficile da motivare scelta di esonero dal servizio (che non è per nulla automatica e scontata), o di modifica organizzativa, comprendente anche adibizione a mansioni equivalenti, allo scopo di una mobilità interna del lavoratore, utile per inserirlo magari in altre attività che possano essere svolte in lavoro agile rispetto a quelle oggetto del profilo e mansioni possedute.

Non può essere revocato in dubbio che, quindi, il datore può senz’altro imporre, per le motivazioni descritte, e quindi in modo assolutamente non vessatorio, la fruizione anche delle ferie del 2020, quanto meno con riferimento alle due settimane per le quali non debba garantire la fruizione consecutiva tra giugno e settembre. Qualsiasi rivendicazione diversa è solo miope ricerca di conflittualità, la cui inopportunità, in momenti simili, è all’evidenza di chiunque.

 

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