tratto da quotidianopa.leggiditalia.it - 26.09.2020
Contabilizzazione dell’anticipazione del prezzo contrattuale
di Cristina Montanari – Responsabile dell’Area Finanziaria-Tributi del Comune di Serramazzoni e Vicesegretario Comunale
Con il parere che si presenta, la Corte dei conti-Piemonte, giusta delibera 15 giugno 2020, n. 67, rispondendo al quesito di un Sindaco, formulato ai sensi dell’art. 7, comma 8, L. 5 giugno 2003, n. 131, si esprime in materia di contabilizzazione dell’anticipazione del prezzo contrattuale, ex art. 35, comma 18, D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oggi esteso anche ai contratti pluriennali di servizi e forniture.
Al riguardo, giova premettere che la richiamata norma dispone che l’appaltatore ha diritto a ricevere un’anticipazione del prezzo, pari al 20% del valore del contratto, a condizione che sia effettivamente iniziata “la prestazione”, e, specificatamente, “entro quindici giorni dall’effettivo inizio della prestazione”, e sia costituita una fidejussione pari all’importo corrisposto maggiorato dagli interessi legali calcolati in ragione dell’arco temporale programmato per l’adempimento; l’importo della garanzia viene gradualmente ed automaticamente ridotto nel corso della prestazione, in rapporto al progressivo recupero dell’anticipazione da parte delle stazioni appaltanti “secondo il cronoprogramma della prestazione”.
L’applicazione dell’istituto dell’anticipazione del prezzo contrattuale, mentre originariamente si riferiva soltanto agli appalti di lavori, con l’art. 1, comma 20, lett. g), n. 3, D.L. 18 aprile 2019, n. 32, convertito in L. 14 giugno 2019, n. 55, è stata estesa anche agli appalti di servizi e forniture, allo scopo di favorire le imprese; di recente, inoltre, e a seguito dell’emergenza epidemiologica da Covid-2019, il predetto istituto è stato ulteriormente ampliato:
– l’art. 91, comma 2, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, convertito con modificazioni dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, è intervenuto sull’art. 35, comma 18, D.Lgs. n. 50/2016, inserendo, dopo le parole “L’erogazione dell’anticipazione”, la seguente locuzione: “consentita anche nel caso di consegna in via d’urgenza, ai sensi dell’articolo 32, comma 8, del presente codice”; e ciò – si legge nella relazione governativa – al fine di “fugare dubbi interpretavi relativi alle disposizioni in materia di anticipazione del prezzo a favore dell’appaltatore”, assicurando, in tal modo, “immediata liquidità alle imprese anche nel caso di consegna anticipata per velocizzare l’inizio della prestazione appaltata”;
– l’art. 207, D.L. 19 maggio 2020, n. 34, come convertito dalla L. 17 luglio 2020, n. 77, con l’intento di garantire liquidità alle imprese appaltatrici, ha previsto che l’anticipazione contrattuale potrà essere elevata dal 20% al 30% anche per le procedure in corso al 19 maggio 2020 oltre che per le nuove gare fino al 30 giugno 2021 “nei limiti e compatibilmente con le risorse annuali stanziate per ogni singolo intervento a disposizione della stazione appaltante”.
A ben vedere, tuttavia, l’istituto dell’anticipazione del prezzo contrattuale ha origini remote (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 12, comma 6), ed ha subito, nel tempo, significative modifiche, fino a giungere alla conferma della sua piena operatività in seno al Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016, ove l’istituto ha trovato la sua naturale sedes materiae, attenendo alla fase dell’esecuzione del contratto d’appalto.
La finalità dell’anticipazione è, evidentemente, quella di consentire all’appaltatore di affrontare le spese iniziali necessarie all’esecuzione del contratto, dando così impulso all’iniziativa imprenditoriale; in particolare, si differenzia dall’acconto che, diversamente, costituisce singola tranche di pagamento nell’ambito dell’esecuzione dell’appalto pubblico.
Nel sistema vigente l’anticipazione, quando dovuta, costituisce vero e proprio diritto (soggettivo) dell’appaltatore e correlativo obbligo dell’Amministrazione, che deve quindi corrisponderla; trattandosi di pagamento dovuto, l’anticipazione non va formalmente richiesta dall’appaltatore anche se, per la sua effettiva corresponsione, occorre la collaborazione di quest’ultimo, atteso che la sua erogazione resta subordinata alla prestazione della garanzia da parte dell’appaltatore medesimo, e in mancanza non può concretamente essere pagata.
Per la dottrina, sia l’anticipazione del prezzo contrattuale immediatamente dopo l’effettivo inizio dei lavori, che il pagamento di rate di acconto sul prezzo in corso d’opera, costituiscono una sorta di mitigazione del “principio della postnumerazione” del corrispettivo d’appalto previsto dall’art. 1665 c.c. (che trova applicazione anche nei contratti d’appalto per la realizzazione di opere e lavori pubblici), e secondo cui il diritto dell’appaltatore di conseguire il pagamento del corrispettivo pattuito per la realizzazione dell’opera è esigibile a seguito dell’ultimazione dei lavori e dell’accettazione dell’opera da parte del committente, con la conseguenza che il credito dell’appaltatore al pagamento del prezzo dell’appalto diviene certo, liquido ed esigibile dopo il collaudo e l’accettazione dell’opera; come visto, detto principio viene temperato:
– dall’anticipazione all’inizio dell’esecuzione, per consentire all’appaltatore di disporre degli importi necessari per avviare il cantiere e farlo procedere regolarmente;
– dalla previsione del diritto dell’appaltatore di conseguire, nel corso dell’esecuzione dei lavori, pagamenti a titolo di acconto in ragione del loro avanzamento.
Dalla collocazione dell’istituto dell’anticipazione del prezzo contrattuale nell’ambito della materia del contratto di appalto e, precisamente, nella fase dell’esecuzione del contratto, con assimilazione all’acconto sul prezzo, nei termini sopra precisati, l’adito magistrato contabile fa derivare la conseguenza che l’anticipazione medesima vada contabilizzata in contabilità finanziaria come un acconto in conto lavori, servizi o forniture, imputandola agli stanziamenti riguardanti la spesa cui si riferisce, e, più precisamente, al Titolo II della spesa in caso di appalto di lavori o al Titolo I della spesa nel caso di acquisizione beni e servizi – e, in ogni caso, in coerenza con la natura di spesa di investimento o corrente dello specifico intervento -, negli stanziamenti previsti per la realizzazione dell’opera o per la fornitura dei beni e servizi; ciò, peraltro, escludendo che la stessa possa essere ritenuta un prestito all’appaltatore da contabilizzare come una concessione di crediti o in partita di giro: infatti, l’anticipazione deve intendersi quale acconto, considerato il richiamo, nel dettato normativo, all’inizio dei lavori e al volume degli stessi, in conto lavori, servizi o forniture, da contabilizzare in contabilità finanziaria imputandola agli stanziamenti riguardanti la spesa cui si riferisce, negli stanziamenti previsti per la realizzazione dell’opera o per la fornitura dei beni e servizi: e ciò in applicazione del principio contabile generale della prevalenza della sostanza sulla forma.
La Corte richiama, a conferma di tale assunto, la nozione di contratto di appalto ex art. 1655 c.c., il quale definisce l’appalto come “il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”, trattandosi, quindi, di un contratto a obbligazioni corrispettive: realizzazione di un’opera/prestazione di un servizio a fronte del pagamento di un corrispettivo; da tali considerazioni il giudice fa derivare, per quel che concerne l’eventuale acconto pagato dall’Ente al fine di consentire all’appaltatore di affrontare le spese iniziali necessarie all’esecuzione del contratto e, in particolare, circa la natura giuridica di tale anticipazione sul prezzo, che l’acconto altro non sia che una somma di denaro versata come anticipo sul prezzo di acquisto di un bene/erogazione di un servizio, e non certamente come una somma di denaro, slegata da una qualsiasi prestazione, che il committente presta all’appaltatore.
Lo stesso giudice ricorda come anche dal punto di vista fiscale, e in particolare ai fini IVA, alle operazioni in esame si applica il criterio indicato nell’art. 6, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in base al quale le anticipazioni di prezzo sono assoggettate a imposta: secondo tale disposizione, infatti, le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo (o dell’emissione della fattura se anteriore) e, se il corrispettivo è pagato in parte, l’operazione si considera effettuata limitatamente all’importo pagato. Anche in relazione a tale aspetto, dunque, emerge che l’erogazione dell’anticipo è strettamente legata all’esecuzione del contratto d’appalto, e non può essere considerata un prestito all’appaltatore da contabilizzare come una concessione di crediti o in partita di giro, ma un acconto in conto lavori, servizi o forniture, da contabilizzare in contabilità finanziaria imputandola agli stanziamenti riguardanti la spesa cui si riferisce.
Per la Corte dei conti, in conclusione, la stazione appaltante, non potendosi sottrarre all’obbligazione descritta, dovrà procedere ad un’attenta attività di programmazione complessiva in modo da garantire il corretto appostamento in bilancio secondo quanto previsto dalla disciplina illustrata.
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