28/03/2023 – Comparto funzioni locali: assunzioni ancora al palo, prosegue la decrescita dei dipendenti.

dicembre del 2022, in questo post, ci si produsse nella più facile delle profezie: la riforma dei concorsi avrebbe fatto flop e non sarebbe stata in grado di consentire nè il ringiovanimento, nè la crescita numerica, nè la crescita di competenze, della PA, pur strombazzate come obiettivi “conseguiti” con le riforme stesse.

Su NT+ del 22.3.2023, Gianni Trovati, scandagliando le evidenze del Conto annuale, nell’articolo “Pnrr, assunzioni flop negli enti locali: il personale scende anche nel 2022”, dà i numeri che confermano impietosamente la “profezia”.

Lungi dall’aumentare, il numero complessivo dei dipendenti dei comuni è calato dello 0,12%. Peggio ancora è accaduto negli ectoplasmi scaturiti dalla dissennata riforma Delrio, province e città metropolitane: la loro devastazione prosegue, anche con un bel 0,99% e 0,97% di dipendenti in meno.

Ma, il calo del numero dei dipendenti pubblici registrato dal Conto, è generalizzato e riguarda praticamente tutti i comparti. Insomma, tracce delle mirabilie scaturenti dalla riforma dei concorsi, non se ne vedono. Lo scrivemmo mesi fa nel post richiamato sopra, con parole perfettamente attuali anche oggi:  la poca efficacia nel reclutare continua a combinarsi con gli effetti deleteri di “quota 100”, che specie nel pubblico ha contribuito a velocizzare l’ulteriore uscita delle centinaia di migliaia di dipendenti che fino al prossimo anno continueranno a pensionarsi e facenti parte di quella “gobba” di 400.000 travet che tra il 2019 e il 2023 sarebbe andata in quiescenza. Mentre i pensionamenti corrono, le assunzioni languono.

Non c’è nessuna ragione per immaginare che nel 2023 le cose cambino. Anche perchè il papocchio del Piao e dei termini di approvazione rispetto al bilancio, ha comunque cagionato il deleterio effetto di spingere la programmazione, compresa quella delle assunzioni, a fine maggio, se tutto andrà bene. Ma, mentre i pensionamenti e le cessazioni dal servizio non aspettano Piao, Miao o Bau, le assunzioni sono precedute da una miriade di programmi, scadenze, pubblicazioni, provvedimenti e adempimenti che allungano a dismisura i tempi complessivi.Il tempo dell’assunzione non è solo quello del concorso, come quello degli appalti non è solo quello della gara.

E c’è da ricordare che la riforma dei concorsi, se ha davvero contribuito a contenerne la durata da anni a circa 150 giorni (per quei pochi concorsi che si sono potuti svolgere), ciò per gli enti locali è praticamente irrilevante. Salvo, infatti, casi da riflettori e media di concorsoni da tenere negli stadi, gestiti per anni da comuni enormi come Roma o simili, la gran parte degli enti locali è di media-piccola dimensione: i loro concorsi non ricevono oceani di candidature, anzi l’esatto contrario, e si potevano concludere in 3-4 mesi anche prima delle riforme attivate col d.l. 80/2021, i cui influssi, quindi, sono irrilevanti.

Pensare che il rimedio possa consistere nell’estendere in modo abnorme gli incarichi ai sensi dell’articolo 110 del Tuel, o di consentire di affidare incarichi di staff ai sensi dell’articolo 90 anche ad enti in dissesto o pre-dissesto, come col recente decreto “Pnrr”, non porta da nessuna parte.

Al contempo, in parallelo a riforme dei concorsi che avrebbero dovuto consentire il ripopolamento, il ringiovanimento ed il potenziamento delle PA, obiettivo clamorosamente mancato, i Ccnl hanno reintrodotto la deleteria progressione verticale aperta anche a chi non disponga del titolo di studio che sarebbe necessario per accedere con concorso pubblico. Anche qui, le parole della “profezia” di qualche mese fa, sono di un’attualità sconcertante: si è  previsto la possibilità di coprire il 50% dei fabbisogni di personale non reclutando nuove persone, ma con promozioni interne (le progressioni verticali). La contrattazione collettiva ci ha messo del suo, consentendo che nei prossimi due anni tali promozioni possano essere ottenute anche da personale interno privo del titolo di studio che sarebbe invece necessario se si assumesse per coprire quei posti con concorso pubblico. Col risultato paradossale di permettere in astratto che la metà delle assunzioni necessarie alla PA siano riservate proprio a quel personale anziano ed obsoleto che si vorrebbe coadiuvare con assunzioni di giovani più pronti e digitalizzati, addirittura permettendo il reclutamento di dipendenti non in possesso dei titoli necessari, con tanti saluti alla “competenza”.

Il primo aprile 2023, tra pochissimo, quindi, acquisirà efficacia il nuovo ordinamento del personale e si apriranno le danze della progressione verticale aperta anche a dipendenti senza i necessari titoli, progressioni che per molti sono addirittura attivabili sforando la soglia, pur prevista dalla legge, del 50% del totale delle assunzioni programmate.

Le “riforme” rischiano di avvitarsi su se stesse, lasciando la PA con tutte le sue debolezze, ma con qualche “colonnello”, senza titolo, in più.

Dovrebbe risultare chiaro che battere le strade seguite, senza alcun costrutto, da oltre 20 anni, ormai è non solo erroneo, ma una perseveranza irrazionale.

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