28.02.2015 – renzi, corte dei conti, tecnica, politica e amministratori

Tecnica, politica e amministrazione: brevi note attorno alla sentenza della Corte dei conti, sez. I centrale di appello, 4.2.2015, n. 107

di Riccardo Nobile

 

La sentenza della Corte dei conti, sez. I centrale di appello, 4.2.2015, n. 107 offre un interessante spunto di riflessione sulla relazione fra tecnica, politica e amministrazione. Vogliamo tranquillizzare il lettore: noi oggi non ci occuperemo di relazioni metafisiche o misteriosofiche. Ciò che ci preme è semplicemente la necessità di mettere in questione ed in relazione i contenuti della pronuncia de qua con l’attualissima tematica della responsabilità degli organi di governo in presenza di danni erariali, non senza tenere conto di ciò che la politica sembra esser oggi divenuta.

Rammemorare i contenuti della sentenza della Corte dei conti, sez. prima centrale di appello, 4.2.2015, n. 107 è importante non solo per l’oggetto ed il soggetto di causa, ma anche e soprattutto perché essa è flagrantemente in contraddizione con un’altra importante pronuncia della magistratura contabile: la sentenza della Corte dei conti, sez. giurisdizionale per l’Emilia Romagna, 19.1.2015, n. 3/15/R.

Ma dopo tutto, perché le pronunce de quibus sono importanti? Lo sono perché affrontano il rapporto fra responsabilità degli organi di governo e responsabilità dei dirigenti in presenza di fatti causativi di danno erariale, a loro volta conseguenti ad atti ai primi imputabili. In definitiva, rispondendo alla domanda: l’organo di governo è corresponsabile del danno erariale occorso alla pubblica amministrazione quando l’azione amministrativa frapposta è stata positivamente sostenuta dal proprio apparato tecnico servente? O piuttosto, stante il principio di separazione fra attività di governo ed attività tecnico-amministrativa, la responsabilità ricade per intero sui vertici dell’apparato tecnico che l’ha sostenuta? In sintesi: i titolari degli organi di governo possono essere ritenuti estranei alla vicenda causativa del danno perché “non addetti ai lavori”, ossia perché estranei all’apparato tecnico-amministrativo servente?

Per la sentenza della Corte dei conti, sez. I centrale di appello, 4.2.2015, n. 107, è vera la tesi da ultimo prospettata: in una vicenda nella quale si controverteva sulla responsabilità erariale per l’avvenuta nomina di membri del gabinetto presidenziale sforniti dei richiesti titoli di studio, peraltro specificatamente individuati dal capo dell’amministrazione, il giudice contabile cosí si è espresso per tabulas: “[…] pur non ricorrendo gli estremi della cosiddetta “esimente politica”, questo Collegio ritiene di poter rilevare l’assenza dell’elemento psicologico sufficiente a incardinare la responsabilità amministrativa, in un procedimento amministrativo assistito da garanzie i cui eventuali vizi appaiono di difficile percezione da parte di un “non addetto ai lavori””.

Di contrario avviso è però la pressoché coeva sentenza della Corte dei conti, sezione giurisdizionale per l’Emilia Romagna, 19.1.2015, n. 3/15/R, il cui oggetto di causa era costituito dall’avvenuta nomina di un soggetto privo di laurea tout court a direttore generale di un comune. In questo caso, il giudice contabile, pur in presenza di tutte le specifiche attestazioni di regolarità procedimentale, non ha escluso la corresponsabilità degli organi di governo per il fatto causativo di danno erariale. Ciò che sorprende, invero in positivo, è proprio l’assetto motivazionale fatto proprio dal giudice, per il quale “nella sua posizione di amministratore e di Primo Cittadino [il sindaco] non poteva non essere a conoscenza del fatto che il Direttore generale dell’ente doveva necessariamente appartenere alla qualifica dirigenziale e che detto inquadramento comportava la necessità di scelta di un soggetto in possesso di un  titolo di studio adeguato”. In sintesi, il sindaco di un comune non può non sapere che per ricoprire incarichi dirigenziali il candidato in pectore deve essere fornito di laurea, col che vacilla la tesi che vede nel capo dell’amministrazione di un ente locale un “non addetto ai lavori”.

È evidente l’assoluta antipodalità dei due approccî. E dunque, il capo dell’amministrazione locale può essere ritenuto estraneo alla causazione del danno erariale all’esito dell’attuazione di atti o provvedimenti cui egli ha preso parte quando essi sono assistiti dalle richieste attestazioni di regolarità procedimentale, tecnica e di legittimità come oggi impone sempre e senza eccezione alcuna il d.l. 10.10.2012, n. 174, convertito nella legge 7.12.2012, n. 213? La risposta non può che essere negativa, e ciò è di particolare evidenza, al punto da non richiedere neppure lo sforzo del commento. Ed infatti, come sia possibile sostenere che il capo di un’amministrazione possa ignorare il de minimisdi ciò che caratterizza l’attività amministrativa cui egli prende necessariamente parte è incomprensibile ed irragionevolmente insostenibile.

La sentenza della Corte dei conti, sez. I centrale di appello, 4.2.2015, n. 107 fa del capo dell’amministrazione un soggetto cui è estranea la colpa grave per l’adozione di atti cui egli ha preso parte in prima persona, purché essi siano assistiti dalle garanzie procedimentali e di legittimità previste per legge [o per atto regolamentare interno al singolo ente]. Il tutto con la conseguenza che del danno erariale risponde sempre e solo il responsabile della struttura burocratica che ha predisposto l’atto poi sottoscritto dal capo dell’amministrazione. Di qui l’ulteriore conseguenza: i titolari degli organi di governo non sono toccati da responsabilità erariale per gli atti ad essi imputabili, quando positivamente assistiti dai crismi della regolarità formale, anche se poi, alla prova dei fatti, essa non v’è o è stata travisata.

Ma dopo tutto, perché la politica dovrebbe essere estranea alla responsabilità nei casi appena prospettati? Una possibile risposta si trova in un’interessante affermazione contenuta in Psiche e Techne, di Umberto Galimberti, che porta alle conseguenze tesi già presenti a partire dalle riflessioni di Martin Heidegger sulla civiltà della tecnica, poi magistralmente sviluppate da Emanuele Severino [ex plurimisIl destino della tecnica]: “la politica, che Platone aveva definito “tecnica regia” perché assegnava a tutte le tecniche le rispettive finalità, oggi può decidere solo in subordine all’apparato economico, a sua volta subordinato alle disponibilità garantite dall’apparato tecnico. In questo modo la politica si trova in quella situazione di adattamento passivo, condizionata com’è dallo sviluppo tecnico che essa non può controllare e tanto meno indirizzare, ma solo garantire”. Dunque, per poter svolgere appieno la propria funzione di garanzia, e per poter adempiere all’esserci della propria funzione, la politica deve essere il piú possibile irresponsabile, con la conseguenza che delle sue azioni deve essere responsabile l’apparato tecnico di cui essa si avvale.

Ecco, in estrema sintesi, quali sono le relazioni fra tecnica, politica ed amministrazione. Il che è tanto piú inquietante quanto piú pervasivamente si afferma il principio della nomina fiduciaria dei vertici degli apparati pubblici da parte proprio di quella politica che si pretende non responsabile anche per gli atti cui essa prende parte. E come tutto ciò sia conciliabile con i principî  solennemente sanciti dal combinato disposto degli artt. 97, comma 1, e 98 Cost. è e resta un mistero.

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