28/01/2020 – Ambulanti e decoro urbano: strade e piazze vanno tutelate

Ambulanti e decoro urbano: strade e piazze vanno tutelate
di Marilisa Bombi – Giornalista. Consulente attività economiche.
Il Comune di Roma Capitale, sulla base della direttiva (cd. “sul decoro”) del Ministro del 10 ottobre 2012 e concernente l’esercizio di attività commerciali e artigianali su aree pubbliche in forma ambulante o su posteggio finalizzata a contrastare, nelle aree pubbliche aventi particolare valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico, le attività non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, comprese strade e piazze, ha istituito un tavolo tecnico con il Ministero ai beni culturali. Le risultanze di tale attività hanno portato alla valutazione di opportunità di alleggerire la pressione sulle aree centrali per i negozi mobili adibiti alla vendita di prodotti alimentari, panini e bibite per i turisti, tanto per intenderci.
Il Collegio, nell’esaminare i numerosi motivi del ricorso presentato dagli ambulanti, ha prioritariamente osservato come il decoro urbano non è una materia o un’attività, ma una finalità immateriale dell’azione amministrativa, che corrisponde al valore insito in un apprezzabile livello di qualità complessiva della tenuta degli spazi pubblici, armonico e coerente con il contesto storico, perseguita mediante la selezione delle apposizioni materiali e delle utilizzazioni, specie commerciali (art. 52, Codice; v. ora l’art. 1, comma 4, D.Lgs. n. 222 del 2016) ma non solo. A seconda del profilo e dello strumento, può essere frutto vuoi di tutela (e valorizzazione) del patrimonio culturale, vuoi di disciplina urbanistica o del commercio, vuoi della politiche comunali di concessioni di suolo pubblico: comunque in ragione delle competenze di legge. E difatti l’accordo, bene ripartendo le competenze seppur all’esito della leale cooperazione e della concertazione delle amministrazioni coinvolte, prevede che le risultanze del tavolo tecnico siano oggetto di dichiarazione di compatibilità da parte del Ministero ai sensi del Codice e, al contempo, elemento essenziale dei piani di riordino delle attività commerciali su aree pubbliche di Roma Capitale e di rilocalizzazione di quelle non compatibili con le esigenze di tutela del patrimonio culturale, nonché di successiva normativa regolamentare afferente gli specifici settori trattati.
All’esito del giudizio ostativo espresso nel tavolo interistituzionale – suggellato nell’accordo fra Roma Capitale e il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, la Giunta capitolina, preso atto di dette risultanze, ha deliberato di assoggettare le attività in questione ad un “progetto di rilocalizzazione”, dando mandato al Dipartimento sviluppo economico e attività produttive formazione e lavoro di procedere “all’avvio dei relativi procedimenti amministrativi di competenza”, e formulando un apposito indirizzo al riguardo per l’individuazione di alcune “localizzazioni transitorie”, nelle more “dell’adozione del progetto di riordino generale, delle attività commerciali risultate incompatibili”.
In tale contesto la sentenza puntualizza che la delibera di Giunta di presa d’atto dei lavori del tavolo tecnico e di conseguente impulso ai procedimenti di rilocalizzazione delle attività commerciali rientra nel modello dell’art. 52D.Lgs. n. 42 del 2004. Il comma 1 di questa disposizione prevede infatti che con apposite «deliberazioni» adottate nell’ambito della loro competenza in materia di commercio «i comuni, sentito il soprintendente, individuano le aree pubbliche aventi valore archeologico, storico, artistico e paesaggistico nelle quali vietare o sottoporre a condizioni particolari l’esercizio del commercio». Ed in tal senso non risulta pertinente il riferimento al regime di cui all’art. 28D.Lgs. n. 114 del 1998 richiamato dai ricorrenti. In sostanza, la ricollocazione temporanea delle postazioni va ricondotta ai poteri di cui al comma 1-ter del medesimo art. 52, atteso che, sebbene non formalmente previsto, il potere di sistemazione temporanea in questione è implicitamente attribuito all’amministrazione comunale, trattandosi di un minus rispetto a quello di revoca del titolo commerciale riconosciuto in modo espresso dal comma 1-ter dell’art. 52, e strettamente strumentale a quest’ultimo.
La Sezione ha preso dettagliatamente in esame anche le questioni contestate e connesse alla violazione dei principi della CEDU o della Carta di Nizza in materia di proprietà. Ed in tal senso ha affermato che l’attività svolta dagli esercenti discende – per le modalità con cui è prestata – da un rapporto di natura concessoria con l’amministrazione, assumendo perciò caratteristiche e connotazioni peculiari; in particolare la situazione che ne deriva risulta intrinsecamente conformata rispetto all’interesse pubblico, potendo perciò risentire, nei limiti della ragionevolezza e della legittimità dell’azione amministrativa qui riscontrabili, di ragioni pubbliche che – secondo quanto previsto in specie dall’art. 52 – possono incidere sulla collocazione della postazione utilizzata.
La competenza ad adottare gli atti. Uno dei motivi di ricorso riguardava anche la affermazione che gli atti in questione rientrerebbero tra quelli di natura pianificatoria previsti dall’art. 42, comma 2, lett. b), del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267), ed avrebbero pertanto dovuto essere adottati dall’Assemblea capitolina anziché dalla Giunta e dai competenti dirigenti. La disposizione del Testo unico fa in realtà riferimento, ha rilevato la Sezione, agli atti di programmazione finanziaria, dei lavori pubblici, territoriali e urbanistici, cosicché né la delibera ex art. 52, comma 1, Codice dei beni culturali e del paesaggio, né tanto meno i successivi provvedimenti di delocalizzazione possono esservi ricondotti. In altri termini, non si ravvisano nel detto art. 52 elementi di carattere testuale che consentano di ricondurre la tipologia di provvedimento previsto alle attribuzioni dell’organo consiliare stabilite nel Testo unico di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000; sicché deve ritenersi che la relativa competenza sia devoluta alla Giunta comunale, in virtù della clausola residuale nei confronti della concorrente competenza dell’organo consiliare prevista dall’art. 48, comma 2, del medesimo Testo unico, venendo in rilievo in specie non già un’attività pianificatoria o di governo del territorio, bensì di regolazione del commercio a norma dell’art. 52 ai fini della collocazione dei singoli esercizi.

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