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Condono edilizio e concetto di completamento funzionale dell’opera

di Giuseppe Cassano – Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics

Il Consiglio di Stato è adito per la per la riforma della sentenza resa dal T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, n. 177/2014 in materia di abusivismo edilizio.
Nel merito la controversia ruota intorno all’esatta perimetrazione del concetto di edificio ultimato, applicabile nell’ambito delle domande di condono edilizio.
Tale concetto è stato, peraltro, oggetto di apposita illustrazione con la circolare esplicativa del primo condono – Circolare 30 luglio 1985, n. 3357/25, del Ministero dei Lavori Pubblici – che fa riferimento alla nozione di ultimazione del rustico comprendendo in essa la muratura portante o l’intelaiatura in cemento armato e le tamponature (v. anche: Cons. di Stato, Sez. V, 20 dicembre 2000, n. 5638; Cass. pen., Sez. II, 18 luglio 2007, n. 28615Corte Cost. 27 febbraio 2009, n. 54).
Viene in considerazione l’art. 31, comma 3, L. n. 47 del 1985 – i cui principi si applicano anche alla disciplina dei condoni successivi – secondo cui: «si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura, ovvero, quanto alle opere interne agli edifici già esistenti e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano state completate funzionalmente».
Tale disposizione distingue tra nuovi edifici residenziali, per i quali si richiede l’esecuzione del rustico e il completamento della copertura, ed opere interne di edifici già esistenti, per le quali si richiede il cd. completamento funzionale.
Come noto, il requisito dell’ultimazione delle opere richiesto dall’art. 31 cit. è imposto al fine di accertare la data del manufatto e ciò:
a) per garantire il rispetto del termine di ammissibilità al condono dell’opera;
b) per determinare con esattezza il volume da condonare anche ai fini della tutela delle ragioni dell’erario;
c) determinare con esattezza il volume da condonare per evitare un successivo ampliamento.
Ha osservato il T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 8 marzo 2018, n. 1476: «- in tema di condono edilizio, il requisito della “non ultimazione” previsto dall’art. 43L. 28 febbraio 1985, n. 47, deve essere logicamente letto in relazione a quello ordinario della “ultimazione” previsto dall’art. 31 della stessa legge, secondo cui si intendono ultimati gli edifici nei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura ovvero, quanto alle opere interne e a quelle non destinate alla residenza, quando esse siano completate funzionalmente, con la conseguenza che possono conseguire la sanatoria edilizia anche manufatti la cui realizzazione sia arrestata ad uno stadio anteriore a quello di configurabilità dei predetti requisiti (T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 6 dicembre 2011, n. 2277);
– in tema di ultimazione delle opere condonabili, gli art. 31 comma 2 e 43 comma 5, L. n. 47 del 1985, dettano – in alternativa al criterio della esecuzione al rustico e del completamento della copertura dell’edificio – quello del completamento funzionale dell’opera, secondo il quale, per i mutamenti di destinazioni d’uso di edifici non residenziali, è condonabile la struttura in cui le opere, pur se non perfette fin nelle finiture, possano dirsi individuabili nei loro elementi strutturali, con le caratteristiche necessarie e sufficienti ad assolvere la funzione cui siano destinate, all’uopo richiamando specifica giurisprudenza;
– ai fini della sanatoria edilizia rileva che il manufatto abusivo risulti “ultimato”, con tale locuzione individuandosi gli edifici dei quali sia stato eseguito il rustico e completata la copertura; rileva, infatti, che sia definito l’ingombro della struttura e il volume esprimibile dall’edificio abusivo, il che viene determinato dall’esistenza del piano di copertura, a prescindere dalla sua completezza e definitività secondo buona tecnica, all’uopo richiamando specifica giurisprudenza».
In particolare, la portata della nozione di completamento funzionale, secondo la giurisprudenza (fatta propria ed avallata dal Consiglio di Stato nella sentenza in esame) deve essere riferita, in generale, alla realizzazione di un intervento del quale sia possibile riconoscere le caratteristiche tipologiche, in quanto siano presenti quegli aspetti essenziali che ne individuano la funzione e ne consentono l’utilizzo.
Esattamente, tale concetto serve ad identificare il momento in cui il manufatto ha acquisito caratteristiche oggettivamente ed univocamente idonee alla nuova destinazione, anche se gli interventi di finitura non risultino ancora completati (Cons. di Stato, Sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 393; più di recente Cons. di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2018, n. 2995).
Si è osservato: «nei casi … in cui il condono è chiesto per un edificio non abitativo, ma produttivo, al criterio dell’esecuzione del rustico e della copertura si sostituisce quello, diverso, del completamento funzionale (Cons. di Stato, Sez. IV, 7 settembre 2006, n. 5212, e Sez. V, 15 aprile 1992, n. 303).
Per completamento funzionale, si intende poi l’idoneità ad un dato uso, ovvero l’avvenuta esecuzione delle opere che quell’uso rendano possibile (sul principio, Cons. di Stato, Sez. V, 11 luglio 2014, n. 3558, e 16 dicembre 1994, n. 1514)» (Cons. di Stato, Sez. VI, 9 marzo 2018, n. 1513).
In sentenza il Consiglio di Stato si sofferma, ancora, in ordine al regime dell’onere della prova circa l’ultimazione dei lavori entro il termine utile (fissato dalla legge) per accedere al condono edilizio precisandosi che incombe su chi richieda di beneficiare del condono l’onere di provare che l’opera è stata realizzata in epoca utile per fruire del beneficio.
Ciò in quanto, mentre l’amministrazione comunale normalmente non è in grado di accertare la situazione edilizia di tutto il proprio territorio alla data indicata dalla normativa sul condono, il richiedente, di regola, può procurarsi la documentazione da cui si possa desumere che l’abuso sia stato effettivamente realizzato entro la data prevista (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075).
Inoltre, tale prova deve essere rigorosa: in particolare, non risultano sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso (Cons. di Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 6Cons. di Stato, Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2960). Si è detto in giurisprudenza:
– «Peraltro, sempre in ordine al completamento funzionale dell’intervento abusivo, occorre rammentare che, per consolidata giurisprudenza, l’onere di provare l’esistenza del manufatto oggetto di abuso alla data ultima per beneficiare del condono spetta all’interessato, poiché il periodo di realizzazione delle opere costituisce elemento fattuale rientrante nella disponibilità della parte che invoca la sussistenza del presupposto temporale per usufruire del condono edilizio, mentre l’amministrazione comunale non è in grado di verificare la data di realizzazione, sul proprio territorio, di tutti gli immobili ivi realizzati (cfr., ex multis, Cons. di Stato, Sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1530Cons. di Stato, Sez. VI, 5 agosto 2013, n. 4075). La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che, a tal fine non è sufficiente la sola dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio, la quale deve essere supportata da ulteriori riscontri documentali, eventualmente indiziari, purché altamente probanti (Cons. di Stato, Sez. VI, n. 4075/2013 cit.)» (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 18 maggio 2018, n. 3294);
– «l’onere della prova in ordine all’ultimazione delle opere abusive in data utile per fruire del condono edilizio spetti al privato richiedente e non all’Amministrazione, poiché solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso (…). Inoltre tale prova, sempre secondo l’unanime indirizzo giurisprudenziale in materia, deve essere alquanto rigorosa, e in particolare non risultano sufficienti delle mere dichiarazioni sostitutive di atto notorio, richiedendosi invece documentazione certa e univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi chiari sulla data di realizzazione dell’abuso (cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 6Cons. di Stato, Sez. IV, 10 giugno 2014, n. 2960Cons. di Stato, Sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6548). In difetto di tali prove, resta pertanto integro il potere dell’Amministrazione di negare la sanatoria dell’abuso» (Cons. di Stato, Sez. IV, 15 giugno 2016, n. 2626).

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