tratto da leautonomie.asmel.eu - a cura di Luigi Oliveri

Nel rispetto dello stile affrettato e approssimato proprio da decenni di un Legislatore che procede per tentativi, fatta la norma – pessima e scritta male – segue abbastanza in fretta una “toppa”, che nel metodo è persino peggiore del danno già prodotto dalla norma stessa.

Stiamo parlando del nuovo ultimo periodo improvvidamente aggiunto all’articolo 35, comma 5-ter, del d.lgs 165/2001, dal decreto “indebolimento” della PA, il d.l. 44/2023, convertito dalla legge 74/2023. Un decreto pomposamente definito “Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche“, i cui effetti sono sostanzialmente il contrario del “rafforzamento”, visto il caos operativo prodotto.

La norma che interessa è ormai nota: “Nei concorsi pubblici sono considerati idonei i candidati collocati nella graduatoria finale entro il 20 per cento dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi. n caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro sei mesi dall’assunzione, l’amministrazione puo’ procedere allo scorrimento della graduatoria

nei limiti di cui al quarto periodo“.

Talmente è scritta male, da portare, come sempre, a fraintendimenti, che sono almeno 2:

1. come si calcola il 20% di cui si parla?;

2. quando si applica il tetto?

Il 20%, contrariamente a quanto molti desumono, non si riferisce al numero dei posti messi a concorso (applicando questa modalità. per produrre un idoneo occorrerebbero 5 posti messi a bando), bensì al numero degli idonei successivi all’ultimo dei vincitori: una graduatoria per 3 posti, con 100 candidati che abbiano superato le prove a partire dal 4°, significa che produce 20 idonei;

Il regime temporale di applicazione della norma non può certamente essere retroattivo; non riguarda di certo, quindi, le graduatorie ancora valide. Poichè la legge dispone solo per il futuro, le prospettive sono solo due:

a) il tetto si applica esclusivamente alle graduatorie approvate successivamente al 21.6.2023, data di vigenza della legge 74/2023, che ha convertito il d.l. 44/2023;

b) il tetto si applica esclusivamente alle graduatorie approvate per effetto di bandi di concorso emanati successivamente al 21.6.2023, in applicazione del principio tempus regit actum.

Naturalmente, quando il Legislatore adotta norme così ambigue, frettolose, lacunose, sibilline, laconiche e atecniche, si apre la caccia al “parerificio” più sollecito e pronto a rispondere.

I “parerifici” sempre più spesso, trovandosi di fronte a norme sulle quali esprimersi di qualità pessima, sono indotti a travalicare la funzione consultiva, che dovrebbe limitarsi ad esporre una valutazione sul significato della norma obbediente alle preleggi, per dilagare verso interpretazioni “creative”, il cui contenuto travalica i confini della norma ed assume contenuti nuovi e diversi, tali da passare dall’individuazione di un significato applicabile, alla vera e propria introduzione di una norma nuova.

Nel caso di specie, il “parerificio” escusso per primo è stato l’Ufficio Legislativo del Ministero della Pubblica Amministrazione, che si è prodotto nella nota UGM_FP-0001187-A-16/06/2023 – ULM_FP-0000499-P-16/06/2023 (due protocolli: perchè?), rivolta al Capo di Gabinetto del Ministro per la PA e al Capo di Gabinetto del Ministro della salute.

La nota ci informa della ratio sottesa al “tetto” agli idonei: “tale disposizione è finalizzata a garantire una migliore qualità del personale assunto, e ciò in considerazione del fatto che i candidati collocati in graduatoria in una posizione rientrante nella quota introdotta corrisponde a quelli che hanno conseguito una valutazione finale più vicina al punteggio conseguito dai vincitori del concorso. Si tratta di una misura che va letta in un’ottica di sistema nel quale gli altri fattori da valutare sono la rapidità delle nuove procedure concorsuali (massimo 180 giorni, così come previsto nel regolamento di modifica al dPR n. 487 del 1994, recentemente approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri), frequenti (il turn over annuale medio è di circa 150.000 unità) e digitalizzate. Si tratta, pertanto, di un complesso di elementi il cui “combinato disposto” non è latore di criticità, bensì costituisce un elemento di crescita qualitativa – oltre che quantitativa – della pubblica amministrazione“.

Che l’Ufficio Legislativo sia convinto che il disposto non sia “latore” di criticità, preoccupa un po’: chi scrive le norme dovrebbe per primo preoccuparsi della loro qualità e, soprattutto, della valutazione di impatto, prevista da moltissimi anni, ormai, ma quasi mai praticata.

La finalizzazione della previsione, esplicitata dalla nota richiamata, evidenzia due elementi poco convincenti:

  1. la convinzione che il tetto comporti un elemento di”crescita qualitativa”, poichè il 20% dei concorrenti successivi ai vincitori ha un punteggio più prossimo a questi ultimi. Ma, perchè non allora, il 10% Oppure, in un’ottica di maggiore praticabilità delle graduatorie, che sono efficaci per 2 anni, il 30%? Quali sono gli studi e le valutazioni di impatto in base ai quali si è dimostrata l’utilità del tetto del 20% rispetto ad altre percentuali? Non si sa. Si va per assiomi.
  2. La convinzione che la qualità della selezione coincida con la rapidità dei concorsi, con la loro digitalizzazione e con l’accorciamento delle graduatorie dei concorsi.

Il secondo punto merita una piccolissima digressione. Il Legislatore dimostra, come anche interpretato dall’Ufficio Legislativo di Palazzo Vidoni, di essere lontanissimo dall’aver intuito un sistema di reclutamento finalmente raffinato, utile e davvero in grado di mettere a disposizione delle PA candidati capaci ed operativi.

Tutto è lasciato alla rapidità e ripetibilità. L’efficienza della macchina selettiva, in sostanza, è rimessa alla possibilità che le PA possano attivare una procedura concorsuale “revolving”: tanti concorsi di breve durata e con pochi idonei, da produrre “on demand”, man mano che si evidenzi un fabbisogno di breve periodo.

E’ esattamente il contrario di come si dovrebbe agire e di come si dovrebbe organizzare il reclutamento delle PA. Intanto, esso dovrebbe mirare alla pronta copertura di un fabbisogno di medio lungo termine: del resto, il Piao vorrebbe indurre le PA ad occuparsi seriamente della programmazione delle cessazioni, per parametrare a queste, oltre che ai fabbisogni di nuove professionalità, i reclutamenti da effettuare.

In secondo luogo, le procedure concorsuali dovrebbero orientarsi a valorizzare, finalmente, i titoli di studio conseguiti dalle persone nelle scuole e nelle università. Organizzare concorsi le cui prove sono, sostanzialmente, una nuova verifica su saperi e apprendimenti che già sono certificati dai titoli di studio è uno dei principali difetti del sistema di reclutamento, poco attento a reperire, invece, personale capace di rendere efficacemente la prestazione lavorativa.

Allo scopo, occorrerebbe un sistema tutt’affatto diverso: una selezione basata su graduatorie di persone certificate come idonee al lavoro pubblico, sulla base dell’iscrizione, preceduta da una selezione, a scuole di specializzazione; oppure, sulla base dell’acquisizione anche progressiva di un “ranking” in graduatorie permanenti, alle quali accedere sempre in base ad una selezione, e dalle quali essere chiamati entro short list da utilizzare per velocissime selezioni molto vicine alla copertura del fabbisogno. In questo secondo caso, in assenza di selezione tramite scuole di formazione lavorativa, al reclutamento sarebbe bene corrispondessero contratti a causa mista, lavorativa e formativa, come la formazione e lavoro o l’apprendistato.

Invece, il Legislatore insiste su concorsi capaci di selezionare i “migliori”, ovviamente non in senso assoluto, ma tra i candidati, intesi, tali “migliori”, come coloro che ottengano i punteggi valutativi più alti. In concorsi strutturati con più prove complesse, legate non solo alla dimostrazione del sapere, ma al “sapere applicato”, con soluzione di problemi, dimostrazione della conoscenza degli strumenti di ragionamento ed operativi, capacità di affrontare casi concreti, la probabilità che il selezionato abbia, poi, un buon impatto lavorativo è più alta, fermo restando però l’onere successivo dell’inserimento “per affiancamento”.

Con concorsi che ormai da anni sono concepiti come procedure emergenziali, composti da una “provina scrittina” a risposta multipla, governata dall’algoritmo e senza nemmeno orali e, dunque, guardarsi in faccia, il reclutamento è solo un simulacro; reso apparentemente più “scientifico” dalla possibilità di introdurre nelle prove qualche domandina di natura psicoattitudinale, ma soprattutto il “colloquio motivazionale”, sede migliore per alterare gli esiti orientandoli verso il candidato che “piace alla gente che piace”.

Il concorso, insomma, inizia presto, finisce presto e di solito non seleziona con accuratezza, nè assicura le capacità operative del selezionato.

Questa logica, perversa e inefficiente, si sposa bene con l’accorciamento delle graduatorie, ma non può assicurare il perseguimento vero di finalità qualitative.

Il parere rilasciato dall’Ufficio Legislativo di Palazzo Vidoni, poi, entra nella questione dell’applicazione della norma: “la misura in argomento, benché di portata generale, non è applicabile ai reclutamenti disciplinati da misure particolari, quali quelli relativi al personale sanitario, scolastico, universitario, della ricerca dell’Istituto superiore di sanità, come pure – anche se non espressamente indicati– sono da ritenere indubbiamente esclusi dal suo ambito di applicazione anche i reclutamenti del personale in regime pubblicistico. Si è dunque dell’avviso che la misura, che comunque è destinata a dispiegare i propri effetti sono [leggasi “solo”, nda] con riguardo alle graduatorie dei concorsi che saranno banditi dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto-legge n. 44 del 2023, non si estenda ai concorsi delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale, nonché del personale della ricerca dell’Istituto superiore di sanità“.

Esultiamo. Il parere si riferisce al principio tempus regit actum: esclude, dunque, ogni retroattività della norma e, anzi, evidenzia che essa risulta applicabile solo ai concorsi banditi a partire dal 21 giugno 2023. Non che si possa restare sorpresi: l’irretroattività della norma non poteva non darsi per scontata.

Se il merito del parere è condivisibile e gradito, il metodo e l’ulteriore contenuto, invece, non possono essere apprezzati. Si nota che l’Ufficio Legislativo individua casi di esclusione assoluta di applicazione della norma: concorsi per il personale sanitario, scolastico, universitario, della ricerca, tutto il personale in regime pubblicistico. Si nota anche l’ossimoro, l’affermazione che nega, la spiegazione che oscura: la norma, secondo il parere, “ha portata generale” ma anche “non applicabile reclutamenti disciplinati da misure particolari”.

Bene, per carità. Ma, alla domanda “queste conclusioni da quale fonte, da quale indicazione espressa, o tacita, trovano la propria fonte?” non è possibile reperire risposta.

Certo, si potrebbe affermare che in quanto norma generale, le regole speciali di reclutamento non risultino derogate. Questo vale certamente per il regime molto specifico delle graduatorie nelle istituzioni scolastiche. Risulta, tuttavia, del tutto incomprensibile il perchè i reclutamenti delle figure lavorative di diritto pubblico (magistrati ordinari, amministrativi e contabili, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e delle Forze di polizia di Stato, il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia nonché i dipendenti degli enti che svolgono la loro attività nelle materie contemplate dall’articolo 1 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 17 luglio 1947, n. 691, e dalle leggi 4 giugno 1985, n. 281, e successive modificazioni ed integrazioni, e 10 ottobre 1990, n. 287, il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il personale volontario di leva) dovrebbero considerarsi eclusi.

Il “parerificio” nel caso di specie, quindi, come si nota, crea diritto e letteralmente supplisce ad una lacuna chiara della norma.

Il che, in un ordinamento caratterizzato dalla separazione dei poteri e dall’attribuzione del potere legislativo al Parlamento come rappresentante del corpo elettorale e sede ove si traducono in leggi gli indirizzi politici, oggettivamente preoccupa. Si rimette, nel caso di specie, ad un ufficio interno ad un Ministero, componente dunque del potere esecutivo, il compito di completare, estendere e attribuire significati nuovi, ad una norma, invadendo con chiarezza il potere esecutivi.

I contenuti di merito del parere possono anche sembrare convincenti. Ma, allora, l’Ufficio Legislativo del Ministero della pubblica amministrazione si faccia promotore di un’iniziativa legislativa urgente, con contenuti rispondenti all’interpretazione suggerita, in modo che sia il Parlamento a tramutarla in legge, nel rispetto dell’ordinamento.

Sarebbe ora di chiudere definitivamente la deleteria esperienza di una decretazione e, comunque, di una normazione urgente, frettolosa, influenzata dai sondaggi, dalle mode, dai social, e non meditata, non finalizzata a disciplinare sistemi, ordinamenti, fabbisogni di lungo termine e a rispettare regole di coordinamento generale con le altre regole giuridiche, che “subappalta” ai “parerifici” quegli elementi di chiarezza e perfino i contenuti normativi ai quali il Legislatore ha abdicato da anni.

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