tratto da luigioliveri.blogspot.it
Lavoro agile nella pubblica amministrazione: scongiuriamo il flop
Per il lavoro pubblico l’attenzione è concentrata sulla riforma Madia, ma è lo statuto dei lavoratori autonomi a contenere una modifica potenzialmente di grandi impatto ed utilità per il pubblico impiego.
Lo statuto, approvato lo scorso 10 maggio, contiene uno specifico “capo” dedicato al cosiddetto lavoro agile.
L’articolo 18 dello statuto indica le finalità del lavoro agile e cerca di definirne le caratteristiche.
Gli scopi principali sono due: incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. In sostanza, il lavoro agile mira a rimuovere gli ostacoli che l’ “hardware”, il legame stretto al luogo ed al mezzo di svolgimento della prestazione lavorativa, possono porre alla produttività e alla piena conciliabilità tra lavoro ed esigenze organizzative personali.
Si pensi, ad esempio, a funzioni come quelle ispettive. Restringere l’attività degli addetti in una cornice oraria rigida comporta oggettive limitazioni alla funzione di controllo. Rompendo i confini dell’orario e della logistica, permettendo agli ispettori di realizzare le proprie attività con orari non fissati, ovviamente sulla base di una verifica programmazione delle attività, può aumentare l’efficienza produttiva, contestualmente anche permettendo all’interessato di gestire tempi di vita, come per esempio accompagnare figli a scuola o prendersi cura di parenti.
I datori di lavoro, quindi, possono promuovere il lavoro agile, inteso come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Non si tratta del “telelavoro”, che presuppone lo svolgimento di un’attività lavorativa necessariamente “telematica” in una sede anche remota; è proprio un sistema organizzativo del lavoro che può anche, ma non necessariamente, presupporre strumenti tecnologici. Imprescindibili sono piani di lavoro, per verificare il rispetto degli obiettivi nelle fasi e cicli previste.
Per questo, dispone l’articolo 18, “la prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Il lavoro agile può anche essere regolato da un accordo a tempo determinato e presuppone medesimi diritti e doveri dei lavoratori “tradizionali”, con specifiche disposizioni sulle “forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore”, nonché sui tempi di riposo del lavoratore e “le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Il comma 3 dell’articolo 18 dello statuto precisa che le disposizioni del capo dedicate al lavoro agile si applicano, in quanto compatibili, anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. L’opportunità, dunque, di organizzare l’attività lavorativa in modo davvero innovativo e anche da consentire da un lato di risparmiare straordinari e, dall’altro, di far rientrare molti dal part time, è davvero ghiotta e, paradossalmente, non sta in una legge specificamente destinata a riformare il lavoro pubblico.
Il comma 3 dell’articolo 18, tuttavia, rinvia a “direttive” da emanare, a cura del Presidente del consiglio dei ministri, anche ai sensi dell’articolo 14 della 124/2015, e fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti.
E’in dirittura d’arrivo una direttiva del Ministro della Funzione pubblica sul tema, che pare puntare decisamente al ribasso, con una quota del 10% di lavori agili ed un’impostazione più orientata alla creazione di graduatorie per bisogni personali, che non all’impiego dello strumento come utile ed ordinaria forma di organizzazione. Sarebbe utile che la pubblica amministrazione, nella quale fin qui forme organizzative del lavoro innovative hanno registrato regolarmente dei flop (in particolare, il telelavoro) non perdesse un’occasione utile per una riforma potenzialmente davvero efficace.
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