27/04/2019 – I cantieri non si sbloccano agendo solo sulla fase della gara

I cantieri non si sbloccano agendo solo sulla fase della gara

Luigi Oliveri

Com’era facile immaginare, il d.l. 32/2019 si rivela norma troppo blanda per poter davvero sortire l’effetto dello sblocco dei cantieri.
La gran parte delle poche semplificazioni disposte dalla norma, infatti, incidono sulla sola fase della gara e, anzi, sulla fase specifica dell’apertura delle buste e della formazione della graduatoria, estendendo l’utilizzo del criterio del massimo ribasso.
Nella sostanza, restano in piedi tutti i problemi legati a ciò che precede e, soprattutto, a ciò che segue la gara.
Le modifiche al codice dei contratti non hanno intaccato:
  • la programmazione dei lavori;
  • la progettazione, salvo qualche limitata disposizione sul progetto di fattibilità tecnica ed economica e la parziale estensione dell’appalto integrato;
  • i problemi connessi alle competenze ed ai ruoli del dirigente e del rup, specie proprio nella fase dell’adozione dei provvedimenti di gestione della gara (ammissioni ed esclusioni);
  • le modalità di stipulazione del contratto;
  • la qualificazione (inutile e complicata) delle stazioni appaltanti, con la connessa conferma di un sistema che punta in modo fin troppo pervasivo all’utilizzo coatto dei soggetti aggregatori;
  • tutte le problematiche connesse alla gestione della fase successiva alla sottoscrizione del contratto.
Il d.l. 32/2019 è, in sostanza, figlio della concezione secondo la quale le durate estremamente lunghe degli appalti discendono dalla sola fase della gara, non tenendo conto, invece, che sono le tre fasi progettuali, l’acquisizione delle autorizzazioni urbanistiche ed edilizie, delle autorizzazioni paesaggistiche ed ambientali, delle autorizzazioni alla spesa, dei fondi necessari, la fin troppo complessa disciplina della contabilità armonizzata, le espropriazioni da attivare, le procedure della programmazione, a determinare l’inevitabile ampliamento a dismisura del tempo intercorrente tra la decisione di effettuare un’opera ed aprire il cantiere. Fermo restando, poi, che a cantiere aperto, se la progettazione non è stata effettuata a dovere e, soprattutto, l’appaltatore per qualsiasi ragione non si dimostri affidabile, ma soprattutto i fondi non siano stati impegnati in modo sufficiente, l’opera ovviamente non può andare avanti.
Certo, il d.l. 32/2019 comincia ad avvicinarsi all’individuazione dei problemi operativi determinati dal codice dei contratti, spesso figli di slogan dei media generalisti.
Criteri di gara. Prendiamo, quindi, in esame proprio la fase specifica della gara, sulla quale il decreto insiste in modo particolare.
Un primo elemento di revisione della disciplina è da individuare nella rinuncia all’assurda statuizione secondo la quale il sistema di gara “principe” dovesse essere necessariamente l’offerta economicamente più vantaggiosa.
Era stato un omaggio, privo di fondamento tecnico, all’opinione gettonatissima nei giornali e nelle televisioni, alla luce della quale il criterio della Oepv garantirebbe maggiormente la “qualità” dei lavori, dei servizi e delle forniture, evitando, quindi, ribassi eccessivi e non sostenibili.
Una tesi, questa, contrastante intanto con le direttive europee, ai sensi delle quali, invece, resta l’equivalenza tra offerta economicamente più vantaggiosa e ribasso.
Il legislatore, andando dietro ai facili slogan, non ha tenuto conto di un elemento fondamentale: è la qualità del progetto la garanzia contro offerte avventate e connesse necessarie varianti finalizzate a recuperare ribassi eccessivi. Se il progetto dell’opera, ma anche del servizio e della fornitura, è accurato e dettagliato, scegliendo i materiali tecnici più all’avanguardia e di pregio, misurando con la necessaria precisione le quantità occorrenti, l’offerta economicamente più vantaggiosa può risultare del tutto inutile, mentre il massimo ribasso risulta esente da rischi, perché le prestazioni tecniche imposte sono per loro natura di qualità elevata.
Forse il nuovo corso impostato dal d.l. 32/2019 prende atto che degli slogan si può fare a meno e così, almeno nel sotto soglia, opera la disposizione del nuovo comma 9-bis inserito nell’articolo 36 del d.lgs 50/2016: “Fatto salvo quanto previsto all’articolo 95, comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero, previa motivazione, sulla base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa”.
Si assiste, quindi, nel sotto soglia ad una sostanziale inversione: è il criterio del minor prezzo quello prevalente, perché, invece, l’utilizzo dell’Oepv richiede una specifica motivazione.
Intendiamoci: sarebbe stato fin troppo bello che il Legislatore avesse davvero chiarito in modo tetragono la questione della motivazione per la scelta tra l’uno e l’altro criterio di selezione delle offerte. Purtroppo, il d.l. 32/2019 nell’integrare l’articolo 36 del codice dei contratti col comma 9-bis, non è stato coordinato con la previsione del successivo articolo 95, comma 5, ai sensi del quale “Le stazioni appaltanti che dispongono l’aggiudicazione ai sensi del comma 4 [cioè col criterio del minor prezzo, nda] ne danno adeguata motivazione e indicano nel bando di gara il criterio applicato per selezionare la migliore offerta”.
Dunque, attualmente:
  1. da un lato, nel sotto soglia occorre motivare perché si sceglie l’Oepv invece del minor prezzo;
  2. dall’altro lato, nel sopra soglia (ma, non si capisce se anche nel sotto soglia) occorre motivare perché si sceglie il minor prezzo, invece dell’Oepv.
In ogni caso, ai sensi dell’articolo 95, comma 3, del codice, occorre comunque aggiudicare col criterio dell’Oepv:
a) i contratti relativi ai servizi sociali e di ristorazione ospedaliera, assistenziale e scolastica, nonché ai servizi ad alta intensità di manodopera, come definiti all’articolo 50, comma 1, fatti salvi gli affidamenti ai sensi dell’articolo 36, comma 2, lettera a);
b) i contratti relativi all’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura e degli altri servizi di natura tecnica e intellettuale di importo pari o superiore a 40.000 euro;
b-bis) i contratti di servizi e le forniture di importo pari o superiore a 40.000 euro caratterizzati da notevole contenuto tecnologico o che hanno un carattere innovativo.
Mentre, nel sopra soglia, si può ricorrere al minor prezzo “per i servizi e le forniture con caratteristiche standardizzate o le cui condizioni sono definite dal mercato”, ai sensi dell’articolo 95, comma 4.
Affidamenti diretti. Il nuovo comma 9-bis dell’articolo 36 può trarre in inganno. Infatti, come visto, consente nel sotto soglia di dare prevalenza al criterio del massimo ribasso (o minor prezzo) a discapito dell’Oepv, il cui ricorso va specificamente motivato.
Il comma 9-bis si riferisce, in via generale, a tutti i contratti disciplinati dall’articolo 36; dunque, anche a quelli sortiti da affidamenti diretti ai sensi del comma 2, lettera a). Tuttavia, in questo caso, il rapporto contrattuale con l’operatore economico avviene “per affidamenti di importo inferiore a 40.000 euro, mediante affidamento diretto anche senza previa consultazione di due o più operatori economici”. Dunque, in questo caso non vi è alcuna gara o, comunque, fase di vera e propria selezione conseguente ad un confronto formalizzato tra più offerte.
Tecnicamente, quindi, non vi è alcun offerta, sicché non occorre valutare né col criterio del massimo ribasso, né con l’Oepv.
Commissioni di gara. Ovviamente nel sotto soglia l’estensione della possibilità di utilizzare il massimo ribasso risolve un altro problema, figlio dell’eccessiva attenzione agli slogan da talk show della stesura originaria del d.lgs 50/2016: la composizione delle commissioni giudicatrici.
Come è noto, ai sensi dell’articolo 77, comma 1, del codice, “Nelle procedure di aggiudicazione di contratti di appalti o di concessioni, limitatamente ai casi di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa la valutazione delle offerte dal punto di vista tecnico ed economico è affidata ad una commissione giudicatrice, composta da esperti nello specifico settore cui afferisce l’oggetto del contratto”.
La disciplina delle commissioni giudicatrici è, fatto altrettanto noto, condizionata dalla vicenda un po’ kafkiana dell’operatività dell’albo dei commissari: tra un comunicato e l’altro del Presidente dell’Anac, si è arrivati al rinvio dell’operatività di questo albo al 15 luglio 2019.
Sta di fatto che le notevolissime complicazioni connesse proprio alla composizione della commissione giudicatrice pare siano state colte, anche se in parte, dal Legislatore del 2019. Infatti, nell’articolo 77 del codice è stato inserito il nuovo comma 3-bis, ai sensi del quale “In caso di indisponibilità o di disponibilità insufficiente di esperti iscritti nella sezione ordinaria dell’Albo ai fini della compilazione della lista di cui al comma 3, la commissione è nominata, anche solo parzialmente, dalla stazione appaltante competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto tenuto conto delle specifiche caratteristiche del contratto da affidare e delle connesse competenze.
Auspicando che si tratti solo di un primo passo verso l’abolizione dell’albo dei commissari (sostanzialmente un omaggio alla lobby dei tecnici esterni, che si accompagnava all’eliminazione dell’incentivo ai tecnici, ripristinato dal d.l. 32/2019), ovviamente per il sotto soglia, qualora si adotti il criterio del massimo ribasso non si deve costituire la commissione giudicatrice. Si saltano, quindi, le complesse procedure (con il connesso impiego di tempo) per la formazione della commissione, il che consente alla gara un passo più spedito (il tutto resta non necessario nel caso degli affidamenti diretti fino a 40.000 euro).
Inversione procedurale. Il d.l. 32/2019, modificando il comma 5 dell’articolo 36, attua la previsione contenuta nell’articolo 56, comma 2, della direttiva 2014/24/UE, ai sensi del quale “Nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dell’assenza di motivi di esclusione e del rispetto dei dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dell’articolo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dall’amministrazione aggiudicatrice. Gli Stati membri possono escludere o limitare l’uso della procedura di cui al primo comma per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche”.
Come si nota, il Legislatore del 2019 ha inteso proprio limitare l’inversione procedurale alla specifica tipologia degli appalti sotto le soglie definite dall’articolo 36.
Il nuovo comma 5 di tale articolo, dunque, dispone: “Le stazioni appaltanti possono decidere che le offerte siano esaminate prima della verifica della documentazione relativa al possesso dei requisiti di carattere generale e di quelli di idoneità e di capacità degli offerenti. Tale facoltà può essere esercitata se specificamente prevista nel bando di gara o nell’avviso con cui si indice la procedura. Se si avvalgono di tale facoltà, le stazioni appaltanti verificano in maniera imparziale e trasparente che nei confronti del miglior offerente non ricorrano motivi di esclusione e che sussistano i requisiti e le capacità di cui all’articolo 83 stabiliti dalla stazione appaltante; tale controllo è esteso, a campione, anche sugli altri partecipanti, secondo le modalità indicate nei documenti di gara. Sulla base dell’esito di detta verifica, si procede eventualmente a ricalcolare la soglia di anomalia di cui all’articolo 97. Resta salva, dopo l’aggiudicazione, la verifica sul possesso dei requisiti richiesti ai fini della stipula del contratto”.
Questa disposizione consente, quindi:
  1. di aprire le buste contenenti le offerte prima di quelle contenenti la documentazione amministrativa;
  2. a condizione che ciò sia stato specificamente indicato nel bando di gara o nell’avviso (nel caso di selezione a seguito di indagine di mercato);
  3. a condizione che, comunque, di verificare che non ricorrano motivi di esclusione e ricorrano i requisiti di idoneità professionale; la capacità economica e finanziaria; le capacità tecniche e professionali:
    1. nei confronti dell’aggiudicatario;
    2. nei confronti di un campione dei partecipanti, indicato preventivamente sempre con gli atti di gara.
  4. con ricalcolo della soglia dell’anomalia, se uno dei partecipanti facenti parte del campione risulti non in possesso dei requisiti e, quindi, da escludere dalla gara.
L’inversione procedurale è, ovviamente, piuttosto utile a velocizzare le attività sia del seggio di gara, sia della commissione giudicatrice, esentando dalla verifica pedissequa della documentazione amministrativa di tutte gli operatori economici offerenti; un’attività, questa, defatigante, specie quando a presentare offerta siano decine e decine di operatori, come molto spesso accade.
C’è, tuttavia, da precisare che la previsione del nuovo comma 5 dell’articolo 36 ha ovviamente pregio solo per il caso degli appalti di lavori disciplinato dal comma 2, lettera d), del medesimo articolo 36, che consente di agire con modalità “semplificate” per “lavori di importo pari o superiore a 200.00 euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 mediante ricorso alle procedure di cui all’articolo 60, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 97, comma 8”.
Nel caso, infatti, degli appalti di lavori, servizi e forniture regolato dalla lettera b) del comma 2) – si tratta di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e fino a 199.999 euro, nonché di forniture o servizi di importo pari o superiore a 40.000 euro e fino alle soglie comunitarie – l’inversione procedurale non ha sostanzialmente alcuna utilità. Infatti, laddove l’amministrazione decida di utilizzare la procedura semplificata, nel caso di lavori può selezionare solo tre imprese tra le quali individuare il contraente; nel caso di lavori o servizi, può limitare la selezione solo a cinque operatori: risulta chiaro, dunque, che l’inversione procedurale in queste circostanze non serve a nulla.
Lavori sotto soglia: semplificazione che complica. Nel caso della lettera d) del comma 2 dell’articolo 36, oggettivamente la novellazione disposta dal d.l. 32/2019 limita la “semplificazione” alla possibilità di utilizzare in modo ampio il criterio del massimo ribasso e l’inversione procedurale nella fase di apertura delle buste.
A ben vedere, per converso, la “semplificazione”, un tempo prevista per gare con base fino al milione di euro (indagine di mercato per individuare almeno 15 concorrenti) è scomparsa. Infatti, per appalti di lavori compresi tra i 200.000 euro e la soglia comunitaria le amministrazioni non avranno più scelta: dovranno necessariamente utilizzare il sistema di gara della procedura aperta. Quello che, del resto, ai sensi del già visto articolo 56, comma 2, della direttiva 24/2014 consente proprio l’inversione procedurale.
Poichè si estende in modo ampio il criterio del massimo ribasso, nel sotto soglia l’articolo 97, comma 8, rende obbligatorio indicare nel bando la previsione dell’esclusione automatica dalla gara delle offerte che presentano una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi del comma 2 e commi 2-bis e 2-ter del medesimo articolo 97. L’esclusione automatica non può in ogni caso applicarsi se il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci.
Aggregazioni. Anche nel caso delle aggregazioni e delle centrali di committenza il Legislatore del 2019 si avvicina a rendersi conto che dal 2012 lo slogan, figlio delle varie (e inefficaci) spending review e dei commissari “officianti”, secondo il quale occorre accorpare le stazioni appaltanti, per “ridurle da 33.000 a 33” non ha prodotto alcun risultato, se non complicazioni e ingabbiamenti.
La Consip ed i soggetti aggregatori, come anche le centrali di committenza possono risultare effettivamente utili, non se si obbligano le amministrazioni ad avvalersene in modo acritico. E’ ben noto il paradosso (enunciato dalla Corte dei conti) che impone ai comuni di utilizzare le convenzioni Consip per l’erogazione del carburante, anche se il distributore convenzionato si trovi a distanze tali da rendere il servizio diseconomico.
Attuare gli slogan in modo acritico e senza adattamenti per casi specifici è miope. Consip e soggetti aggregatori possono rivelarsi realmente utili solo alle seguenti condizioni:
  1. orientino il mercato, attraverso i loro contratti, senza obbligare le stazioni appaltanti ad utilizzarli; le stazioni appaltanti debbono poter comunque valutare l’opportunità di attivarsi autonomamente, ponendo le condizioni dei contratti dei soggetti aggregatori come base per proprie gare, che eventualmente spuntino prezzi anche migliori;
  2. mettano a disposizione delle stazioni appaltanti una piattaforma unica nazionale, o piattaforme comunque dialoganti tra territori e dirette in modo coordinato, così da evitare l’irrazionale proliferazione di molteplici piattaforme e connessa pluralità di procedure;
  3. aiutino, secondo modalità sussidiarie, a richiesta degli enti, in fasi modulari: predisposizione del progetto, del capitolato, gestione della gara o di fasi di esse; la vera aggregazione utile è quella definita dall’articolo 3, lettera fffff) del codice: “«aggregazione», accordo tra due o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori per la gestione comune di alcune o di tutte le attività di programmazione, di progettazione, di affidamento, di esecuzione e di controllo per l’acquisizione di beni, servizi o lavori”, non l’accorpamento ad ogni costo. E’ l’attività di committenza ausiliaria prevista dall’articolo 37, comma 8, ad avvantaggiare le amministrazioni, non la soffocante centralizzazione, che per altro pone enormi problemi di incidenza sulla concorrenza, né mette al riparo dai problemi di corruzione (anzi, amplificati), come dimostra il caso clamoroso del facility management di Consip.
Dunque, il d.l. 32/2019 trasforma da obbligo a facoltà, per i comuni non capoluogo di provincia, gestire le procedure mediante centrale di committenza o soggetto aggregatore, o mediante unioni di comuni, o mediante la stazione unica appaltante costituita presso le province. I comuni si riappropriano, quindi, della decisione di procedere direttamente ed autonomamente, grazie alla modifica apportata all’articolo 37, comma 4, del codice.
Una “liberazione”, però, ancora solo parziale. Restano ferme le previsioni dei commi 1 e 2 dell’articolo 37. Il primo, rinvia ancora all’inopportuna qualificazione delle stazioni appaltanti; il secondo per gli acquisti di forniture e servizi di importo superiore a 40.000 euro e inferiore alla soglia comunitaria, nonché per gli acquisti di lavori di manutenzione ordinaria d’importo superiore a 150.000 euro e inferiore a 1 milione di euro (manca il coordinamento con le modifiche apportate all’articolo 36, comma 2, lettera d)…), obbliga ancora le stazioni appaltanti qualificate ai sensi dell’articolo 38 ad utilizzare gli strumenti telematici di negoziazione messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate secondo la normativa vigente. Pare evidente un ripensamento profondo anche e soprattutto dei commi 1 e 2 dell’articolo 37, oltre che l’abolizione dell’articolo 38.
Pubblicazioni. Una semplificazione concreta, invece, consiste nella modifica, giunta fin troppo tardi, all’articolo 29 del codice.
Sappiamo che tale norma implica la duplicazione delle tante, troppe pubblicazioni già imposte dalla disciplina degli appalti, inducendo a riprodurle anche su Amministrazione Trasparente, rendendo i Rup e i loro collaboratori alla stregua di scriba amanuensi, intenti a digitare dati e produrre pubblicazioni, invece di concentrarsi sugli appalti da gestire.
Fortunatamente, l’abolizione del “rito speciale” per gli appalti porta come “regalo” alle amministrazioni la cancellazione dal comma 1 dell’articolo 29, del seguente periodo: “Al fine di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’articolo 120, comma 2-bis, del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito della verifica della documentazione attestante l’assenza dei motivi di esclusione di cui all’articolo 80, nonché la sussistenza dei requisiti economico-finanziari e tecnico-professionali. Entro il medesimo termine di due giorni è dato avviso ai candidati e concorrenti, con le modalità di cui all’articolo 5-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, recante il Codice dell’amministrazione digitale o strumento analogo negli altri Stati membri, di detto provvedimento, indicando l’ufficio o il collegamento informatico ad accesso riservato dove sono disponibili i relativi atti. Il termine per l’impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione”.
Una gragnola di adempimenti e di scadenze viene, finalmente, risparmiata. Magari non si sbloccano i cantieri. Ma, almeno, si dà un piccolo colpo alla burocrazia.

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