La sentenza della Corte costituzionale sullo spoils system dei segretari comunali
Direttori generali all’angolo
Si chiudono le porte ai comuni sotto 100 mila abitanti
di Luigi Oliveri
Direttori generali vietati nei comuni con popolazione inferiore ai 100 mila abitanti. La sentenza della Corte costituzionale 23/2019 non ha l’effetto di modificare l’assetto della normativa vigente e riportare in vita la possibilità per i comuni di piccole dimensioni di avvalersi del direttore generale ed eventualmente affidare l’incarico al segretario comunale (si veda ItaliaOggi del 22 febbraio scorso).
Alcuni primi commentatori stanno fornendo della sentenza una lettura secondo la quale essa, invece, sembrerebbe sconfessare l’orientamento consolidato della Corte dei conti, secondo il quale in quella fascia di comuni la direzione generale non possa essere attribuita al segretario comunale.
Il passaggio della sentenza della Consulta considerato come supporto alla tesi della possibilità di riattivare la direzione generale nei comuni con meno di centomila abitanti è il seguente: «Nei Comuni con popolazione inferiore ai 100 mila abitanti (art. 97, comma 4, lettera e, del dlgs n. 267 del 2000, che rinvia all’art. 108, comma 4, del medesimo dlgs), il segretario può essere nominato (anche) direttore generale. In tal caso, è chiamato a svolgere funzioni di attuazione degli indirizzi e degli obbiettivi stabiliti dagli organi di governo dell’ente, dovendone predisporre il piano dettagliato, e a lui rispondono, nell’esercizio delle loro attività, i dirigenti dell’ente».
Tuttavia, quanto afferma in questo stralcio della sentenza la Consulta non può in alcun modo fondare la teoria della riviviscenza del direttore generale nei comuni con meno di centomila abitanti, per due ragioni.
La prima, fondamentale, è che si tratta di un passaggio della motivazione. Ovviamente, come per tutte le sentenze, la motivazione delle decisioni della Consulta è elemento essenziale per l’esposizione delle valutazioni compiute, che portano poi al dispositivo. Ma, le pronunce della Corte costituzionale producono evidentemente il loro effetto, cioè il rigetto della questione di legittimità o il suo accoglimento (con declaratoria di illegittimità costituzionale), esclusivamente sulle norme che il giudice rimettente ha considerato sospette di illegittimità costituzionale.
Nel caso di specie, la Consulta, sulla base delle argomentazioni svolte, ha rigettato la questione sollevata dal Tribunale del lavoro di Brescia con esclusivo riferimento all’articolo 99 del dlgs 267/2000. L’articolo 108 del medesimo dlgs 267/2000 non è minimamente toccato dalla decisione della Corte costituzionale.
In secondo luogo, la parte motivazionale della sentenza è, in questo caso, in chiarissimo contrasto con la normativa vigente e, in particolare con quanto prevede l’articolo 2, comma 186, lettera d), della legge 191/2000, il quale impone ai comuni la «soppressione della figura del direttore generale, tranne che nei comuni con popolazione superiore a 100 mila abitanti».
Non è, dunque, la giurisprudenza della magistratura contabile ad aver elaborato una teoria passibile di essere «sconfessata» dalla sentenza della Consulta 23/2019. La Corte dei conti, quando è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità per i comuni con meno di 100 mila abitanti di incaricare un direttore generale o di conferire detto incarico al segretario comunale, altro non ha fatto se non ricordare l’obbligo imposto dalla legge di eliminare il direttore generale in quella categoria di enti.
Né la sentenza della Consulta 23/2019 può sortire effetto alcuno di riviviscenza della possibilità un tempo offerta dall’articolo 108 del dlgs 267/2000 a tutti i comuni, tranne quelli con meno di 15.000 abitanti, di avvalersi del direttore generale.
In conclusione, qualsiasi lettura della sentenza della Consulta 23/2019 teso ad evidenziare la legittimità di ciò che la legge ha espressamente inteso sopprimere non può che rigettarsi, evidenziando la responsabilità erariale connessa all’eventuale ripristino del direttore generale negli enti con meno di centomila abitanti, connessa all’espressa qualificazione della soppressione di questa figura in tali enti ad esigenze di finanza pubblica.
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