27.01.2015 – Riflessioni sui diritti di rogito e compartecipazione dei segretari comunali e provinciali (seconda parte)

Riflessioni sui diritti di rogito e compartecipazione dei segretari comunali e provinciali (seconda parte)

di Francesco Colacicco 

Segretario/direttore generale a r. della Provincia di Roma

tratto da Comuni d’Italia, Maggioli editore

 

3. La funzione rogatoria

Operato l’accantonamento di quanto spetta al Ministero dell’interno, la parte residua del gettito (dei diritti), costituente la quota di pertinenza dell’ente, va ripartita con il segretario rogante nei modi prescritti dalla norma in commento. L’attribuzione del compenso può essere disposta in ogni momento e nella misura massima consentita, in considerazione del fatto che, oltre ai conosciuti limiti di legge, nessuna altra condizione, fosse pure temporale o di altra natura, vi può, in qualche misura, ostare. Per il corretto procedere è, difatti, essenziale che, nell’attività contrattuale dell’ente, si sia registrato l’intervento del segretario e che, di conseguenza, si sia proceduto al recupero dei diritti di rogito.

L’emolumento, che è parte fondamentale del trattamento economico del segretario, non ha natura di corrispettivo per l’opera professionale svolta ma di vera e propria remunerazione delle peculiari attività, cui egli deve attendere nell’esercizio della funzione rogatoria e che, all’evidenza, eccedono l’ambito delle attribuzioni riconducibili, di norma, al pubblico impiego, poiché esse non costituiscono diretta estrinsecazione di alcuna delle funzioni istituzionali, di cui comuni e province sono titolari. In pari tempo, lo risarcisce del particolare tipo di responsabilità, cui per ciò stesso è esposto e che sono altra cosa da quelle responsabilità, che lo riguardano per via dell’espletamento dei compiti inerenti al rapporto di servizio con l’ente. Il segretario, nello svolgimento di quella funzione, deve attenersi alle norme che disciplinano l’attività e segnatamente a quelle che regolano l’attività notarile, quali quelle di cui alla legge 13.2.1913, n. 89, sull’ordinamento del notariato, e quelle di cui al r.d. 10.9.1914, n. 1326, recante il regolamento per l’esecuzione della legge 89/1913. Ciò in virtù del fatto che “i contratti in forma pubblica sono ricevuti con l’osservanza delle norme prescritte dalla legge notarile per gli atti notarili, in quanto applicabili” (1).

Gli adempimenti da disbrigare sono tanti e delicati e tante, per l’effetto, sono pure le responsabilità, in cui incorre (2).

Nell’esercizio della funzione – che è svolta dal segretario in proprio e senza vincoli di subordinazione – , egli risponde penalmente, civilmente e amministrativamente sia verso l’ente sia verso i terzi e sia verso il sistema statale (certezza e pubblicità degli atti pubblici e regime fiscale) nel limite e con le regole proprie della legge notarile. Gli obblighi di servizio del segretario in tale attività vanno individuati nella serie di adempimenti e nel rispetto delle regole formali previste dalla legge notarile, dal codice civile e dalle leggi speciali e tributarie regolanti la materia (3).

Come è abbastanza evidente, i profili di responsabilità, connessi all’assolvimento dei compiti inerenti alla funzione, sono rilevanti e il segretario ne risponde sempre di persona anche quando riuscisse a provare che un qualche inadempimento è dipeso da causa a lui non direttamente imputabile ma, per esempio, da carenze della struttura messa a disposizione dall’ente.

Di queste responsabilità e, naturalmente, della delicatezza delle funzioni, il legislatore si è fatto giustamente carico nel momento in cui ha ripristinato la compartecipazione dei segretari comunali e provinciali ai diritti riscossi per gli atti da essi ricevuti.

In tal modo, è riuscito ad incentivare l’attività di pubblica esigenza all’interno degli enti, ovviando – e non è poca cosa – al dispendioso ricorso alle prestazioni dei notai, ed ha, in pari tempo, apprestato gli strumenti per incrementarne le entrate correnti.

Quelle evidenziate sono, senza dubbio, la ragion d’essere e le finalità sociali (la c.d. ratio legis), che il legislatore ha inteso perseguire, allorquando, con la norma di cui all’art. 41, comma 4, della legge 312/1980, ha riservato, della quota dei diritti di competenza di comuni e province, il 75% al segretario rogante, che, tuttavia, non può percepirne, nel corso di un anno, mai in misura superiore al terzo dello stipendio in godimento.

Riflettendoci, l’attività del segretario rogante comporta soltanto concreti vantaggi economici, poiché non incrementa affatto le spese, al contrario le riduce sensibilmente (le competenze dei notai, cui vanno aggiunti gli oneri per bolli, registrazione ecc., quando a carico dell’ente, superano, e di tanto, per ogni contratto le competenze spettanti al segretario e che finanziariamente, si badi bene, non gravano sul bilancio) e procura, agli enti, entrate, quale che sia la relativa consistenza, che viceversa non si avrebbero se la stipula avvenisse per rogito notarile. Tutto ciò senza minimamente trascurare i vantaggi economici, che ne trae anche la controparte.

 

3.1. La ripartizione dei diritti

Al segretario rogante, va dunque corrisposto il 75% della quota spettante all’ente sui diritti riscossi sino però alla concorrenza del terzo del suo trattamento economico annuo.

Nessuna disposizione, legislativa o contrattuale, individua il momento in cui è consentito procedere alla corresponsione di quel compenso e meno che mai vieta che vi si attenda persino immediatamente dopo l’effettuazione della prestazione di pubblico accertamento, non rilevando, in proposito, né il tempo impiegato dal segretario per il relativo svolgimento né, addirittura, la durata del suo rapporto organico con l’ente.

In precedenza, la giunta, in conformità all’art. 41, comma 2, della legge 8.6.1962, n. 604 (4), provvedeva alla liquidazione dei diritti di segreteria e ne disponeva il conguaglio a fine anno, posto che la quota massima, spettante annualmente ai segretari comunali e provinciali, veniva commisurata alla metà dello stipendio e degli assegni per carichi di famiglia percepiti dagli interessati.

La norma, sebbene mai abrogata, non è più produttiva di effetti, poiché, nel sistema nel quale era collocata, regolava la compartecipazione del segretario al gettito di tutti i diritti di segreteria, compresi quelli per le certificazioni amministrative di cui ai nn. da 6 a 8 della tabella D). Se ne potrebbe allora sostenere l’abrogazione tacita o per incompatibilità, giacché non v’è chi non veda il grado di contraddizione logica e formale, che ne deriverebbe se la si applicasse contestualmente alla norma di cui all’art. 41, quarto comma, della legge n. 312/1980. Ovvero l’abrogazione per desuetudine – se questa non confliggesse con l’art. 8 d.p., c.c. – , in considerazione del fatto che non trova applicazione da quando (5) cessò di avere efficacia la disposizione concernente la ripartizione dei diritti di segreteria (art. 27 d.P.R. 749/1972 cit.).

È tuttavia da escludere un suo recupero con ricorso all’analogia, dal momento che l’analogia, in generale, non può abbracciare norme giuridiche non coeve né tantomeno esistenti nello stesso sistema legislativo e soprattutto perché non vi sono lacune o spazi vuoti nell’ordinamento giuridico da colmare (6). Tanto più che, nella legge 312/1980, per quanto attiene al caso specifico non si rinvengono carenze tali da pregiudicarne, in qualche modo, una applicazione piena e puntuale.

Il dato “75%”, come elemento operativo, ha una doppia valenza giacché costituisce limite oggettivo e insuperabile tanto per le spettanze del segretario rogante quanto per il correlato onere da iscrivere nel bilancio dell’ente.

Infatti, per la determinazione del complessivo importo da allocare nel documento contabile per fronteggiare le esigenze del servizio, deve, ineludibilmente, farsi riferimento a quel dato, poiché la relativa spesa non può che essere prevista in misura pari al 75% del 90% delle risorse iscritte nella parte “entrata” del bilancio a titolo di “diritti di segreteria e/o di rogito”. All’interno di quello stanziamento, tutte le volte che si verifichino le prescritte condizioni (svolgimento delle prestazioni e riscossione dei relativi diritti), l’ente non può sottrarsi all’obbligo di riconoscere al (meglio dire a ogni) segretario, che abbia attribuito pubblica fede ai suoi contratti, il dovuto compenso. Il quale compenso, quando, in relazione al gettito dei diritti, l’applicazione della “prima misura” (75% del 90%) dia luogo a eccedenti quote di compartecipazione, incontra l’altro limite – questa volta soggettivo – , costituito dal terzo dello stipendio in godimento dell’ufficiale rogante avente diritto.

 

3.2. I diritti quale entrata a specifica destinazione – impiego

I diritti di rogito sono, a tutti gli effetti, entrate a specifica destinazione (7) e, stante la loro indiscussa natura tributaria, delle vere e proprie tasse di scopo; conseguentemente, pur costituendo, come la generalità delle tasse, il “prezzo” per la fruizione di un servizio o di un’attività di assistenza svolti dall’ente, il loro gettito non può essere utilizzato alla stregua di tutte le altre risorse disponibili per il cosiddetto funzionamento del sistema, giacché, per legge, deve essere destinato al finanziamento di specifiche attività.

Le entrate di questo tipo sono utilizzate esclusivamente per far fronte alle spese, alle quali sono vincolate per legge o per atto amministrativo e che possono essere correnti o di investimento. Entrate e spese sono tra loro rigorosamente correlate, per cui le risorse, solo se acquisite al bilancio o accertate, possono essere utilizzate per la finalità prevista dal vincolo. Normalmente, le economie, che si registrano nella relativa gestione, concorrono a formare l’avanzo vincolato e come destinazione non possono che avere quella originaria. Non così, tuttavia, avviene per i diritti di rogito, le cui eccedenze (non si può, a stretto rigore, parlare, nel caso di specie, di economie di spesa) entrano nella piena disponibilità dell’ente, che può liberamente utilizzarle per incrementare gli stanziamenti di altre spese correnti.

L’allocazione delle poste in bilancio avviene a fasi invertite, nel senso che la spesa attesa per la quota riservata al Ministero dell’interno e quella per il compenso al segretario rogante vengono calcolate in relazione all’entità del gettito presunto. Contrariamente a quel che succede per tutte le altre voci di bilancio.

L’impostazione del documento contabile viene, difatti, avviata con la determinazione delle spese nel loro complesso, dopo valutazione attenta e responsabile delle obiettive esigenze dei vari servizi e con l’elaborazione progettuale dei singoli interventi. A questa fase segue quella del reperimento delle occorrenti risorse, con le azioni da promuovere per la loro effettiva acquisizione.

Tutte le risorse, indipendentemente dalla loro natura, costituiscono un fondo unico destinato a fronteggiare, nella loro totalità, le spese pubbliche. In poche parole, l’insieme delle entrate costituisce un’entità globale e inscindibile, il cui carattere unitario esclude il collegamento di singoli cespiti di entrata con specifiche voci di spesa (8), in puntuale applicazione del principio di unità del bilancio.

Per questa caratteristica, che è fondamentale per la certezza e per la veridicità dei dati nonché per la credibilità stessa del bilancio, tutte le entrate, complessivamente considerate, finanziano, senza distinguerne alcuna, il totale delle spese, fatte salve le eccezioni espressamente previste (9).

E le eccezioni sono appunto costituite dalle entrate a specifica destinazione, sia di parte corrente o ordinaria, come, tanto per citarne solo alcune, gli stessi diritti di segreteria e di rogito o quelle assegnate per l’esercizio di funzioni conferite, sia di parte straordinaria, come, tra le altre, quelle derivanti dall’assunzione di mutui o da contributi di altri enti per l’esecuzione di opere pubbliche.

Questo tipo di entrate, oltre a derogare al principio di equilibrio economico a causa degli oneri di urbanizzazione, incide anche sul principio dell’unità del bilancio poiché quelle risorse finanziarie, piuttosto che contribuire al generale e unitario finanziamento delle spese, conservano il vincolo originario e non possono essere distratte per altro titolo né destinate a un fine diverso da quello per il quale sono state previste e acquisite. È possibile, tuttavia, distoglierle dalle casse solo temporaneamente, nei termini e nei limiti disciplinati dall’art. 195 del t.u.e.l., per sopperire a momentanee esigenze di cassa (10). Al relativo accertamento è tenuto il responsabile del competente Servizio Finanziario, cui incombe pure la verifica dell’avvenuta riscossione. In particolare, quando appone il visto di regolarità contabile sulle determinazioni che ne dispongono l’impiego, deve, per attestare la copertura della relativa spesa, verificare e dare atto dello “stato di realizzazione degli accertamenti di entrata vincolata” (11).

Gli adempimenti al riguardo non presentano difficoltà di rilievo, sia che si verta sui diritti di segreteria che sui diritti di rogito.

Del riparto e della compartecipazione del segretario rogante si è già detto. È opportuno e utile soffermarsi, ora, su alcuni aspetti non marginali, allo scopo di meglio delinearne la soluzione.

Il gettito dei diritti di rogito è frutto dell’attività svolta dal segretario rogante, che, per quanto esposto in precedenza, non può pretendersi sia sempre lo stesso per ogni ente e per un intero anno, posto che le dinamiche legate al rapporto di servizio ben possono dar luogo all’avvicendamento, in una medesima sede, di più ufficiali roganti (il titolare, gli eventuali successori, i sostituti).

Il totale dei compensi a costoro corrisposto mai, in pratica, porterà al totale utilizzo della somma appostata in bilancio. Dovesse – ma questa è solo una ipotesi di scuola – accadere il contrario, all’integrazione dello stanziamento si attenderà, apportando, al bilancio di previsione, tanto in entrata che in uscita, le variazioni del caso, con l’utilizzazione percentuale della maggiore entrata fatta registrare dall’extragettito dei diritti. Dopo il 30 novembre, all’eventuale scostamento per sopraggiunte esigenze, chiaramente conseguenti a una imprevista e imprevedibile “grande attività rogatrice”, si potrà legittimamente far fronte, prelevando (12) le occorrenti risorse dal fondo di riserva. La maggiore entrata correlata non potrà, ovviamente, essere utilizzata; concorrerà, tuttavia, a formare o a contenere, rispettivamente, l’avanzo ovvero il disavanzo di gestione e o di amministrazione.

 

3.3. Lo stipendio in godimento

Giova, a questo punto, ricercare il significato e il contenuto che, secondo le intenzioni del legislatore, hanno da darsi all’espressione “stipendio in godimento”, in contrapposizione a quella “stipendio goduto o percepito”.

Come già accennato, in precedenza i diritti, compresi quelli per le certificazioni, venivano attribuiti in misura pari alla metà dello stipendio e degli assegni per carichi di famiglia percepiti dai segretari (art. 40, comma 4, legge 604/1962 cit.) e, da un certo periodo in poi, in misura pari a un terzo delle stesse voci retributive percepite dai soli segretari non dirigenti (art. 27, comma 2, d.P.R. 749/1972 cit.). La relativa disciplina, abrogata, come già detto, dall’art. 30, primo comma, della legge 734/1973, non può essere fatta rivivere, mancando, in quella vigente, qualsiasi riferimento, implicito o indiretto che sia. Né può essere fatta rivivere con interpretazioni apoditticamente forzate e nient’affatto convincenti, tanto più che è impossibile dimostrare che, al legislatore, non fosse nota la differenza tra un predicato verbale al tempo presente e uno al tempo passato.

Quell’espressione sta, dunque, a indicare, non già lo stipendio percepito o goduto, bensì lo stipendio o, più precisamente, il trattamento economico su base annua, che, contrattualmente, compete al segretario e di cui egli ha il godimento, quando viene chiamato a esercitare la funzione di ufficiale rogante, giacché solo in quella circostanza sorge per lui il titolo a essere retribuito. Quel che accade dopo non ha alcuna importanza né incide sulla determinazione di quanto a lui spettante e che prescinde dall’ammontare delle rate stipendiali effettivamente riscosse fino a quel momento.

Le locuzioni sopra indicate sono, quanto ai riferimenti temporali, di segno diametralmente opposto e non possono avere identico significato. La prima (stipendio percepito o goduto) esprime un’azione compiuta o definita in relazione a situazioni o fatti pregressi ovvero, per restare in argomento, a un diritto fruito, a una retribuzione maturata, percepita e utilizzata. Resa dalla forma relativa implicita a quella esplicita si avrà la locuzione “lo stipendio, che è stato percepito”, per averne avuto il godimento. Al contrario, l’altra (stipendio in godimento) esprime, con ogni evidenza, un’azione in fase di svolgimento e perdurante, che si riferisce, oltre che a un diritto ancora da fruire o al più in corso di fruizione, a una condizione presente, attuale e continuativa, proiettata oltretutto a un momento, che segue dinamicamente; per rimanere in argomento, la locuzione esprime la relazione con uno stipendio di cui il titolare dispone e ha la facoltà, piena, di fruire incondizionatamente e, nella forma relativa esplicita, diventa “lo stipendio che è in godimento o di cui si ha il godimento”.

In proposito, soccorre la posizione di estrema chiarezza, assunta dall’Aran (13), secondo cui la quota spettante al segretario rogante va rapportata all’”importo effettivo in godimento”, cioè al totale complessivo delle somme annue dovute per le singole voci retributive di cui all’art. 37, comma 1, del C.c.n.l. 2001, con l’aggiunta, si può ben dire, di quella per la tredicesima mensilità e con l’ovvia esclusione di quelle per la retribuzione di risultato e per gli stessi diritti di segreteria.

Questo, e soltanto questo, è dunque lo stipendio o il trattamento economico, oggetto della presente ricerca; che è poi quello che – definito, con provvedimento avente natura meramente ricognitiva, in sede di ricostruzione giuridica ed economica della carriera, in attuazione di contratto di lavoro – viene riportato, insieme a quello di tutti gli altri dipendenti, nell’apposito “tabulato riepilogativo delle spese per il personale”, allegato al bilancio di previsione dell’ente. E che, concettualmente, non sembra abbia un significato molto diverso da quello dell’espressione “misura massima teorica”.

Della sua intera effettiva consistenza al momento in cui il segretario è chiamato a svolgere la funzione di pubblico accertamento si deve tener conto per determinare il terzo da corrispondere.

Non avrebbe senso, allora, sostenere, per ipotesi, che, in caso di cessazione dal servizio (per collocamento a riposo, come per dimissioni o per trasferimento) successivamente all’espletamento dei compiti inerenti a quella funzione, lo stipendio annuale in godimento del segretario non esiste più. È naturale che sia così e si ha, pertanto, qualche difficoltà a comprendere perché mai dovrebbe continuare a sussistere quella condizione dopo la maturazione del diritto al compenso e anche oltre, nel tempo.

Per questo motivo, non sarebbe proprio il massimo e sarebbe persino inconcepibile se, in particolare per il segretario collocato a riposo, si sostenesse che, più che di stipendio annuo in godimento, si dovrebbe semmai parlare di pensione annua in godimento; costui, difatti, il diritto pieno a quel compenso lo ha acquisito, si ripete, in servizio, nel corso del quale ha esercitato quella funzione, e solo a quella determinata circostanza va riferita l’entità del dato, che, come è evidente, costituisce la grandezza complessiva in rapporto alla quale calcolare la più contenuta remunerazione delle prestazioni rese. La quale remunerazione va, quindi, corrisposta al segretario rogante in qualsiasi momento e per intero, a prescindere dalla durata del suo rapporto con l’ente. Quando, però, il 75% è eccedente, se ne deve ridurre l’importo alla seconda misura, giacché questa costituisce un limite soggettivo e personale, finalizzato a contenere un eccessivo arricchimento del segretario e non già a tutelare l’amministrazione, che, in fin dei conti, non finanzia in proprio e direttamente la relativa spesa.

Peraltro quello della tutela è un intento che non traspare dal tenore letterale della norma, per cui “l’unico limite, che si rinviene nella normativa in materia e che deve essere rispettato, è quello che dispone che nell’anno non possono essere liquidate compartecipazioni in misura superiore al terzo dello stipendio in godimento, essendo indifferente il periodo dell’attività rogante” (14). Oltretutto perché “il limite di ordine temporale rappresentato dal numero dei giorni di effettivo servizio svolto nell’anno […] è assente dalla dizione letterale dell’articolo in questione e troppo difficile sarebbe argomentare a contrario per poterlo sostenere” (15).

L’ammontare del compenso di che trattasi non è quindi rapportabile né all’entità della retribuzione percepita né all’effettiva durata del servizio svolto dall’ufficiale rogante in ragione del rapporto che lo lega all’ente. Se così non fosse, il segretario, incaricato dello scavalco per ricevere, ad esempio, uno o più contratti, esplicherebbe i delicati compiti, con la conseguente assunzione delle relative responsabilità, a titolo pressoché gratuito. Estrinsecandosi, difatti, la sua attività in non molte ore o, al più, in qualche giorno di effettiva applicazione, la misura del compenso, ragguagliata al terzo dello stipendio o trattamento economico goduto, sarebbe più che risibile se non addirittura offensiva. Non occorre certo scomodare la Carta costituzionale per accorgersi che una soluzione di tal fatta è chiaramente illogica e giuridicamente insostenibile.

 

3.3.1. La posizione di dottrina e giurisprudenza

L’interpretazione sopra delineata è, peraltro, confortata dai convincenti orientamenti della prevalente giurisprudenza, che, salvo pochissimi e davvero risalenti tentennamenti, si è attestata, consolidandosi, su posizioni chiare e ben argomentate. Secondo gli indirizzi, che ne emergono, per stipendio in godimento non può che intendersi, dal punto di vista letterale, la retribuzione tabellare annua teorica e non già quella effettivamente percepita dal segretario rogante per il periodo di servizio prestato, poiché, nella norma, è assente l’elemento della temporalizzazione del compenso, che costituiva, viceversa, caratteristica dell’art. 41 della legge 604/1962. È, di conseguenza, errato collegare il carattere della continuità della retribuzione alla durata del rapporto di servizio. Pertanto, dal punto di vista logico-sistematico, i diritti spettanti al segretario rogante vanno calcolati sul 75% della quota dell’ente, fino però alla concorrenza di un terzo del suo stipendio annuo in godimento, a prescindere dal periodo di riferimento e dalla durata del predetto rapporto. Essi, i diritti, remunerano, difatti, l’attività delicata e particolare, che espone il segretario a responsabilità di carattere speciale, posto che, come si è già visto, la funzione rogatoria non può farsi rientrare nell’ambito di quelle particolari attribuzioni, che caratterizzano il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione ( 16).

Trattasi, come è evidente, di approdi coerenti e sufficientemente motivati, la cui forza persuasiva non può essere scalfita da pareri e risoluzioni in sé non condivisibili per la semplice ragione che, volendo interpretare diversamente la norma, si basano su argomentazioni giuridiche non propriamente corrette né pertinenti alla vera natura della questione e soprattutto non in linea con il quadro ordinamentale in vigore; e che, per sminuirne la portata, arrivano persino a sostenere che quella giurisprudenza è stata oscillante e soggetta ad alterne vicende e che, oltretutto, quella favorevole “appare piuttosto datata”.

Ma, se pure questo fosse vero, una giurisprudenza di tal fatta, vale a dire datata, se non sconfessata o confutata da altra del medesimo rango, non potrebbe stare, soprattutto, a significare che le sue risoluzioni trovano unanime condivisione nel mondo degli operatori del diritto?

In ogni caso, con quelle argomentazioni sembra si voglia ignorare che le pronunce giurisprudenziali, fatte oggetto di ingiustificata critica, risalgono quasi tutte a tempi successivi alle poche di segno opposto (17) e che queste ultime non sono riuscite a “far testo” né a suscitare il benché minimo consenso.

Per questa giurisprudenza, decisamente minoritaria, la norma in commento fa riferimento allo stipendio percepito dal segretario per il servizio reso nel periodo in cui è chiamato a svolgere le funzioni di pubblico accertamento e, di conseguenza, il terzo va su quello calcolato.

Ne discende che la quota dei diritti spettante, dovendo essere rapportata ai giorni di effettivo servizio, non potrà mai superare un terzo di tanti trecentosessantacinquesimi dello stipendio del segretario rogante per ogni giorno di servizio prestato e retribuito nell’anno solare. Poiché, se si prendesse in considerazione lo stipendio annuo lordo in godimento, il relativo terzo provocherebbe una gravosa situazione finanziario-contabile, che lieviterebbe vieppiù nel caso di più segretari, che prestassero servizio, in un anno, nella medesima sede (18).

Ma se, tanto per fare degli esempi un tantino banali e forse pure provocatori, il segretario roga, entro la prima quindicina del mese di gennaio, tanti contratti con gettito rilevante dei diritti e non roga più fino alla fine dell’anno, la quota a lui spettante va ragguagliata allo stipendio per il periodo dal primo gennaio al giorno dei rogiti o a quello percepito per l’intero mese di gennaio? Se, viceversa, egli riceve quello stesso numero di contratti nel solo mese di dicembre, come vanno calcolate le sue competenze per la partecipazione al rilevante gettito dei diritti di rogito?

I casi ipotizzati riguardano uno stesso segretario, che, in servizio per un intero anno in uno stesso ente, riceva, in uno di quei periodi, gli stessi contratti con riscossione degli stessi diritti.

Secondo le conclusioni sopra illustrate, il “povero cireneo”, nel primo caso, porterà solo la croce, mentre, nel secondo, la croce gli sembrerà meno pesante. Le sue responsabilità tuttavia non cambiano; pure queste sono sempre le stesse, in entrambi i casi.

E non è tutto: quali disposizioni autorizzerebbero, nel primo caso, l’ente a trattenere per sé quasi interamente la quota (90%) dei diritti riscossi?

Si è, anche, affermato che per stipendio in godimento non può intendersi lo stipendio tabellare annuo, poiché una interpretazione di questo tipo contrasta con argomenti di natura letterale, che non portano a ritenere che si riferisca alla retribuzione su base annua. L’entità dei diritti da corrispondere al segretario rogante, che è la spesa, cui l’ente deve far fronte, non può variare a seconda del numero degli ufficiali roganti (19).Ciò a conferma del fatto che lo stipendio in godimento non può che essere quello percepito dall’ufficiale rogante fino al momento in cui viene chiamato a prestare la sua opera (20).

E, ancora, che il terzo dello stipendio, costituendo il limite massimo della spesa a carico del bilancio dell’ente, deve essere calcolato esclusivamente sullo stipendio attribuito al segretario e ripartito tra lo stesso e i suoi sostituti. Viceversa, se a tutti gli ufficiali roganti, in contrasto con l’intento del legislatore, venisse attribuito il compenso massimo, si avrebbe oltretutto l’indebita riduzione della quota spettante all’ente (21).

Le decisioni si basano sulla convinzione che il compenso spettante al segretario è sostanzialmente spesa finanziata dall’ente con proprie risorse. Cosa non vera, poiché, come si sa, per la stipula dei contratti per rogito del segretario (e dei sostituti, ovviamente) sono dovuti, dalla controparte, i diritti, il cui gettito è da ripartirsi in conformità alla legge. Parimenti non vera è pure la considerazione, secondo cui si risolverebbe in danno della quota dei diritti di competenza dell’ente l’attribuzione del compenso pieno (un terzo dello stipendio o trattamento economico annuo in godimento) al segretario e agli altri ufficiali roganti.

A tutti costoro, quale che sia il numero, va invece attribuito, sui diritti riscossi per gli atti e i contratti da ciascuno ricevuti, il 75% della quota spettante all’ente fino al limite più sopra detto; questa quota non viene mai intaccata, nemmeno surrettiziamente, come non viene intaccata quella riservata al Ministero dell’interno (22).

———-

(1) Art. 96 r.d. 23.5.1924, n. 827.

(2) Per i vari tipi di responsabilità in cui incorre il “segretario rogante”, cfr. Lucca M., op. cit., pp. 141 e ss.

(3) Principato L., La responsabilità (civile, penale e contabile) del segretario, Perugia, Maggioli, 1983, p. 217, in “Le funzioni vecchie e nuove del segretario comunale e provinciale”, a cura del C.E.S.O.P.A.

(4) “Alla liquidazione dei diritti di segreteria provvede la giunta alla fine di ciascun mese salvo il conguaglio annuale ai sensi dell’ultimo comma dell’art. precedente”.

(5) Art. 30 legge 15.11.1973, n. 734: “Con effetto dal 1° gennaio 1973 gli artt. 26 e 27 del decreto del Presidente della Repubblica 23 giugno 1972, n. 749, sono abrogati e la tabella E, allegata al citato decreto, è soppressa”.

(6) TAR Lazio, sez. I-ter, 10.2.1990, n. 175. Per la sezione “può sorgere il dubbio se la disposizione sulla liquidazione mensile dei compensi, di cui all’art. 41, secondo comma, della legge 604/1962, non riprodotta nella legge 312/1980, possa per avventura ricevere applicazione attuale mediante un ragionamento per analogia. Anche su questo punto la risposta del Collegio è negativa, sia perché alla stregua dell’art. 12 cpv disp. prel. cod. civ. è da escludere che nel nostro ordinamento l’analogia possa abbracciare norme succedutesi nel tempo, l’elemento mancante della norma da integrare per analogia potendosi desumere solo da altre norme coesistenti o dai principi generali; sia perché manca nella specie l’elemento fondamentale che giustifica il ricorso all’analogia, in quanto i casi regolati dalle leggi 604/1962 e 312/1980 non sono simili. La compartecipazione riguarda infatti prevalentemente diritti di segreteria per certificazioni amministrative nella legge n. 604, mentre concerne esclusivamente diritti di rogito nella legge 312/1980, onde si evidenziano considerevoli diversità nell’uno e nell’altro caso quanto alla materia regolata e agli intenti perseguiti dalla legge”.

(7) Delfino M., Manuale del Ragioniere comunale, Gruppo Editoriale Esselibri-Simone, Napoli, 2009, p. 78.

(8) Corte dei conti, Sezione di controllo per la Regione Sardegna, parere n. 2/2004 – deliberazione n. 6/2004, 27.7.2004.

(9) Art. 162 t.u.e.l. “Il totale delle entrate finanzia indistintamente il totale delle spese, salvo le eccezioni di legge” (comma 2).

(10) C. Cossiga, Gestione del bilancio – Entrate in “L’Ordinamento degli enti locali”, a cura di F. Caringella, A. Giuncato, F. Romano, IPSOA, 2001, pagg. 795 e 796.

(11) Art. 153 t.u.e.l.. “(…). Il responsabile del servizio finanziario effettua le attestazioni di copertura della spesa in relazione alle disponibilità effettive esistenti negli stanziamenti di spesa e, quando occorre, in relazione allo stato di realizzazione degli accertamenti di entrata vincolata secondo quanto previsto dal regolamento di contabilità” (quinto comma, parte seconda).

(12) Si potrebbe dire, forse non tanto impropriamente, anche “stornando”. In realtà, le accezioni “storno”, “prelievo” e “prelevamento” hanno tutte lo stesso significato e la stessa funzione, che è quella di trasferire o spostare fondi all’interno del bilancio di previsione. La prima accezione non sembra trovare cittadinanza nell’ordinamento vigente. Nel precedente, “gli storni di fondi” potevano essere disposti “da un articolo all’altro della stessa categoria, o da una categoria all’altra del bilancio”, purché, tra l’altro, “la somma da prelevarsi sia realmente disponibile (…)” (art. 318 TULCP n, 383/1934).

(13) SEG23 05/12/2011 – Come si calcolano i diritti di segreteria dei segretari, secondo la disciplina del C.c.n.l.?

Per il calcolo dei diritti di segreteria, l’art. 37, comma 3, del C.c.n.l.dei segretari comunali e provinciali del 16/05/2001 indica, come base di calcolo, le voci retributive elencate nel comma 1 del medesimo art. 37, con esclusione della lett. f) e cioè della retribuzione di risultato e, naturalmente, della lett. g) che rappresenta il risultato del calcolo.

Naturalmente le citate voci retributive devono essere prese in considerazione per l’importo effettivo in godimentoda parte del lavoratore interessato; non può, pertanto, essere condivisa l’ipotesi di una “misura massima teorica” che certamente è estranea alla formulazione letterale del testo contrattuale e a ogni logica di ragionevolezza.

(14) Cons. Stato, sez. I, 22.2.1989, parere 24.7.1988, avente per oggetto “Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal sig. G.F. avverso ordinanza del Co.Re.Co. di Torino”.

(15) Relazione, al Ministro dell’interno, della Direzione generale dell’amministrazione civile dello stesso Ministero n. 17200.6290 del 18.8.1988.

(16) Marchegiani S. – Mancini N., Diritti di rogito per i vicesegretari: la Corte dei conti ripristina la consolidata giurisprudenza amministrativa, Azienditalia-Il personale, IPSOA Editore, Milano, n. 7/2012, pp. 256 e ss.

(17) Carlino C. – Continella V., Diritti di segreteria/rogito. Perché non convincono le posizioni dell’ARAN e della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti (parere n. 15/2008), in www.segretarientilocali.it, Archivio News, 19.5.2011.

(18) TAR Emilia-Romagna, Bologna, 9.5.1986, n. 249. Per la sezione, se si prendesse “come base di calcolo per il terzo spettante, lo stipendio annuo lordo in godimento, si verrebbe a creare, nella fattispecie, una situazione finanziario-contabile nella quale il comune dovrebbe corrispondere ai funzionari succedutisi a capo della sua segreteria sempre la quota massima (pari a 1/3 dello stipendio a.l.), per l’attività rogante, risultando la quota secondo il calcolo del 75% esorbitante, in entrambi i casi, da tale limite. E ciò appare illogico, ove si consideri che in tal modo con la stessa cifra verrebbero compensate attività di diversa entità e durata”.

(19) Cons. Stato, sez. IV, 9.77.1989, n. 773. “Sotto questo aspetto, l’entità dell’onere finanziario dell’ente locale nella corresponsione al segretario rogante dei diritti de quibus non può derivare dall’evento accidentale della permanenza di uno stesso dipendente nella sede per un periodo inferiore all’anno solare, piuttosto che per l’intero anno. Né il principio indicato nell’art. 36, primo comma, Cost. – secondo cui il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro – appare in contrasto con l’interpretazione qui accolta. Al contrario, proprio dall’opposta tesi deriverebbe un’ingiustificata disparità di trattamento tra le ipotesi di segretari roganti che permangono nella sede per un anno solare o più e di quelli che invece vi trascorrano meno di un anno di servizio”.

(20) Cons. Stato, sez. IV, 8.5.1995, n. 325. “l’accezione “stipendio in godimento” non può intendersi come retribuzione tabellare annuale, ma soltanto come retribuzione effettivamente percepita in relazione all’attività di servizio in concreto espletato”.

(21) TAR Puglia, Lecce, sez. II, 28.1.1992, n. 83. La sezione ritiene “che il terzo dello stipendio non superabile riguardi l’intero ufficio rogante del comune indipendentemente dal funzionario che stipuli l’atto e che, solo successivamente, determinando sempre il terzo in base allo stipendio attribuito al segretario (e non a quello di eventuali dipendenti del comune roganti in suo luogo), venga ripartito tra tutti i dipendenti che hanno partecipato alla stesura degli atti in ragione del periodo cui vi sono stati addetti”. In caso contrario “è evidente che verrebbe frustrato l’intento del legislatore e indebitamente alterata la quota parte dei comuni cui potrebbe essere surrettiziamente sottratta una parte dei propri proventi attraverso la continua sostituzione del1‘ufficiale rogante”.

(22) Cons. Stato, sez. V, 13.9.2005, n. 4703. “Emerge chiaramente dalla norma che la partecipazione riconosciuta al segretario ufficiale rogante ai diritti di segreteria costituisce una quota della somma spettante al comune o alla provincia, cioè del 70 per cento del provento, e che, pertanto, non viene minimamente toccato, quale sia la quota di partecipazione spettante al segretario comunale, il 30 per cento dell’intero riscosso che l’art. 41 in discorso riserva al Ministero dell’interno (per la devoluzione al fondo speciale istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’art. 42 della legge 8.6.1962, n. 604)”.

 

Print Friendly, PDF & Email
Torna in alto