26/11/2015 – il commento del collega Claudio Rossi sull’articolo di Mordenti e Monea

M & M La storia continua

 

Con periodica puntualità Mordenti e Monea ci dispensano le loro riflessioni sulla nostra (ex?) categoria.

Stamane le loro considerazioni sono riportate da Enti locali & PA, sotto il titolo: “Per i dirigenti apicali un corso-concorso nazionale per selezionare le competenze”.

Siamo alle solite. Un articolo pieno di luoghi comuni e che concorre a fare confusione piuttosto che chiarezza. Ma che già dal titolo enuncia la sua ratio: la questione dei segretari è essenzialmente un problema di selezione. In questo la filosofia non sembra distante da quella che in questi anni ha prodotto le riforme che ci hanno investito da Bassanini in poi.

Si rilanciano stereotipi e si mettono insieme contraddizioni anche clamorose.

Si inizia con il caso “Sanremo”. Rispetto al quale essi affermano: “ la stampa nazionale ha riferito che quella del segretario generale del Comune di San Remo viene ritenuta «la figura più adatta ad affrontare la delicata materia», per il suo ruolo super partes, di garanzia, il fatto che sia stato selezionato all’esterno dell’ente locale ed abbia subito lavorato ad una concreta applicazione delle norme per la trasparenza e la lotta alla corruzione. Fin qui nessuna sorpresa”.

Quindi significa che il modello vigente (a Sanremo è in carica un segretario comunale old style) funziona.

Poche righe dopo, non senza sorpresa, il lettore ignaro scopre però che: “abbiamo riconosciuto l’esigenza di rinnovare la figura apicale negli enti locali, che sconta da tempo immemore la cronica schizofrenia del nostro legislatore: superata la fase della totale appartenenza al ministero (peraltro all’epoca avversata con gli stessi argomenti di oggi), la creazione di una figura spuria a metà tra l’impiegato pubblico ministeriale e il manager privato, a volte selezionata in modo arbitrario dalla politica al di fuori di ogni percorso professionale, non ha dato prova di essere la scelta migliore.”.

Insomma a Sanremo il format avrebbe funzionato, nel resto d’Italia no?

Cosa fa la differenza?

Il sistema dell’appartenenza? I criteri di selezione?

L’ibridismo della figura di cui parlano, giustamente biasimandola, i nostri due autorevoli colleghi da cosa discenderebbe?

Dalla lettura dell’articolo non è chiarissimo …. Anche se poi, a leggere bene, si coglie quell’accenno alla “appartenenza ministeriale” ed a quella “figura spuria a metà tra l’impiegato pubblico ministeriale e il manager privato”….

Alla fine, quell’ibridismo sembrerebbe discendere dalla selezione che sarebbe effettuata “in modo arbitrario dalla politica al di fuori di ogni percorso professionale”.

Ecco il punto che sta realmente a cuore alla categoria, direi da sempre: “il percorso professionale”; la carriera… la scalata ai posti più ambiti. 

Da qui “L’importanza strategica della selezione”, come scrivono i nostri. Tutta la vicenda quindi sembra risolversi in questo programma: “deve essere riaffermata l’esigenza di una selezione degli aspiranti apicali mediante corso-concorso nazionale e non certo con procedure gestite a livello locale, che sarebbero sovraesposte al rischio di una selezione inadeguata”.

Il problema dei problemi è la “nomina”, e quindi le procedure di selezione.

Anche ANCI, sottolinea l’articolo, “considera necessario un confronto su come dovrà essere scelto il futuro dirigente apicale”.

Ecco il punto di saldatura, anche ANCI lo vuole.

Ma perché questa esclusiva attenzione alle procedure di selezione se da almeno 18 anni,  come scrivono gli stessi M & M, tutto si sarebbe svolto “in modo arbitrario ….. al di fuori di ogni percorso professionale”?

Viene il sospetto che chi ha conquistato le posizioni eminenti ora teme di perderle con la nuova “liberalizzazione” del mercato?

A me non interessano questi temi. Lo dico a chiare lettere. Questa ossessione concentrata esclusivamente sul come si scalano le sedi non mi ha mai riguardato e non potrà riguardarmi nell’ultimo scorcio della mia vita lavorativa.

A me interesserebbe invece comprendere come mai l’ibridismo non si faccia risalire all’evidente incompatibilità delle funzioni assegnate al segretario/dirigente apicale.

A me interesserebbe capire, al di là delle procedure selettive, come si tengono insieme: “l’attuazione dell’indirizzo politico, il coordinamento dell’attività amministrativa e il controllo della legalità”….

Possibile che M & M non colgano che l’ibridismo nasce proprio da questa congerie raffazzonata di funzioni eterogenee (cui si sono dimenticati di aggiungere la direzione degli uffici ed il rogito degli atti)?

Questa ossessiva attenzione alle procedure selettive non mi convince per nulla…. 

Le procedure di selezione sono sempre importanti, sia chiaro, ma sono strettamente funzionali alle funzioni che si esercitano.

La stessa Corte Costituzionale, da anni ammette lo spoil system per le figure apicali di vertice delle amministrazioni. Sì proprio quelle che sono direttamente chiamate a dare “attuazione” all’indirizzo politico.

Insomma, la l. 124/2015 esaspera l’ibridismo funzionale già precedentemente insostenibile e noi ci preoccupiamo delle procedure selettive?

Sarebbe come preoccuparsi di acquistare un biglietto aereo prestando attenzione solo al prezzo ed alla compagnia di bandiera ma senza occuparsi minimamente della destinazione del volo. Non so a quanti di voi capiti di comportarsi così.

 

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