tratto da quotidianopa.leggiditalia.it
La servitù di uso pubblico su terreno di proprietà privata, può essere considerata esistente solo se deriva da atto pubblico, privato o per usucapione ventennale
di Carlo Antonio Morabito – Segretario Generale a riposo
La vicenda
E’ il gravame proposto avverso un’ordinanza, a firma congiunta dei Dirigenti di Settore del Comune, intervenuti nel procedimento, che disponeva il ripristino dell’uso pubblico di un’area adibita a passaggio pedonale e veicolare per l’accesso all’arenile e per la sosta dei veicoli, da parte della collettività. Tale area è una porzione di terreno tra area demaniale e strada comunale. Ad attivare il procedimento giurisdizionale sono i proprietari del terreno. E’ il caso di citare, come si riscontra in sentenza, che si è al presente ricorso dopo che sono stati esperiti altri due ricorsi per la medesima questione e che hanno visto gli odierni ricorrenti vittoriosi. Nel primo caso per via della circostanza che l’ ordinanza risultava essere emanata dal Sindaco, quindi nella logica della contigibilità ed urgenza extra ordinem per la sicurezza pubblica, in realtà inesistente nella fattispecie concreta. Nel secondo caso perché l’ordinanza era stata emanata comunque dal Sindaco, incompetente all’adozione dell’atto, nel suo ruolo istituzionale, e per materia in quanto afferente all’autotutela possessoria che spetta ai Dirigenti e non alla politica.
Odierno ricorso
Parte ricorrente afferma l’inesistenza di titoli, quali presupposti, per stabilire con ordinanza l’utilizzazione del terreno ad uso pubblico in quanto il semplice uso di fatto, non sorretto da atti formali, non è titolo legittimante. Con tali assunti ha così denunciato violazione di legge ed eccesso di potere.
Il Comune resistente eccepisce la mancanza di idoneo titolo di proprietà del terreno in capo ai ricorrenti, ma con immediatezza il T.A.R. rileva, dagli atti di causa e per via delle ordinanze dallo stesso Ente destinate ai ricorrenti, che è provata la proprietà del sito.
Inquadramento normativo
Il Giudicante afferma, in via preliminare, che è l’art. 824 del Codice Civile che disciplina la proprietà di beni in capo all’ente pubblico territoriale necessitando un atto formale o un comportamento, tenuto nel tempo (venti anni) ed accertato giudizialmente, per assicurare il dominio dello stesso Ente sul bene.
A tal proposito è ricco il richiamo alla giurisprudenza con la Sentenza del Consiglio di Stato – Sezione V – n. 4791 del 16-10-2017 e la più recente, sempre del Consiglio di Stato – Sezione II – n. 3158 del 18-05-2020 che conferma la precedente oltre a dare ulteriori e più ricche specificazioni.
La Sentenza del Consiglio di Stato n. 4791/2017 chiarisce che il diritto di uso pubblico sul suolo privato non può essere costituito per il semplice uso spontaneo, “per meri fatti concludenti”, ma deve derivare da idoneo titolo giuridico che può essere un atto pubblico, come un provvedimento amministrativo, oppure privato, quale può essere una convenzione tra P.A. e privato o un testamento, ed, infine, per intervenuta usicapione ventennale. E’ chiarito quindi che non può essere presuntiva la servitù di uso pubblico, ma deve essere certificata da idoneo titolo giuridico.
Il Consiglio di Stato, con la Sentenza n. 3158/2020, ha esplicitamente affermato che il diritto di uso pubblico di un bene privato necessità di una pluralità di elementi che sono:
Il comportamento, da tempo immemorabile, da parte dell’ intera collettività di esercitare “il diritto d’uso della strada”, quell’istituto noto in dottrina come “consuetudine”;
La destinazione ad uso pubblico non può derivare da atti di riconoscimento da parte dell’Amministrazione circa la funzione assolta ad uso pubblico del bene;
E’ necessaria, invece, la classificazione del bene, ai sensi dell’art. 824 del Codice Civile che conferisce la proprietà mediante manifestazioni di volontà recepite in atti giuridici formali, come sopra evidenziato, che destinano il bene alle esigenze di tutta la collettività del territorio e non di singoli – (a tal proposito T.R.G.A. Trentino Alto Adige, Trento, 21 novembre 2012, n. 341).
La suddetta Sentenza n. 3158/2020 considera la circostanza della possibile mancanza di atto formale che definisce la servitù ad uso pubblico, comunque con l’esistenza della strada ad uso collettivo; tale situazione è affidata all’istituto giuridico della Usucapione. La Usucapione presuppone l’utilizzo da parte dell’intera collettivià per soddisfare un interesse generale e che tale utilizzo si protragga per almeno venti anni (a tal proposito Cass. Civ. – Sez. II – n. 28632 del 29-11-2017).
La Decisione
Il Tribunale per la Sardegna (Cagliari – Camera di Consiglio del 08-07-2020) con Sentenza n. 487 del 11-09-2020 ha accolto il ricorso ed ha annullato l’ordinanza. Il Giudicante non ha riscontrato nella parte motiva dell’ordinanza alcuna delle condizioni previste e stabilite da norme e costante giurisprudenza per la legittimità della stessa.
A margine è da sottolineare che il Comune non ha in alcun modo palesato né con i procedimenti posti in essere, né in sede di giudizio, ai sensi dell’art. 2967 del Cod. Civ. di provare la sussistenza delle condizioni, sopra riportate, che avrebbero legittimato l’ordinanza (a tal proposito Cons. Stato – Sez. V – Sentenze n. 1727 del 18-03-2019 e Sez. VI n. 2708 del 20-06-2016).
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