22/08/2022 Emiliano Rosi Pubblico Impiego
La nullità del rapporto di lavoro, con conseguente decadenza, nel caso di assunzione viziata da falsi documentali prodotti dal lavoratore, discende da ben tre disposizioni:
- articolo 127 lett. d) del dPR 3/1957, ai sensi del quale è disposta la decadenza dall’impiego quando “sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile” ;
- articolo 55-quater del d.lgs 165/2001, che disciplina la sanzione disciplinare del licenziamento in caso di “falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera”.
- articolo 75, comma 1, del dPR 445/2000, ai sensi del quale “Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.
La sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Lombardia 8.8.2022, n. 214, non richiama le disposizioni ricordate sopra, ma evidenzia, nel caso di specie, che la dolosa falsificazione degli atti elimina totalmente ed in modo insanabile il sinallagma contrattuale.
Non solo il rapporto di lavoro, quindi, è nullo, ma il datore non è tenuto ad alcun adempimento. Infatti, secondo la Corte “Non trova applicazione l’art. 2126 c.c., che tutela il lavoratore per il periodo in cui il rapporto lavorativo ha avuto esecuzione sulla base di un contratto di lavoro nullo o annullabile, poiché la stessa disposizione non ammette detta tutela nell’ipotesi, che ricorre nella fattispecie, in cui “la nullità derivi dall’illiceità dell’oggetto o della causa””.
L’illiceità, in questo caso, discende dalla causa, cioè la ragione economico sociale che sostiene giuridicamente la formazione del consenso: l’assunzione in una posizione lavorativa per la quale è necessaria la laurea è viziata da illiceità della causa se il lavoratore falsifica il possesso del titolo di studio, sul quale l’assunzione si basa in modo determinante.
Nè la prestazione, resa in assenza del titolo di studio, “può essere considerata utile per l’amministrazione essendo il possesso dei requisiti culturali e professionali la necessaria e indefettibile premessa per il proficuo svolgimento dell’attività lavorativa”.
Fondamentale è un altro passaggio della sentenza: il lavoratore responsabile del falso non può pretendere di scaricare sull’amministrazione la responsabilità della costituzione del rapporto di lavoro, per mancato o inefficace controllo.
Spiega la sentenza: “Va detto che i controlli sulle dichiarazioni autocertificative possono essere effettuati a campione, come previsto dalla norma citata dalla difesa, e che il contesto in cui la dichiarazione è stata resa (da un dipendente dell’ente già in servizio da alcuni anni) [la falsità dei titoli è emersa nel corso di una procedura selettiva per progressione verticale, nda] può aver indotto l’amministrazione a non procedere ad alcun riscontro (circostanze entrambe sulle quali con tutta probabilità l’autore della frode ha fatto affidamento), senza che ciò implichi una condotta negligente da parte dei competenti organi dell’ente”.
L’assenza di ogni responsabilità della PA per la costituzione del rapporto, il dolo evidente nella falsificazione dei titoli, l’illiceità della causa del contratto, fanno sì che il danno erariale sia da imputare esclusivamente al lavoratore.
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