Accesso civico sì, ma non troppo generalizzato (Consiglio di Stato)
Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 13 agosto n. 5702
Considerato in diritto, preliminarmente, che:
– all’udienza camerale del 30 luglio 2019, nessuno costituito per le parti ritualmente intimate, il ricorso in epigrafe, sussistendone i presupposti ex art. 60 c.p.a., è assunto in decisione dal Collegio per esser deciso nelle forme di cui al successivo art. 74, essendo l’appello manifestamente fondato;
– l’occasio, da cui il presente contenzioso in materia di accesso civico ex art. 5 del D.lgs. 33/2013 prende le mosse, è la sentenza n. 3100 del 28 maggio 2018, con cui il TAR Napoli ha respinto due ricorsi del sig. XXXX XXXX (appellato) contro altrettanti provvedimenti del Comune di Serrara Fontana, aventi ad oggetto, l’uno, l’improcedibilità della richiesta per l’agibilità provvisoria d’un edificio soggetto a condono edilizio non esitato (e dove il sig. XXXX aveva posto un esercizio commerciale di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) e, l’altro, la consequenziale sospensionedi tal attività (in assenza di agibilità);
– la vicenda sottostante all’accesso è incentrata sull’interpretazione dell’art. 35, XX co. della l. 47/1995 («a seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene… rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica»);
– su tal norma da tempo, s’è formato l’indirizzo (già da Cons. St., V, 28 maggio 2009 n. 3262) per cui, alla luce dell’art. 3, co. 7 della l. 25 agosto 1991 n. 287 —poiché le attività di somministrazione di alimenti e bevande devono essere esercitate nel rispetto delle vigenti norme in materia edilizia, urbanistica ed igienico-sanitaria, nonché di quelle sulla destinazione d’uso dei locali e degli edifici—, ai fini del rilascio delle prescritte autorizzazioni che la P.A. deve verificare non solo la presenza dei presupposti e requisiti in materia di attività commerciale, ma anche la conformità dei locali, da utilizzare per l’autorizzanda attività, alle norme predette sotto il profilo sia edilizio-urbanistico che igienico-sanitario;
– pertanto, non può esser mantenuto il titolo inerente a tal attività di somministrazione, ove svolta in un locale non conforme alla disciplina edilizia e urbanistica né ricondotto a conformità per effetto dell’accoglimento dell’istanza di condono presentata ma non ancora definita e che non può esser neppure oggetto di una certificazione provvisoria di agibilità, non prevista dall’ordinamento e che, al più, può riguardare solo manufatti conformi alla disciplina edilizia ed urbanistica;
– essendosi il TAR Napoli espresso in questi stessi termini con la sentenza n. 3100/2018, è di tutta evidenza che tal controversia, per la quale il sig. XXXX assume d’aver interposto appello, pone solo una questione di diritto, tutta incentrata sul significato della norma di sanatoria in rapporto con le tuttora vigenti regole per la somministrazione di alimenti e bevande;
– sulla scorta di tali brevi dati, può allora il Collegio pervenire già ad una prima conclusione nei riguardi dell’istanza d’accesso proposta dal sig. XXXX , al contempo difensionale ex art. 24, co. 7 della l. 241/1990 e civico ex art. 5 del D.lgs. 33/2013 per spenderne i dati nel promovendo giudizio d’appello, nel senso di poter affermare l’inutilità, anzi il carattere soltanto emulativo della richiesta massiva di dati su atti, provvedimenti e rapporti del Comune con un numero indefinibile di soggetti terzi, tutti coinvolti e potenziali controinteressati e, soprattutto, titolari di interessi di difesa i più disparati e non omogenei (quindi, con diversi livelli di opponibilità all’accesso);
– invero, non sfugge al Collegio il dato testuale dell’art. 24, co. 7, I per. della l. 241/1990, secondo cui «deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici», ma da questo ben s’inferisce, segnatamente quando l’accesso difensivo sia esercitato in modo espresso per ragioni di difesa giudiziale, l’evidente differenza tra cura e difesa dei propri interessi —onde quest’ultima non è ricompresa, né è specificazione di quella—, nonché in particolare, come già da tempo afferma la Sezione (cfr. Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 2014 n. 600), il principio in virtù del quale tal accesso non sia in grado di prevalere su ogni ipotesi di esclusione ai sensi dei precedenti commi dello stesso art. 24 (e non solo per i casi strettamente contemplati nel solo co. 7, II per.);
– ancora da ultimo (cfr. Cons. St., V, 21 agosto 2017 n. 4043) la giurisprudenza non solo esclude che le esigenze di cura e difesa di interessi giuridici ex art. art. 24, co. 7 siano tutelabili fino al punto d’ammettere istanze d’accesso di contenuto del tutto indeterminato o riferite a rapporti estranei alla sfera giuridica del richiedente —poiché ciò rende impossibile l’adempimento dell’obbligo, indicato dalla norma citata, per cui tal accesso va sempre garantito), come d’altronde (p. es., cfr. id., VI, 29 aprile 2019 n. 2737) il diritto all’accesso difensionale postula sempre un accertamento concreto dell’esistenza di un interesse differenziato della parte che richiede i documenti e tal accesso è solo strumentale per verificare i presupposti di fatto all’esercizio di un’azione in giudizio (o alla diversa cura della stessa), mai per la ricerca generale di lacune o di manchevolezze nell’operato della P.A., che darebbe luogo ad una richiesta ostensiva meramente esplorativa;
Considerato altresì che:
– tali elementi sono utilizzabili dall’interprete, stante il gioco di similitudini e differenze che lega la disciplina dell’accesso civico a quella ex l. 241/1990, quantunque i due tipi di accesso siano tra loro paralleli e diversi, non sovrapponibili, ossia come se da entrambi si potesse ritrarre la medesima utilità giuridica, indifferentemente agendo uti cives o con l’accesso ordinario perché si prospetta la titolarità di una data situazione soggettiva;
– se non sfugge l’uso pratico dell’accesso civico perlopiù per aggirare i limiti posti dall’art. 24 della l. 241/1990, a ben vedere il rapporto tra tali due tipi di accesso è non già di continenza, ma di scopo e, quindi, di diversa utilità ritraibile, visto che l’accesso procedimentale, fin dalla stesura originale dell’art. 22, co. 1 della l. 241/1990, è preordinato a soddisfare un interesse specifico ma strumentale di chi lo fa valere per ottenere un qualcos’altro che sta dietro alla (e si serve della) conoscenza incorporata nei dati o nei documenti accessibili, donde il forte accento che le norme pongono sulla legittimazione e sui limiti connessi;
– per contro, l’accesso civico generalizzato soddisfa un’esigenza di cittadinanza attiva, incentrata sui doveri inderogabili di solidarietà democratica, di controllo sul funzionamento dei pubblici poteri e di fedeltà alla Repubblica e non su libertà singolari, onde tal accesso non può mai essere egoistico, poiché qui l’accento cade sul “diritto” non agli open data, che ne sono il mero strumento, bensì al controllo e la verifica democratica della gestione del potere pubblico (o dei concessionari pubblici), e ciò anche oltre la mera finalità anticorruttiva, che pur essendo stata la matrice dell’accesso civico, non ne esaurisce le ragioni;
– pertanto, l’accesso civico, che concerne anche e soprattutto gli atti e documenti non pubblicati o che la PA non ha inteso pubblicare, non è tuttavia utilizzabile come surrogato dell’altro, qualora si perdano o non vi siano i presupposti di quest’ultimo, perché serve ad un fine distinto, talvolta cumulabile, ma sempre inconfondibile;
– in base all’art. 1 del D.lgs. 33/2013, l’accesso civico ha pur sempre la sua ratio esclusiva nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni d’istituto e sull’utilizzo delle risorse pubbliche, nonché nella promozione della partecipazione al libero dibattito pubblico, onde esso non è utilizzabile in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento della P.A. e va usato secondo buona fede, sicché la valutazione del suo uso va svolta caso per caso e con prudente apprezzamento, al fine di garantire, secondo un delicato ma giusto bilanciamento che non obliteri l’applicazione di tal istituto, che non se ne faccia un uso malizioso e, per quel che concerne nella specie, non si crei una sorta di effetto “boomerang” sulla P.A. destinataria;
– non ha errato, dunque, il Comune appellante nel delibare il contenuto proprio dell’accesso civico spiegato dal sig. XXXX , perché la sentenza del TAR Napoli n. 3100/2018 non s’è pronunciata in via diretta sulle agibilità provvisorie o sulla “continuità d’uso” delle attività commerciali in immobili sanandi ma ancora non condonati, dichiarando inammissibile l’uso dell’accesso civico per creare, mediante una richiesta “massiva” di dati per fini esclusivamente privati, un intralcio all’attività della P.A., al più per soddisfare un interesse di natura solo privata, individuale ed egoistica, incongruente con lo scopo pubblicistico dell’istituto;
– pertanto rettamente il Comune contesta d’aver ben distinto (2° motivo d’appello), nel respingere l’istanza del sig. XXXX , le ragioni del rigetto di quella parte relativa all’accesso civico —stante sia il difetto di congrua rappresentazione del relativo interesse, sia l’uso disfunzionale e contra legem di tal accesso—, rispetto a quello procedimentale;
– giova rammentare al riguardo come, pur secondo la più liberale interpretazione dell’art. 5-bis del D.lgs. 33/2013 —in virtù della quale si predica che, dopo l’entrata in funzione dell’accesso civico, l’accesso difensionale di regola prevale se serve a soddisfare un bisogno di tutela d’una situazione giuridica soggettiva e recede solo se sia impedito da un contrapposto interesse di “pari rango” espressamente contemplato da una fonte primaria (si pensi ai casi di contrapposti interessi sensibili o giudiziari), in base ad un trattamento direttamente regolato dall’art. 24, co. 7 e senza più alcun apprezzamento discrezionale della P.A.—, la differenza di regime dell’accesso civico imponga e non suggerisca alla P.A. stessa, in mancanza d’una norma che replichi tal quale il regime dell’art. 24, co. 7 e stante invece il rigoroso sistema di tutele delle riservatezze, di delibare con altrettanto rigore l’istanza d’accesso civico ai sensi sia dell’art. 5-bis, co. 2 del decreto n. 33 (se siano implicati interessi riservati di terzi), sia del successivo co. 3, prima parte (ove siano implicati, in forza del combinato disposto dell’art. 21, co. 3 e dell’art. 24, co. 3 della l. 241/1990, atti per altri motivi inaccessibili);
– proprio sulla tutela delle riservatezze è da ultimo intervenuto il Giudice delle leggi (cfr. C. cost., 21 febbraio 2019 n. 20), il quale afferma sì la diretta riferibilità dei principi di pubblicità e trasparenza a tutti gli aspetti rilevanti della vita pubblica e istituzionale (art. 1 Cost.) ed allo stesso buon funzionamento della P.A. (art. 97 Cost.: quindi, anche ai dati che essa possiede e controlla) ed afferma pure come tali principi tendano ormai a manifestarsi, nella loro declinazione soggettiva, nella forma di un diritto dei cittadini ad accedere ai dati in possesso della P.A. in base all’art. 1 del D.lgs. 33/2013 (tant’è che il diritto di accesso a tali dati e documenti è principio generale del diritto UE), ma rammenta pure, alla luce della giurisprudenza della CGUE, come le esigenze di controllo democratico non possano travolgere il diritto fondamentale alla riservatezza delle persone fisiche e vada sempre rispettato il principio di proporzionalità, qual metodo equilibratore tra le esigenze di conoscibilità del contenuto dell’azione amministrativa e la protezione dei dati personali, onde limiti e deroghe devono operare nei limiti dello stretto necessario;
– nella stessa decisione, la Corte precisa l’estraneità, alla ratio dell’accesso civico, della conoscenza di dati ulteriori e personali di per sé non congruenti con gli scopi indicati dall’art. 1 del decreto n. 33, onde l’accesso civico è condizionato dalla valutazione dell’effettiva utilità della conoscenza per il perseguimento di scopi anticorruttivi o, comunque, dalla delibazione degli specifici scopi sottesi a tal accesso (donde la necessaria indicazione specifica degli atti cui accedere e del relativo scopo)
– siffatta delibazione, peraltro realmente compiuta dal Comune (donde la fondatezza pure del primo motivo d’appello), concerne sia l’appartenenza, o meno, degli atti richiesti alla categoria di quelli non soggetti a pubblicazione obbligatoria ai sensi dell’art. 23 del D.lgs. 33/2013 —sicché essi vanno intesi come quei dati o documenti ulteriormente rifiutabili ai sensi e per gli effetti del citato art. 5, co. 2 a far tempo (23 giugno 2016) dall’intervenuta abrogazione in parte qua del medesimo art. 23 ad opera della novella recata dall’art. 22, co. 1, lett. a) del D.lgs. n. 97/2016—, sia il rispetto, o meno, di quel minimo onere di diligenza ex art. 5, co. 3, II per. circa l’esatta identificazione di atti e documenti cui il sig. XXXX aveva desiderato di accedere, onere, questo, imprescindibile per ben chiare ragione di leale collaborazione con la P.A. a fronte d’un diritto d’accesso che non sconta più limiti di legittimazione soggettiva;
Considerato infine che:
– parimenti da accogliere è il terzo motivo d’appello, poiché l’istanza d’accesso civico in questione è ictu oculi “massiva” (all’uopo bastando scorrerne l’articolazione) quand’anche non la si volesse ritenere emulativa, giacché il rigetto dell’istanza stessa va letta in una con il contenuto di questa, il quale assomma all’ampiezza degli atti cui accedere la totale assenza, al di là della loro partizione in macro-categoria, d’ogni specificità;
– invero, il sig. XXXX ha chiesto d’accedere e d’ottenere copia di: «… tutte le licenze commerciali di qualunque natura rilasciate nel comune di Serrara Fontana; – dei certificati di agibilità di dette attività commerciali (alberghi, ristoranti, negozi, ecc.); – delle domande di condono non ancora evase ovvero a cui non è stata ancora concessa la sanatoria in relazione ad immobili in cui vengono esercitate attività commerciali per le quali è stata rilasciata licenza di commercio; – di tutte le continuità d’uso rilasciate per immobili sottoposti a pratica di condono non ancora esaminata e concessa…»;
– l’indeterminatezza della richiesta, dopo il testé citato richiamo al contenuto dell’istanza, è di così palmare evidenza, sol che si pensi alla copia di tutte le licenze commerciali (dunque, di tutti i titoli in varia guisa emanati o formatisi in ogni tempo, o almeno dall’entrata in vigore del condono edilizio ex l. 47/1985 in poi, per l’esercizio dell’attività commerciale), di tutti i certificati di agibilità per tali attività (quindi, per tutto il predetto tempo e per tutt’e tre le procedure di condono), delle domande di condono edilizio relative a tali immobili e non ancora esitate e di tutte le continuità d’uso rilasciate per gli immobili soggetti a procedura di sanatoria;
– quantunque siano notorie le contenute dimensioni del territorio e della popolazione di Serrara Fontana, tali circostanze, unite al fatto che si tratta d’un Comune sparso, non elidono, ma invece enfatizzano il peso che grava sull’Amministrazione municipale, le cui forze, proporzionate a dette dimensioni, sono messe con ogni evidenza a prova dall’istanza del sig. XXXX , affaticando così la organizzazione e l’attività degli uffici, soprattutto ove si volesse seguire il suggerimento di oscurare i dati personali di tutti i soggetti terzi coinvolti, foss’anche al fine d’evitare o limitare al massimo le posizioni di controinteresse;
– è solo da soggiungere come tal affaticamento si verificherebbe lo stesso, pur se il Comune volesse pervenire ad una preliminare scrematura dei dati e dei documenti richiesti per aggregarli o pure per oscurarli, in quanto occorrerebbe comunque il tempo per reperire i dati, organizzarli e, se del caso, oscurarne il contenuto eventualmente sensibile, senza con ciò evitare a priori l’opposizione dei terzi (che vanno sempre avvertiti, ai sensi dell’art. 5, co. 5 del D.lgs. 33/2013 affinché esercitino tal loro facoltà, peraltro in un breve termine di decadenza) e, con essa, il frazionamento delle varie posizioni e l’obbligo del Comune di valutarle ciascuna alla volta;
– del pari fondato è il quarto mezzo d’appello con riguardo al vizio d’ultrapetizione che affligge la sentenza impugnata, giacché il dialogo cooperativo tra il Comune ed il sig. XXXX , di cui essa parla qual formula per giungere ad una soluzione concordata stragiudiziale sul perimetro concreto di tale accesso civico, è una mera facoltà del Comune e non si rinviene a guisa d’obbligo nell’art. 5 e ss. del D.lgs. 33/2013;
– a tutto concedere, quindi, avrebbe dovuto il ricorrente denunciare l’eventuale omissione e non il Giudice accertarla d’ufficio e, certo, non per realizzare una sorta d’ortopedia dell’istanza d’accesso, che, peraltro, di per sé non incappa in decadenze ed è correggibile e riproponibile a cura del sig. XXXX finché in capo a lui ne permanga l’interesse;
– deve il Collegio osservare comunque che la soluzione prospettata dalla sentenza s’appalesa, come rettamente osserva l’appellante, una sorta di contraddizione, giacché, se si predica la specificità e la natura non “massiva” dell’istanza, il dialogo cooperativo sarebbe superfluo e viceversa, l’eventuale dialogo, oltre a non elidere la delibazione sull’ammissibilità dell’istanza, implicherebbe l’esistenza delle manchevolezze che l’inficiano;
– in definitiva, l’appello va accolto nei sensi fin qui esaminati, ma la novità e la complessità della questione suggerisce l’irripetibilità delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso NRG 5601/2019 in epigrafe), lo accoglie e per l’effetto, in integrale riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
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