25/12/2015 – Sospensione carica non irragionevole in caso di condanna anche non definitiva per reati contro la PA

Sospensione carica non irragionevole in caso di condanna anche non definitiva per reati contro la PA
 
di Gianmario Palliggiano – Magistrato TAR Campania, Napoli

Il caso

Luigi De Magistris, sindaco del Comune di Napoli, aveva adito il TAR Campania, Napoli, per ottenere l’annullamento del decreto col quale il Prefetto di Napoli, in applicazione della L. n. 190 del 2012, cd. Legge Severino, e del decreto attuativo, il D.Lgs. n. 235 del 2012 aveva disposto la sospensione dalla carica di sindaco in conseguenza della condanna in primo grado, per il reato di abuso d’ufficio.

Con l’ordinanza di rimessione n. 1801/2014, il Tar aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lett. a)D.Lgs. n. 235 del 2012, secondo il quale sono sospesi di diritto dalle cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati dal medesimo decreto (alle lettere a), b) e c) dell’art. 10, comma 1), tra i quali il delitto di abuso di ufficio.

Nel caso oggetto del giudizio a quo, la sentenza penale di primo grado non definitiva era stata pronunciata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 235 del 2012 ma per fatti commessi anteriormente a tale data. Anche la candidatura e l’elezione a sindaco erano precedenti l’entrata in vigore della normativa censurata.

L’ordinanza del TAR Campania

Il Tar Campania, con Ord. 30 ottobre 2014 n. 1801, aveva rimesso alla Consulta la questione di costituzionalità. Secondo il giudice amministrativo, la norma di legge a fondamento del decreto prefettizio di sospensione era apparsa eccessivamente sbilanciata nel tentativo di salvaguardare la moralità e la credibilità dell’amministrazione pubblica rispetto ad altri interessi costituzionali, quali, in primo luogo, il diritto di elettorato passivo (art. 51 Cost.), da ritenersi inviolabile ai sensi dell’art. 2 Cost..

L’ordinanza di rimessione del giudice amministrativo si fondava su tre pilastri principali:

– il carattere sanzionatorio della sospensione dalla carica;

– l’applicazione retroattiva della sospensione;

– la previsione della sospensione anche in caso di condanna penale non definitiva.

Il giudizio della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale non ha seguito gli spunti del giudice a quo.

Ha infatti in primo luogo considerato che la sospensione dalle cariche elettive è priva di natura sanzionatoria.

A questo riguardo, la Corte ha richiamato i propri precedenti con i quali, relativamente a giudizi di legittimità costituzionale su norme “antesignane” di quella impugnata, ha escluso che le previsioni le quali dispongano l’incandidabilità, la decadenza ovvero la sospensione da cariche rappresentative elettorali rivestano natura sanzionatoria (cfr., ex multis, Corte Cost., n. 25 del 2002n. 132 del 2001 e n. 206 del 1999).

Previsioni della specie -lungi dal rivestire natura di sanzione penale- registrano semplicemente la carenza del requisito soggettivo essenziale per l’accesso alle cariche considerate o comunque per il loro mantenimento.

Ciò rientra tra i poteri che lo stesso art. 51, comma 1, Cost. riserva al legislatore il quale, secondo proprie valutazioni discrezionali, ha legittimamente valutato l’opportunità che, in alcuni casi, al ricorrere di una condanna penale -ancorché non definitiva- non si possa conservare la carica elettiva. La misura interdittiva è la decadenza ovvero la sospensione in dipendenza, rispettivamente, del carattere definitivo o non definitivo della condanna.

La circostanza che la sospensione non ha natura di carattere penale, elide ogni perplessità in merito al carattere retroattivo della previsione di cui all’art. 11, comma 5, D.Lgs. n. 235 del 2012.

Il principio di irretroattività della legge non ha valore assoluto. La retroattività è al contrario possibile in tutti i casi in cui la Costituzione ponga una riserva di legge per la disciplina dei diritti inviolabili. Ebbene, salvo l’ordinamento penale e, più precisamente, l’ambito di applicazione dell’art. 25, comma 2, Cost., la retroattività della legge è sempre possibile. Occorre, ovviamente, rispettare una serie di limiti, quelli da tempo individuati dalla stessa Corte costituzionale e che attengono alla salvaguardia di fondamentali valori di civiltà giuridica. Tra questi devono contemplarsi il rispetto dei principi generali di ragionevolezza e di eguaglianza, la tutela del legittimo affidamento ed il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cfr., ex plurimis, Corte Cost., n. 156 del 2007).

Sul punto, ad avviso della Consulta, il TAR rimettente non spiega le ragioni per le quali la sospensione dell’eletto, in base alla norma censurata, determinerebbe un sacrificio eccessivo del diritto di elettorato passivo: venuti meno gli argomenti utilizzati dal giudice a quo per contestare la presunta retroattività della sospensione, l’asserita violazione dell’art. 51, comma 1, Cost. resta sostanzialmente immotivata.

Riguardo poi alla sospensione della carica dopo una condanna in primo grado non definitiva, la Corte Costituzionale ravvisa in questo la sussistenza di un ragionevole bilanciamento d’interessi primari, comunque operato dal legislatore. Ad avviso della Consulta, la permanenza in carica di chi sia stato condannato, anche in via non definitiva, per determinati reati che offendono la pubblica amministrazione può incidere sugli interessi costituzionali protetti dall’art. 97, comma 2, Cost. e dall’art. 54, comma 2, Cost. La prima norma costituzionale affida al legislatore il delicato compito di organizzare i pubblici uffici in modo da preservare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione; la seconda norma costituzionale impone ai cittadini ai quali sono affidate funzioni pubbliche, il dovere di adempierle con disciplina ed onore.

Considerazioni

La Corte costituzionale ha ravvisato l’importanza indeclinabile e non recessiva dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione; ciò significa che il legislatore, nel disciplinare i requisiti per l’accesso e per il mantenimento delle cariche che comportano l’esercizio di quelle funzioni, ben può ricercare il punto di equilibrio nel bilanciamento tra gli interessi in gioco: il diritto di elettorato attivo e passivo, da un lato, il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, dall’altro.

Per la Consulta è chiaro tuttavia che una condanna penale per delitti contro la pubblica amministrazione, sebbene non definitiva, rischia di incrinare seriamente l’immagine del pubblico; non è pertanto irragionevole la cautela legislativa di sospendere temporaneamente il condannato dalla carica, per evitare possibili inquinamenti della pubblica amministrazione e per garantirne la credibilità presso il pubblico.

E’ quindi essenziale per la Consulta preservare il rapporto di fiducia dei cittadini verso l’istituzione, rapporto che rischia di essere incrinato dall”ombra’ gravante su di essa a causa dell’accusa che colpisce una persona attraverso la quale l’istituzione stessa opera (così Corte Cost., n. 206 del 1999). Questa esigenza sarebbe svilita ove l’applicazione delle norme in questione dovesse riferirsi solo ai mandati successivi alla loro entrata in vigore od operare solo dopo una sentenza irrevocabile di condanna.

Corte Cost., 19 novembre 2015 n. 236

Artt. 2325515497 Costituzione

Art. 11, comma 1, lett. a) e comma 5, D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 (G.U. 4 gennaio 2013, n. 3)

Art. 1, comma 63, L. 6 novembre 2012 n. 190 (G.U. 13 novembre 2012, n. 265)

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