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Dirigenti (non tutti) trasparenti – Patrimoni sul web? Obbligo solo per ministeri e fiduciari
di LUIGI OLIVERI – Italia Oggi – 22 Novembre 2019
L’ obbligo di pubblicare sul web la situazione patrimoniale vale solo per la dirigenza di vertice dei ministeri e per chi ricopre incarichi fiduciari. Esso non si estende dunque a tutta la dirigenza pubblica. Per questo motivo il Tar del Lazio, sezione I, con ordinanza 20/11/2019, ha accolto il ricorso presentato dal sindacato Cosmed avverso un provvedimento dell’ azienda sanitaria locale di Matera, sospendendone l’ efficacia e rinviando la trattazione del merito al prossimo 20 giugno. Con questa delibera l’ Asl aveva imposto ai propri dirigenti la pubblicazione su Internet della propria situazione patrimoniale, in attuazione della deliberazione dell’ Autorità anticorruzione n. 586 del 26 giugno 2019.
Le tesi dell’ Anac, volte ad estendere all’ intera dirigenza pubblica incombenze gravanti solo sulla dirigenza di vertice dei ministeri o fiduciaria, risultano dunque ancora una volta soccombenti. L’ art. 14, comma 1-bis, lettere c), e f), del dlgs 33/2013 ha esteso ai dirigenti pubblici obblighi di pubblicità incombenti, prima, solo sugli organi di governo. Il Garante della privacy nel 2017 adottò una delibera attuativa delle linee guida Anac 241/2017, attuative della norma, avverso la quale i dirigenti dell’ Autorità presentarono ricorso al Tar Lazio: l’ ordinanza 2 marzo 2017, n. 1030 accolse il ricorso cautelare.
A seguito di questa, l’ Anac con delibera 382/2017 sospese le proprie linee guida e quindi l’ obbligo per i dirigenti pubblici di rendere noto il proprio patrimonio. Con successiva ordinanza collegiale 9828/2017 il Tar Lazio sollevò la questione di legittimità costituzionale dell’ art. 14, comma 1, lettere c) e f). Tale articolo è stato dichiarato incostituzionale, nella parte che impone a tutta la dirigenza e non solo a quella apicale dei ministeri, dalla Corte costituzionale con sentenza 20/2019, ove si sottolinea che «è corretto l’ insistito rilievo del giudice rimettente, che sottolinea come la mancanza di qualsivoglia differenziazione tra dirigenti risulti in contrasto, ad un tempo, con il principio di eguaglianza e, di nuovo, con il principio di proporzionalità, che dovrebbe guidare ogni operazione di bilanciamento tra diritti fondamentali antagonisti.
Il legislatore avrebbe perciò dovuto operare distinzioni in rapporto al grado di esposizione dell’ incarico pubblico al rischio di corruzione e all’ ambito di esercizio delle relative funzioni». La sentenza ha dichiarato «l’ illegittimità costituzionale dell’ art. 14, comma 1-bis, del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (…), nella parte in cui prevede che le pubbliche amministrazioni pubblicano i dati di cui all’ art. 14, comma 1, lettera f), dello stesso decreto legislativo anche per tutti i titolari di incarichi dirigenziali, a qualsiasi titolo conferiti, ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’ organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione, anziché solo per i titolari degli incarichi dirigenziali previsti dall’ art. 19, commi 3 e 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165».
Sebbene secondo la Consulta spetti solo al legislatore intervenire sul tema per eventualmente distinguere, in rapporto al grado di esposizione al rischio di corruzione, gli incarichi soggetti all’ intenso obbligo di pubblicare i dati patrimoniali, rispetto a quelli non soggetti, l’ Anac è tornata sul tema con deliberazione 26 giugno 2019, n. 586, la quale, in aperto contrasto con la sentenza della Consulta, ha di fatto esteso nuovamente l’ applicazione della norma dichiarata incostituzionale all’ intera dirigenza pubblica e non solo ai dirigenti ministeriali di prima fascia, indicando alle varie amministrazioni pubbliche di stabilire con propri regolamenti interni quali dirigenti, considerati apicali, siano tenuti all’ obbligo. La sospensione cautelare della delibera dell’ azienda sanitaria di Matera da parte del Tar Lazio rende evidente che l’ attuazione della deliberazione 586/2019 (non intaccata dall’ ordinanza del giudice amministrativo), estendendo a tutta la dirigenza gli obblighi di pubblicazione, espone gli enti a decisioni fortemente a sospetto di illegittimità, perché ripristinano «il pregiudizio immediato e irreparabile alla riservatezza» posto a base del ricorso presentato dalla Cosmed e considerato come elemento decisivo dalla Consulta per l’ incostituzionalità dell’ articolo 14, comma 1-bis, del dlgs 33/2013.

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