tratto da lentepubblica.it

Più interpretazioni plausibili e l’astrusità della norma non rendono una Legge incostituzionale

Luciano Catania • 24 Luglio 2019
In presenza di una mera scarsa comprensibilità di una disposizione di legge e di possibili plurime interpretazioni tutte plausibili, è inammissibile il ricorso alla Corte Costituzionale e devono, invece, essere esercitati i poteri propri della funzione giurisdizionale, del giudice di merito.

Legge incostituzionale. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 151/2019, ha affermato che le questioni di legittimità costituzionale non possono risolversi nel chiarimento di un mero dubbio interpretativo, consentendo al giudice rimettente di sottrarsi “al proprio potere-dovere di interpretare la legge” (ordinanza n. 161 del 2015), poiché il sindacato di costituzionalità non è teso alla valutazione dell’incertezza in ordine all’applicabilità delle leggi, ma all’eliminazione della norma viziata (così l’ordinanza n. 427 del 1994), non potendo costituire una sede di revisione delle interpretazioni offerte (ordinanza n. 410 del 1994).
Le questioni meramente interpretative possono e devono essere risolte autonomamente, adottando, anche se non condivisa, l’interpretazione conforme a Costituzione (ordinanza n. 59 del 2004).
Legge incostituzionale: il parere della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, con la citata ordinanza, ha giudicato inammissibile il ricorso per illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2016, n. 17 (Disposizioni in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale e di cessazione degli organi comunali. Modifica di norme in materia di organo di revisione economico-finanziaria degli enti locali e di status degli amministratori locali), presentato dal C.G.A. della Sicilia.
Secondo il ricorrente la norma non è intellegibile e consente più interpretazioni plausibili, in assenza di una norma specifica sulla ripartizione dei seggi per i Consigli circoscrizionali ed, in particolare, sull’omessa detrazione del seggio attribuito al candidato Presidente non eletto, maggiormente votato da quelli assegnati alle liste allo stesso collegate (ai sensi dell’art. 4 della L.r. n. 35 del 1997). Secondo la il giudice delle leggi, però, il proprio giudizio non può riguardare questioni meramente interpretative e concorda con il giudice di primo grado, sulle modalità di assegnazione dei seggi per i Consigli circoscrizionali.
Le ordinanze della CGA Regione Sicilia
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con tre ordinanze del 29 giugno 2018 (reg. ord. n. 196, n. 197 e n. 198 del 2018), dal contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 101, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 3, della legge della Regione Siciliana 11 agosto 2016, n. 17 (Disposizioni in materia di elezione del sindaco e del consiglio comunale e di cessazione degli organi comunali. Modifica di norme in materia di organo di revisione economico-finanziaria degli enti locali e di status degli amministratori locali).
La disposizione censurata prevede l’applicazione all’elezione dei consigli circoscrizionali delle modifiche e integrazioni apportate dai primi due commi dello stesso art. 3 alla legge della Regione Siciliana 15 settembre 1997, n. 35 (Nuove norme per l’elezione diretta del Sindaco, del Presidente della Provincia, del Consiglio comunale e del Consiglio provinciale), in materia di elezioni comunali.
La legge attuerebbe un’erronea ripartizione, dovuta all’omessa detrazione del seggio attribuito al candidato Presidente non eletto maggiormente votato da quelli assegnati alle liste allo stesso collegate (ai sensi dell’art. 4 della L.r. n. 35 del 1997).
La stessa normativa attribuisce un seggio consiliare al candidato Sindaco non eletto maggiormente votato (purché abbia conseguito un numero di voti non inferiore al venti per cento) ma, con l’inserimento del comma 3-ter, ha previsto che tale seggio deve essere detratto da quelli spettanti alle liste collegate allo stesso candidato (con conseguente rimodulazione del premio di maggioranza previsto dal comma 6).
Secondo il C.G.A. mancherebbe una previsione analoga per i Consigli circoscrizionali, anche se, in effetti, l’art. 3, comma 3, contiene una formula di chiusura, che stabilisce che le disposizioni previste per i Consigli comunali, trovano applicazione anche per i consigli circoscrizionali.
La formulazione secondo i giudici amministrativi
Secondo i giudici amministrativi, tale formulazione sarebbe imprecisa, dimostrando innanzi tutto un’eccedenza rispetto allo scopo.
La differenza di sistema elettorale, potrebbe essere motivata dalla diversa natura del Consiglio comunale, funzionale al governo locale, e di quello circoscrizionale, da sempre concepito come un organo assembleare, con funzioni per lo più consultive, al crocevia tra la partecipazione e il decentramento.
La Corte Costituzionale riconosce che, in effetti, l’art. 4-ter della legge reg. Siciliana n. 35/1997 può essere priva d’intellegibilità e coerenza, poiché dello stesso potrebbero darsi più interpretazioni, tutte ugualmente plausibili e, in un certo senso, equivalenti.
Il Tar aveva offerto un’interpretazione della norma ricostruendone il contenuto attraverso un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, ma il giudice di seconda istanza ha ritenuto che l’attività del giudice dovrebbe avere un uso sorvegliato in materia elettorale, gravando sul legislatore un dovere primario di clare loqui.
La Corte Costituzionale ha, quindi, ritenuto inammissibile il ricorso, per il mancato esercizio, da parte del giudice a quo, dei poteri propri della funzione giurisdizionale, in presenza di quella che lo stesso C.G.A. considera una mera scarsa comprensibilità della disposizione censurata nel contesto normativo di riferimento.
La scarsa comprensibilità della disposizione oggetto di censura, secondo la Corte Costituzionale, può essere risolta, come aveva fatto il Tar,  ponendo l’attenzione sul nesso di presupposizione logica tra il comma 3-ter e il comma 7 dell’art. 4, anche perché, altrimenti argomentando, non vi sarebbe alcuna regola chiara su come individuare il seggio da attribuire al candidato Presidente non eletto maggiormente votato.

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