25/05/2019 – Per cambiare nome alla città serve sempre il referendum 

Per cambiare nome alla città serve sempre il referendum 

Italia Oggi – 24 Maggio 2019
 
Per cambiare denominazione al comune serve sempre il referendum. Anche se il mutamento del nome dell’ ente consiste solo nell’ aggiunta della parola «terme» a quello del comune. La consultazione preventiva delle popolazioni interessate è infatti una «fase obbligatoria» che non può essere sostituita dalla presentazione ex post di una petizione da parte dei cittadini dissenzienti volta a congelare il cambio di nome. Lo ha affermato la Corte costituzionale nella sentenza n. 123/2019, depositata ieri, che ha bocciato una legge regionale della Sicilia (n.1/2018) in quanto in contrasto con l’ art.133 della Costituzione e con lo stesso statuto della regione.
La legge impugnata dalla presidenza del consiglio consentiva ai comuni sui cui territori insistono insediamenti e/o bacini termali la possibilità di aggiungere la parola «terme» alla propria denominazione, previa deliberazione del consiglio comunale adottata a maggioranza di due terzi dei consiglieri. Entro 60 giorni dalla pubblicazione della delibera nell’ albo pretorio, i cittadini avrebbero potuto esprimere il proprio dissenso presentando una petizione sottoscritta da almeno un quinto degli elettori. La mancata presentazione della petizione avrebbe reso definitivo il cambio di nome. In questo modo secondo la regione si sarebbe risparmiato tempo e denaro rendendo solo eventuale, e non più obbligatorio, il coinvolgimento delle popolazioni interessate.
Ma la Consulta non è stata dello stesso avviso. Secondo la Corte, attribuire alla mancata presentazione della petizione l’ effetto implicito di adesione alla modifica del nome è «inammissibile» perché «ad una semplice inerzia non può essere riconosciuto alcun valore giuridico, meno che mai quello di adesione alla modifica, all’ esito di una assai singolare consultazione tacita». A sua volta singolare, osserva la Corte, risulta l’ attribuzione di un effetto di «veto» alla presentazione di una petizione, sottoscritta da almeno un quinto di elettori dissenzienti rispetto alla deliberazione adottata dal consiglio comunale. Una scelta che, osserva la Consulta, «assegna un incongruo potere di blocco a una minoranza, pur a fronte dell’ asserito significato adesivo alla proposta di modifica, assegnato al comportamento di coloro (la maggioranza) che tale petizione non abbiano sottoscritto».

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