24/12/2019 – Il nodo (allo stato, irrisolto) del danno da perdita di chance

Il nodo (allo stato, irrisolto) del danno da perdita di chance [1]
 
Sommario: 1. La mobile foresta di Birnam e il danno da perdita di chances. 2. Chances vere, chances false e a metà. 3. Il dilemma alla base di tutto: tutto o niente o almeno qualcosa? 4. Verso una compresenza di due nuovi modelli? 5. Le contestazioni in dottrina. 6. Il risarcimento da perdita di chances e la teoria dei sistemi.
1. La mobile foresta di Birnam e il danno da perdita di chances.
Il ventesimo compleanno di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500[2] permette (o, forse, impone) un momento di riflessione sulle evidenti modificazioni che ne sono derivate nella sistematica dell’azione risarcitoria nei confronti della p.a.; modificazioni più o meno impattanti, ma che hanno sicuramente determinato una sostanziale rinnovazione dei modelli normativi e giurisprudenziali in materia e degli approcci della dottrina ad una tecnica di tutela che viene a volte (forse, fin troppo spesso) percepita come estranea alla tradizionale ricostruzione pubblicistica delle problematiche di tutela.
Certo si tratta di una sentenza innovativa che può essere approcciata sotto diversi angoli visuali[3]; in questa sede, viene però proposta una linea ricostruttiva che guarda essenzialmente all’ampliamento degli interessi considerati suscettibili di tutela risarcitoria ed alla (in realtà fortemente connessa) problematica del rapporto di causalità.
Già in sede di primi commenti alla sentenza, era stato rilevato come Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 avesse messo in movimento (ed in tensione) l’intera sistematica della tutela risarcitoria nei confronti della p.a. che si era, per troppi anni, adagiata su soluzioni che lasciavano ben poco spazio al fruttuoso ricorso all’azione risarcitoria; dopo l’intervento della storica decisione è pertanto emersa una situazione ampiamente dinamica in cui «la foresta pietrificata dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi si è trasformata nel mobile bosco di Birnam: tutto è in movimento, dalla ridefinizione delle situazioni soggettive ai criteri di riparto della giurisdizione, dalle frontiere del danno ingiusto alle tecniche di sindacato e di tutela giurisdizionale[4]».
Ed in effetti, la metafora del mobile bosco di Birnam utilizzata da uno dei primi commenti alla sentenza non era tanto lontana dalla realtà, visto che i modelli giurisprudenziali e le ricostruzioni della dottrina hanno quasi immediatamente cominciato a registrare nuove tipologie di danno (come il danno esistenziale, poi divenuto non patrimoniale[5]) e nuovi modelli di tutela più o meno in sintonia con gli omologhi civilistici.
In buona sostanza, si tratta anche della storia del risarcimento da perdita di chances, anche se secondo un percorso decisamente più complesso e tortuoso di quello del danno non patrimoniale.
Prima dell’intervento di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, il riferimento alla chance nella sistematica amministrativa era prevalentemente utilizzato per esplicitare, in sede definitoria, il carattere dinamico dell’interesse legittimo e l’inidoneità della posizione soggettiva a garantire in modo sicuro (come per il diritto soggettivo) un certo bene della vita: «di fronte ad un potere, quando cioè le scelte possono essere diverse, non può però esser certo che il bene della vita che interessa possa essere sicuramente acquisito o conservato. Senza sopprimere il potere, ciò che può essere assicurato è soltanto che non dipenda da una attività priva di regole che la chance di acquisto o di conservazione del bene si concretizzi o si vanifichi. L’ordinamento detta appunto queste regole … e trasforma le chances (sempre che siano giuridicamente qualificate e fermi gli eventuali problemi di legittimazione e di interesse all’azione quanto alla possibilità di ricorrere al giudice) in interessi legittimi[6]».
Dopo l’intervento di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, tutto cambia e si comincia, praticamente da subito, a pensare all’estensione anche all’ambito amministrativo della giurisprudenza civile sul danno da perdita di chances.
In un certo senso, è stata la stessa Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 ad indicare la strada, sia per l’espresso richiamo del danno da perdita di chances nell’excursus storico dell’evoluzione della sistematica risarcitoria[7], sia per effetto dell’adozione della nota sistematica “aperta” che, guardando al «bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega[8]» e non al diritto soggettivo, permette l’emersione, in sede risarcitoria, anche di altre (e nuove) posizioni soggettive[9], come la chance.
Il filo ricostruttivo sopra richiamato (e che evidenzia una sostanziale continuità tra allargamento dell’ambito risarcibile ed emersione del danno da perdita di chances) ha però rischiato di essere interrotto dal richiamo, presente nella stessa Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, al giudizio prognostico necessario per accedere alla risarcibilità degli interessi pretensivi (il cd. “giudizio di spettanza”) di cui al punto 9 della sentenza: «circa gli interessi pretensivi, la cui lesione si configura nel caso di illegittimo diniego del richiesto provvedimento o di ingiustificato ritardo nella sua adozione, dovrà invece vagliarsi la consistenza della protezione che l’ordinamento riserva alle istanze di ampliamento della sfera giuridica del pretendente. Valutazione che implica un giudizio prognostico, da condurre in riferimento alla normativa di settore, sulla fondatezza o meno della istanza, onde stabilire se il pretendente fosse titolare non già di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, bensì di una situazione suscettiva di determinare un oggettivo affidamento circa la sua conclusione positiva, e cioè di una situazione che, secondo la disciplina applicabile, era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole, e risultava quindi giuridicamente protetta».
Nell’ottica di sostanziale identificazione delle tematiche relative al risarcimento degli interessi pretensivi ed al danno da perdita di chance[10] spesso utilizzata praticamente da tutta la dottrina e giurisprudenza che si sono occupate della questione, appariva evidente come il “giudizio di spettanza” di cui al punto n. 9 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 fosse, a prima vista, improntato ad una logica opposta rispetto a quella del risarcimento da perdita di chances e spezzasse il “filo logico” sopra richiamato, impedendo l’estensione della costruzione giurisprudenziale all’ambito amministrativo (o, almeno, al campo degli interessi pretensivi).
Non era peraltro mancato chi, già in sede di primo commento a Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, aveva ritenuto di poter desumere, dal riferimento alla necessità che «la situazione del privato assuma la consistenza di affidamento circa il conseguimento dell’utilità sperata» presente nel punto n. 9 della sentenza, l’adesione della Corte «all’autorevole dottrina che, coerente nel ritenere la chance un mero interesse di fatto, come tale non meritevole di tutela risarcitoria e decisa sostenitrice della necessità della costruzione di una figura generale di responsabilità fondata sull’affidamento, ha recentemente proposto una ricostruzione in questi termini della responsabilità dell’amministrazione per lesione di interesse legittimi[11]».
Sempre in sede di primo commento a Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, era però emerso anche un diverso orientamento teso a svalutare il richiamo al concetto di affidamento presente all’interno del famoso punto 9 della sentenza, da intendersi «in senso del tutto oggettivo, …(e da ritenersi) quindi pleonastico rispetto alla già affermata necessità di un giudizio prognostico sulla fondatezza della pretesa ad un bene della vita condotto secondo un criterio di normalità[12]»; vale a dire un’impostazione oggettiva che sostanzialmente prescinde dalla rilevanza dell’affidamento del destinatario dell’azione amministrativa e che si presenta sostanzialmente compatibile, nelle ipotesi di difficile ricostruzione del “giudizio di spettanza”, con soluzioni probabilistiche o completamente fondate sul risarcimento della chance.
I successivi percorsi della dottrina e della giurisprudenza si sono poi focalizzati, più che sulla rilevanza dell’affidamento, sulle difficoltà del giudizio prognostico in ipotesi di poteri a base discrezionale; difficoltà spesso tanto elevate da costringere il danneggiato ad una lunga attesa (accompagnata dalle ben note iniziative giurisdizionali “sollecitatorie” e/o sostitutive, come il giudizio di ottemperanza) fino al momento in cui la spettanza del bene della vita e la conseguenziale propria responsabilità risarcitoria vengano ad essere accertate, in qualche modo, dalla stessa amministrazione procedente: «nel lungo periodo l’amministrazione stessa dovrà pure provvedere legittimamente sulla domanda, ad un certo punto la situazione della spettanza si chiarirà al di fuori di ogni attività del giudice, che non sia l’annullamento, eventualmente ripetuto, degli atti illegittimi che via via l’amministrazione assuma. Ne consegue che, nella generalità dei casi, per accertare il diritto al risarcimento del danno il giudice (ma ovviamente in realtà sul piano sostanziale la parte interessata) dovrebbe attendere l’esito ultimo dell’azione amministrativa, sino a quando ad un certo punto il provvedimento richiesto gli verrà o legittimamente negato – il che in sostanza comporta che il provvedimento non spettava, e dunque il non averlo ottenuto non costituisce danno ingiusto – oppure gli verrà assegnato, con la conseguenza che l’interessato, riconosciuta finalmente la spettanza, avrà diritto al ristoro degli eventuali danni prodotti dal ritardo del rilascio del provvedimento[13]».
Più che sul filo del “giudizio di spettanza” di cui al punto n. 9 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, il legame con il risarcimento da perdita di chances si è pertanto sviluppato sulle (innegabili) insufficienze del detto giudizio e sulle difficoltà di pervenire ad un giudizio prognostico conclusivo ad opera del giudice in presenza di poteri discrezionali o nelle procedure concorsuali in cui sia completamente mancata l’indizione della gara;  risultava pertanto sempre più evidente come esistesse (o dovesse esistere) «una via per pervenire ad una differente soluzione e/o ricostruzione sistematica della questione» e come il giudice amministrativo fosse sempre più convinto «della necessità di doversi allontanare, sul punto, dalle linee interpretative indicate dalla Sezioni Unite della Cassazione per ricorrere, piuttosto, al concetto della perdita della chance o del danno da ritardo nell’adozione del provvedimento[14]».
Del resto, anche la Corte di Cassazione, con la successiva sentenza Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157[15] (resa nella stessa vicenda di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500) si era, nel frattempo, sostanzialmente allontanata dall’applicazione rigida del giudizio prognostico ex ante per approdare agli schemi più duttili della responsabilità da contatto, ovvero ad una sistematica in cui «il passo da compiere per affermare che gli interessi legittimi sono risarcibili a prescindere dalla spettanza del bene della vita è breve[16]»; negli anni successivi, il processo di progressiva apertura al risarcimento del danno da perdita di chances trovava poi sempre più espressione in sentenze, anche delle stesse Sezioni unite della Corte di Cassazione[17], che prospettavano apertamente l’utilizzazione della detta tecnica anche in materia di risarcimento di lesioni di interessi pretensivi, peraltro senza neanche più operare un qualche riferimento al giudizio prognostico di cui al punto n. 9 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500.
Nel frattempo, già a partire dal dicembre del 1999, avevano cominciato ad emergere, nella giurisprudenza dei T.A.R., decisioni [18] che prospettavano il ricorso, sia pure senza prendere posizione sui temi centrali del nesso di causalità e della quantificazione dell’obbligazione risarcitoria, alla tecnica del risarcimento da perdita di chances nella materia dei contratti pubblici; anche al livello di Consiglio di Stato era rintracciabile, almeno a partire dal 2001[19], una giurisprudenza che affermava la risarcibilità, in linea di principio, del danno da perdita di chances nelle ipotesi in cui «non è possibile una valutazione prognostica e virtuale sull’esito di una gara che non c’è mai stata», sia pure in un contesto in cui il risarcimento per equivalente non veniva poi accordato, essendo ancora possibile il risarcimento in forma specifica mediante rinnovazione della gara.
Nel 2006[20], la giurisprudenza del Consiglio di Stato, registrava poi una decisione[21] che, sulla base di una perspicua ricostruzione della materia, concedeva il risarcimento da perdita di chances in una procedura di gara, ritenendo raggiunta la prova di «una elevata probabilità di aggiudicarsi l’appalto», in ragione del minimo divario di punti tra l’aggiudicataria e la ricorrente; particolarmente interessante risulta la motivazione della decisione, basata anche sulla rilevazione dei possibili effetti disfunzionali del “giudizio di spettanza”: «il giudizio sulla spettanza ossifica eccessivamente, in tali casi, l’azione amministrativa e posticipa irragionevolmente le possibilità di ottenere il risarcimento, costringendo il giudice a pronunciare una sentenza di inammissibilità dell’azione risarcitoria per difetto di presupposti e rimettendo in moto l’azione amministrativa, che, nel riesercizio del potere, si presenta paradossalmente scissa fra necessità di ottemperare al giudicato e timore di ingenerare i presupposti per l’esperimento dell’azione di danni[22]».
Tra alti e bassi, siamo pertanto in presenza di un processo di progressiva emersione del risarcimento da perdita di chances nel diritto amministrativo[23] che si evidenzia già pochi mesi dopo l’intervento di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, per arrivare ai giorni nostri.
In sostanziale linea con una delle costanti del dibattito in materia, si è però finora parlato di risarcimento da perdita di chances senza definire in maniera precisa l’istituto; il prosieguo del nostro discorso ha pertanto necessità di una preliminare definizione dell’istituto come tratteggiato dalla giurisprudenza civilistica (e poi amministrativistica) in materia.
 
2. Chances vere, chances false e a metà.
Come ampiamente noto, la tecnica del risarcimento da perdita di chances[24] nasce, in ambito civilistico, in Francia[25], per poi estendersi ai paesi anglosassoni ed anche all’Italia; in particolare, emerge nell’ambito italiano in una particolare vicenda (relativa ad alcuni lavoratori avviati numericamente dall’ufficio di collocamento e non ammessi all’espletamento delle prove preliminari all’assunzione) definitivamente decisa da una storica decisione della Sezione Lavoro della Corte di cassazione, nel senso della risarcibilità della «perdita della possibilità di conseguire un risultato utile, possibilità esistente nei loro patrimoni al momento in cui hanno subito il comportamento illecito dell’azienda e la lesione del diritto[26]».
Per quello che riguarda l’aspetto definitorio, si sono spesso utilizzate (e si utilizzano) definizioni abbastanza generiche che definiscono il «danno da perdita di chance …. come la perdita di un’occasione favorevole o, il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale che consiste – in termini fenomenologici – nel venir meno per l’appunto di una ragionevole probabilità di raggiungere un risultato auspicato o di evitarne uno non desiderato[27]»; nelle opere più recenti non mancano però autori che preferiscono non dettare una propria definizione, limitandosi ad utilizzare, ai fini definitori, la differenza tra chance al singolare, che «assumerebbe un significato prossimo ai termini alea o rischio» e chances al plurale che indicherebbe «la probabilità con cui un evento può presentarsi in una serie di casi[28]».
Quello che è certo è che si tratta di una giurisprudenza che «ha usato, e continua ad usare, questa categoria della chance in modo largamente indiscriminato o – forse più esattamente – in modo essenzialmente empirico» e che spesso utilizza la categoria della  chance per ridire in modo nuovo cose da tempo conosciute sotto le nomenclature del lucro cessante, del danno reddituale o delle conseguenze ulteriori e che, sotto tali nomenclature, non sembravano, per lo più, proporre al sistema della responsabilità (tanto contrattuale che aquiliana) questioni particolarmente controverse, se non per aspetti che concernevano il …profilo della quantificazione del danno»[29].
Conseguenza di questo empirismo e dell’affastellamento di concetti diversi è poi il sostanziale spostamento delle vere e proprie problematiche definitorie, dall’individuazione generale della categoria della chance, alla delineazione di due diverse tipologie di chance, caratterizzate da una sistematica praticamente opposta e simmetrica[30] e sintetizzate in due diverse “tesi” sulla consistenza della chance.
La prima impostazione è costituita dalla tesi cd. eziologica o della «falsa chance[31]» che identifica la chance «con un “bene astratto” e futuro, ossia un bene che il danneggiato avrebbe probabilmente ottenuto se non  vi fosse stato il comportamento illecito altrui, appunto un’occasione persa»; la chance «si configurerebbe (pertanto) come un mezzo per dimostrare in modo meno rigoroso, ove sia particolarmente difficile fornire la prova, il nesso intercorrente tra la condotta illecita e l’evento[32]».
In questa logica, la chance viene pertanto riportata nell’ambito del lucro cessante e non del danno emergente, e viene ad integrare, oltre ad una particolare tipologia del cd. “danno futuro”, anche un sostanziale «escamotage per superare le difficoltà dell’accertamento del nesso di causa in ordine ad un evento finale auspicato dal danneggiato[33]».
All’interno di questo orientamento, non mancano pertanto decisioni che inseriscono espressamente la definizione della chance risarcibile all’interno della problematica più generale del nesso causale, istituendo una “scala decrescente” che parte dalla causalità rigorosa dei giudizi penali per poi arrivare alla «causalità civile “ordinaria”, attestata  sul versante della probabilità relativa (o “variabile”), caratterizzata, specie  in  ipotesi di reato commissivo, dall’accedere ad una  soglia meno  elevata  di  probabilità rispetto  a  quella  penale….(ed obbediente) alla  logica  del  “più probabile che non» ed al successivo livello (l’ultimo della scala) costituito dalla «causalità da perdita di chance, attestata tout court sul  versante della mera possibilità di conseguimento di un  diverso risultato  …., da intendersi, rettamente, non  come  mancato conseguimento  di  un  risultato  soltanto  possibile,  bensì  come sacrificio della possibilità di conseguirlo, inteso tale aspettativa … come  “bene”,  come  diritto attuale, autonomo e diverso rispetto a quello alla salute[34]».
In buona sostanza, si tratta pertanto di una tesi che attribuisce alla chance il ruolo (tutto sommato limitato) di sostanziale alleggerimento delle regole in materia di prova del nesso causale, imposto da esigenze di politica del diritto (in buona sostanza, le difficoltà probatorie presenti in determinate materie e la necessità di attribuire tutela ad interessi che risulterebbero, in mancanza, esclusi dalla tutela risarcitoria), ma che continua a seguire le movenze di una sistematica che continua a muoversi prevalentemente all’interno delle teorie della causalità.
Del tutto diversa l’impostazione della cd. tesi ontologica (o, nella versione di François Chabas, della «vera chance») che, al contrario, identifica la chance con un «un bene che esiste nel patrimonio del danneggiato e che va risarcito quale danno attuale da tenere distinto, ….dal bene finale che l’interessato aspira a ottenere o a conservare[35]»; in questo caso, il danno sarà pertanto da riportare alle categorie del danno attuale e del danno emergente[36] ed il danneggiato dovrà provare, sotto il profilo causale, la lesione della chance, «nella sua effettiva consistenza e nella sua derivazione causale dal comportamento del danneggiante[37]» e non la probabilità del cd. danno finale.
Una sistematica in cui, «in  pratica,  evento  di  danno e conseguenze  dannose  astrattamente risarcibili coincidono, poiché altro è la perdita di chance  intesa come  danno,  in  sé, risarcibile, quale è quella  di  cui  qui  si discute;  altro  è il danno da perdita di chance, quale  conseguenza dannosa risarcibile di un diverso evento di danno, dato dalla lesione di altro bene giuridico, quale ad esempio …. il  diritto  alla salute.  In questa seconda accezione, la perdita di chance rileva soltanto sotto il profilo della consequenzialità immediata e diretta ex articolo 1223 c.c., rispetto alla lesione, già accertata come causalmente connessa alla condotta dell’agente, dell’integrità psico- fisica; nella prima accezione la perdita di chance è, in sé, danno evento causalmente connesso alla condotta dell’agente[38]».
Da tenere presente ai fini che ci occupano è poi la stessa origine storica della tesi cd. ontologica espressamente riportata al momento in cui «il quadro cambia, ….quando, sullo scorcio del secolo appena trascorso, la responsabilità si apre a due fenomenologie di pregiudizi che, fino a quel momento, l’avevano investita in modo abbastanza marginale: la responsabilità dei medici e delle strutture sanitarie (ma anche, più in generale, dei professionisti) per i pregiudizi subiti dai pazienti (o clienti) e la responsabilità della Pubblica Amministrazione per il danno causato ai privati dal proprio agire provvedimentale illegittimo[39]».
Siamo pertanto in presenza di due sistematiche simmetricamente opposte in cui la probabilità di conseguire il risultato sperato o di mantenere il bene della vita, «nella prospettiva ontologica, una volta dimostrato il fatto illecito, l’evento e il nesso di causalità, … incide sulla quantificazione del danno da perdita di chance e non sulla prova della sua esistenza, mentre nella prospettiva eziologica la probabilità rileva già nell’indagine sull’esistenza del danno, ossia “per poter assumere la natura di bene giuridico rilevante”[40]»; in questa seconda prospettiva a base eziologica appare pertanto inevitabile l’apertura di un “terzo fronte” relativo alla rilevanza del nesso eziologico sul piano probabilistico ovvero ad una problematica che ha spesso trovato espressione in modelli giurisprudenziali orientati per il risarcimento esclusivamente della «chance la cui probabilità di conseguimento del risultato finale utile …. sia superiore al 50%[41]».
Un panorama giurisprudenziale essenzialmente polarizzato quindi su due opposte tesi ricostruttive, ma che spesso ammette “ibridazioni” ed evidenzia possibili “terze tesi”.
In questa prospettiva, non è, infatti, mancato chi ha ritenuto di poter individuare, nella giurisprudenza civile in materia di responsabilità medica o concorsi, una «terza via ermeneutica (c.d. tesi intermedia) … basata sulla distinzione tra perdita del bene futuro e perdita di chance, considerati due beni giuridici diversi, in relazione a ciascuno dei quali va accertato in via autonoma il nesso causale. Il danno futuro derivante dalla definitiva perdita, a causa del comportamento altrui, del bene ultimo avuto di mira è risarcito quale lucro cessante, la chance in senso stretto, intesa quale lesione della possibilità di raggiungere il risultato sperato, è, invece, risarcita come danno emergente[42]»; in questo caso e come sarà successivamente chiarito, più che di una «terza via ermeneutica» siamo però in presenza, più della prospettazione in giudizio di domande risarcitorie, in realtà, riferite a due differenti beni della vita, che di una figura “ibrida” e unitaria, risultante dalla combinazione delle due diverse tesi.
Anche in ambito amministrativo, la progressiva recezione della teoria del risarcimento da perdita di chances ha finito con l’evidenziare la dicotomia tra tesi eziologica e tesi ontologica già emersa in sede civile[43]; anche in questo caso, non è però mancata l’emersione di terze tesi.
È il caso, ad esempio, della «terza posizione mediana» richiamata da Ingegnatti che, «al fine di superare l’ impasse tra chance risarcibile e chance irrisarcibile, …(riconosce) la risarcibilità del danno in presenza di una effettiva probabilità di riuscita; probabilità che non necessariamente deve essere fornita in termini di certezza o prossimi alla certezza, ma che può essere anche medio-bassa, rapportata al singolo caso concreto, in chiave di probabilità logica (più probabile che non) volta a far ritenere che il ricorrente avesse una seria possibilità di conseguire il bene della vita anelato[44]»; o, ancora, del «terzo orientamento intermedio» di Giagnoni che «riconosce espressamente l’autonomia della chance quale bene giuridico a sé stante facente parte del patrimonio del danneggiato (teoria ontologica), ma ritiene di poter risarcire esclusivamente la chance la cui probabilità di conseguimento del risultato finale utile (l’aggiudicazione) sia superiore al 50%[45]».
Al di là di ogni considerazione in ordine alla riuscita delle “ibridazioni” sopra richiamate ed alla coerenza interna dei diversi orientamenti (ad avviso di chi scrive, almeno il «terzo orientamento intermedio» individuato da Giagnoni risulta caratterizzato da una contraddizione interna difficilmente risolvibile), risulta immediatamente evidente come la presenza degli orientamenti intermedi sopra richiamati confermi, piuttosto che confutare, la rilevazione iniziale in ordine alla natura estremamente empirica della costruzione giurisprudenziale ed alla sostanziale eterogeneità dei contenuti versati nel contenitore del risarcimento da perdita di chances.
Un primo tentativo di mettere ordine nella materia è stato operato dalla Quinta Sezione del Consiglio di Stato che, con un’ordinanza abbastanza recente[46], ha sollecitato l’Adunanza plenaria a prendere posizione sulla «dicotomia dei danni risarcibili ex art. 1223 Cod. civ., la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio. La teoria eziologica intende invece la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta dunque di un lucro cessante».
L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[47] ha però restituito gli atti alla Sezione ex art. 99, 1° comma c.p.a., ritenendo che la questione fosse già stata parzialmente decisa, per effetto della «fissazione con sentenza della consistenza della chance di aggiudicazione mediante gara ….nella misura del 20% , (fissazione che) da una parte potrebbe far ritenere in qualche modo già effettuata, implicitamente, una opzione per uno dei metodi – ontologico o eziologico – utilizzati dalla giurisprudenza e, dall’altra, potrebbe porre un problema di coerenza tra l’affermazione, nei sensi sopra esposti, della consistenza della chance e la questione della risarcibilità della medesima, apparendo i due profili, sopra indicati, strettamente correlati[48]».
Al di là di ogni considerazione in ordine alla correttezza o meno della soluzione processuale posta a base dell’ordinanza dell’Adunanza plenaria[49], risulta di immediata evidenza come la querelle in ordine alla consistenza della perdita di chances risarcibile ed alla necessità di aderire alla tesi eziologica o alla tesi ontologica sia sempre all’ordine del giorno e meriti ulteriori approfondimenti e, certamente, anche ulteriori sottoposizioni all’Adunanza plenaria.
In termini generali, è poi assolutamente evidente come l’intera problematica abbia seguito uno strano itinerario concettuale; ci si è, infatti, innamorati del risarcimento da perdita di chances ed imbarcati nella querelle tra tesi eziologica e ontologica, cercando di desumere argomentazioni favorevoli alla propria tesi dagli elementi più disparati (compresa l’etimologia[50]), senza prima definire la sostanza e i limiti precisi della figura.
Ne è risultato un dibattito abbastanza strano in cui tutti ritengono necessario aderire all’una o all’altra impostazione (che corrisponderebbe alla “vera” essenza della chance), dimenticandosi che non esiste una definizione della chance e che tutto deriva da una giurisprudenza molto empirica e che incasella argomentazioni e tecniche spesso molto differenti.
Piuttosto che insistere nel dibattito astratto sull’essenza della “vera” chance, risulta pertanto più interessante (almeno ad avviso di chi scrive) l’analisi di alcune caratteristiche e contenuti degli orientamenti giurisprudenziali spesso riportati all’etichetta del risarcimento da perdita di chances; solo in questo modo sarà, infatti, possibile «superare il carattere fondamentalmente empirico che la nozione di chance ancora presenta[51]» e cercare di procedere ad una sistematizzazione di una materia che definire magmatica è, forse, limitativo.
 
3. Il dilemma alla base di tutto: tutto o niente o almeno qualcosa?
Una recente dottrina ha riportato l’attenzione su quello che, in verità, era sotto gli occhi di tutti, ovvero che «il diritto della responsabilità civile segue tendenzialmente la regola del “tutto o niente”. Se il danneggiato prova il nesso causale ottiene il risarcimento per intero, se non lo prova non ottiene alcunché[52]»; ed in effetti, si tratta di un’impostazione d’origine anglosassone assai risalente che «si regge sull’argomento per cui un limite rigido è necessario per garantire la certezza del diritto, ma soprattutto risulta essere una conseguenza logica dell’onere probatorio: o il giudice ritiene il fatto provato o non lo ritiene tale, tertium non datur. Conseguentemente il risarcimento è intero o non è affatto[53]».
A ben guardare, anche il “giudizio di spettanza” di cui al già richiamato punto n. 9 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 si mantiene all’interno della logica del “tutto o niente”, richiedendo che, in ipotesi di interessi pretensivi, la concessione del risarcimento debba necessariamente passare attraverso l’accertamento, secondo un giudizio prognostico, della spettanza integrale del bene della vita posto a base dell’intera vicenda; la dottrina civilistica ha pertanto riconosciuto che, ove ci si trovi in presenza di poteri vincolati ed il giudizio di spettanza sia ancora possibile, «non si hanno da dare numeri statistici, ma si ha, invece, da effettuare – sempreché, si badi, sia giuridicamente ammissibile… quel che la giurisprudenza, soprattutto amministrativa, chiama giudizio prognostico, ossia si ha da riprodurre in via – per così dire – simulata (o incidentale) il procedimento, amministrativo o giudiziario illegittimamente esperito sulla base delle norme che al tempo in cui era stato esperito regolavano la fattispecie e di quel che ci si sarebbe dovuto attendere dall’applicazione della loro interpretazione prevalente[54]».
Le cose ovviamente si complicano nell’ipotesi in cui «il giudice ha margini di apprezzamento della probabilità del nesso causale e dunque arriva a ritenere, ad esempio, come probabile l’esistenza di tale nesso (o, meglio, più probabile che no)»; in questi casi, anche se «la valutazione è di tipo probabilistico, il giudice è (infatti) costretto ad ammettere o a negare per intero il risarcimento, come se il nesso causale fosse accertato (o negato) con certezza[55]».
Inutile negare però come si tratti di un procedimento logico fondato sulla «preponderance of evidence[56]» che lascia più di un’amarezza in capo agli operatori ed allo stesso giudice: «in realtà, è (infatti) problematico dire di una probabilità che oscilla, ammettiamolo tra il 40% ed il 60% che equivale ad una certezza assoluta, vale a dire negare o ammettere completamente il risarcimento»; ancora più problematico è ammettere «che se il danneggiato dimostra che con una probabilità del 50% più uno è stata la condotta del danneggiante ad aver causato il danno, (e) lucra il risarcimento dell’intero pregiudizio, ma se invece risulta probabile che il danneggiante abbia causato il danno solo al 49% allora il danneggiato non ottiene alcunché di risarcimento[57]».
Inutile pertanto negare come, «sotto un profilo di politica del diritto, … se si ritiene raggiunta una probabilità del 51%, concedere l’integrale risarcimento significa sovraindennizzare la vittima e viceversa[58]».
Pur con tutti i dubbi e le insoddisfazioni del caso, risulta però evidente come il ricorso al famoso limite del 50% più 1 risulti, in un certo senso, necessario per mantenere uniti il principio del “tutto o niente” (come già detto, geneticamente derivante dal principio dell’onere della prova) ed il ricorso al criterio probabilistico che risulta indubbiamente necessario, soprattutto, nelle nuove fattispecie di danno (come ad es., in ambito sanitario e/o ambientale) caratterizzate da una conoscenza solo parziale dei relativi processi eziologici[59]; in questa prospettiva, riconoscere ad un fattore che ha solo il 50% più 1 di probabilità di causare un evento il ruolo di causa dello stesso, pur essendo facilmente contestabile sul piano logico, viene sostanzialmente ad integrare una di quelle finzioni che abbondano in ambito giuridico e che, secondo alcune impostazioni, ne costituiscono l’essenza[60].
Per quello che riguarda la giurisprudenza, a partire dalla sentenza 16 ottobre 2007, n. 21619[61] della Terza Sezione Civile, anche la Corte di Cassazione ha cominciato a familiarizzarsi e ad utilizzare modelli di ricostruzione del nesso causale fondati sul principio del «più probabile che non, efficace e felice espressione, in chiave civilistica, del criterio/ragionamento probatorio della “probabilità logica”… poi ribadito costantemente dalla stessa Cassazione[62]».
L’insoddisfazione per le possibili incongruenze del ricorso al criterio del «più probabile che non» nella versione meccanicistica richiamata alle pagine precedenti è però rimasta ed ha trovato espressione, nel corso degli anni, in modelli di sentenza orientati a temperare il ricorso al criterio puramente statistico/probabilistico del 50% più 1 con il ricorso ad un criterio di «probabilità logica o baconiana», teso a bilanciare il ricorso alla probabilità statistica con «le evidenze processuali …. (in modo tale da ricondurne) il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto[63]»; ed è stata proprio quest’impostazione “mediana” ad essere stata recepita dalle tre decisioni della Corte di Cassazione a Sezioni Unite[64] che hanno operato il (probabilmente definitivo) passaggio all’applicazione della regola causale del «più probabile che non», in una versione che praticamente non considera più indispensabile il ricorso al “feticcio” probabilistico del 50% più 1.
Al di là del temperamento sopra individuato, un’altra parte della giurisprudenza ha preferito seguire un’altra strada ed ha cominciato ad utilizzare modelli di sentenza, in un certo senso, più radicali e fondati sull’espediente di «fare astrazione dal danno effettivo (la morte, ad esempio, del paziente), sostituendolo con un diminutivo astratto (la perdita di chance di sopravvivere)»; espediente che permette di «evitare gli effetti rigorosi del “tutto o niente”» e «garantire il risarcimento anche nei casi in cui non è raggiunta la prova (rectius il grado di prova richiesto) del nesso causale[65]».
Un modello sostanzialmente opposto rispetto a quello del “tutto o niente” sopra richiamato e che è stato sintetizzato, nel titolo del paragrafo, nella locuzione “almeno qualcosa”; la naturale graduabilità della chance permette, infatti, di concedere al danneggiato un risarcimento che risulta del tutto alieno da soglie di rilevanza (il famoso 50% più 1 della regola del “tutto o niente”) e può pertanto essere quantificato in proporzione della perdita di chances intercorsa; non a caso, si tratta di un criterio che, nell’esperienza del diritto amministrativo francese, viene riportato ad una «logique proportionnelle[66]» fondamentalmente opposta alla «logique du tout ou rien».
Con tutta evidenza, si tratta di un’impostazione che, almeno in linea di principio ed in mancanza delle precisazioni concettuali più oltre richiamate, suscita più di una perplessità sotto il profilo dell’ammissione di una qualche forma di responsabilità parziaria per una causalità incerta (come già detto, sostanzialmente contrastante con il principio dell’onere della prova), dell’aumento dei costi per il danneggiato[67] e delle problematiche connesse[68];  proprio per questo, hanno cominciato ad affacciarsi in dottrina, soprattutto negli ultimi anni, tesi orientate verso una sostanziale delimitazione delle fattispecie trattabili secondo la «logique proportionnelle» sopra richiamata.
Tutto ruota intorno alla necessità logica di costruire la chance come bene autonomo: «se la chance è un’entità autonoma, vuol dire che è il riferimento di un autonomo interesse, che è quello di non vedersi lesa una certa probabilità. E questo interesse deve conservare, come del resto declama la giurisprudenza, una sua autonomia rispetto a quello leso dal danno finale; così che l’interesse a non perdere la probabilità di guarire deve essere distinto da quello a non subire una definitiva lesione della salute»; «l’autonomia della chance, ossia la sua dimensione di bene autonomo (la giurisprudenza italiana usa il termine “entità”) significa innanzitutto autonomia dal bene finale, così che la perdita di una chance di guarire è di suo un danno, a prescindere da come il danno finale (la mancata guarigione) si atteggerà alla fine, ed anche a prescindere dalla circostanza se sarà o meno imputabile al medico[69]».
Ai fini della giustificazione dell’utilità del ricorso alla perdita di chances, risulta pertanto indispensabile l’individuazione di una posizione soggettiva che non costituisca un sostanziale “doppione”, formulato in termini probabilistici e sostanzialmente indistinti[70], dell’interesse finale, ma che possa mantenere una sua autonomia, pur in un contesto che (del tutto ovviamente) non può non evidenziare una certa contiguità con il bene finale ed una qualche difficoltà definitoria.
Del resto, la ricerca sopra richiamata appare del tutto naturale e necessitata in un contesto in cui «la perdita della chance è di natura essenzialmente normativa: si riferisce piuttosto a diritti e norme che non a causalità e fatti[71]» e costruire giuridicamente la chance come entità giuridicamente e patrimonialmente autonoma non vuol dire affatto riempire «un vuoto giuridico … ciò che vi è – o che potrebbe esservi – sembra costituire un quid giuridico, distinto e autonomo dal risultato finale, e dunque un quid che, già in quanto tale, potrebbe essere idoneo ad attivare la tutela risarcitoria e divenire, segnatamente, oggetto distinto del giudizio di “ingiustizia”[72]».
In buona sostanza, bisogna pertanto passare dalle tematiche della causalità che hanno segnato l’origine della costruzione giurisprudenziale, alla problematica normativa dell’individuazione di una posizione soggettiva risarcibile caratterizzata da una sua autonomia rispetto al bene finale da cui ha, indubbiamente, avuto origine e con la quale continua a mantenere legami sotto il profilo effettuale (inutile rilevare, infatti, come tra la probabilità di guarire ed il diritto alla vita o alla salute intercorrano nessi sostanziali che rendono non agevole la ricerca dell’autonomia della chance); siamo pertanto in presenza sempre di una finzione giuridica nel senso prospettato da Yan Thomas, ma di una finzione giuridica che, a differenza dell’ipotesi precedente, incide sul bene oggetto di tutela risarcitoria, piuttosto che sul nesso causale, venendo a determinare una sostanziale «reificazione[73]» della chance.
Per effetto di questo processo di riconoscimento/creazione di un nuovo bene giuridico, il ricorso alla perdita di chances non «configura affatto, come viceversa sostengono alcuni suoi detrattori, un’attenuazione del criterio probabilistico del “più probabile che non”: infatti…..non ricorre alcun rapporto di contiguità tra, da un lato, il concetto della “probabilità” causale (e le incertezze associate a questo versante) e, dall’altro lato, la nozione di “possibilità” del verificarsi di un risultato sperato (e le incertezze che accompagnano tale possibilità)[74]».
In questa prospettiva sostanzialistica, il migliore (se non unico) criterio individuato dalla dottrina privatistica per individuare le fattispecie suscettibili di sistematizzazione in termini di chance è quello in cui la «teoria della perdita di chance può trovare applicazione soltanto se è impossibile stabilire una linea di causalità tra la condotta ed il danno finale, ossia solo se il danno finale è incerto. Se invece il danno finale è accertato come riferibile alla condotta del convenuto, allora il giudice deve risarcire integralmente il danno e non fare questione di chance[75]»; diversamente opinando, il ricorso alla perdita di chances tenderebbe, infatti, a ritornare a quello che era probabilmente all’inizio, ovvero una deviazione dalle regole del “tutto o niente” di dubbia giustificazione e che rischia di porre immotivatamente in crisi una sistematica ormai consolidata.
Ne deriva la necessità di limitare la costruzione giurisprudenziale del danno da perdita di chances a «quello che, stipulativamente, si può dire un danno ipotetico, ossia una situazione ove non si sa e non si può oggettivamente sapere, se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato, giacché solo a questa condizione si può immaginare che sia stata preclusa una “mera possibilità” …. (stando pertanto attenti a che) non si verta, invece, nel diverso problema dell’esperimento infruttuoso del sistema delle presunzioni (che richiederebbe di riconoscere che, semplicemente, l’attore ha mancato la prova della sussistenza del danno)»; in buona sostanza, quindi solo delle fattispecie in cui sia presente una qualche forma di «incertezza ontologica del risultato… (= ove non si danno già in astratto conoscenze sufficienti ad affermare che senza l’inadempimento o l’interferenza illecita il risultato favorevole si sarebbe con certezza verificato)[76] ».
Con tutta evidenza, fuoriescono pertanto «dal novero delle chances in senso proprio (= in quanto identificative di un peculiare tipo di problema) e dal trattamento giuridico loro proprio tutte quelle fattispecie ove l’occorrenza del risultato non si prospetti come – per così dire – ontologicamente inverificabile» e la nuova posizione soggettiva trova un campo privilegiato di applicazione nelle fattispecie in cui sia massicciamente presente «una ontologica incertezza circa quel che sarebbe avvenuto in assenza della condotta illecita e questa incertezza possa prospettarsi come preclusione dell’aspettativa di un risultato favorevole dalla cui rilevanza dipenda lo stesso insorgere della responsabilità», come ad esempio, in ambito sanitario e nel vasto campo «delle aspettative deluse per l’impedita partecipazione ad, o lo scorretto espletamento di, un procedimento (principalmente) di carattere amministrativo o giudiziario[77]».
L’autonomia teorica ed operativa della chance sembra, infatti «a prima vista inconfutabile quando si verta nel campo delle aspettative dipendenti da procedimenti giudiziari e, soprattutto, amministrativi, dove non è difficile rinvenire normative che disciplinano le relative procedure ed i comportamenti di chi è chiamato ad implementarle …. che …. sembrano proiettare la loro doverosità anche verso l’esterno (e cioè anche verso soggetti che, a differenza di giudici, commissari ecc., non sono direttamente deputati ad esperire tali procedure)…. (in maniera tale da attribuire al destinatario del procedimento la pretesa ad)  un “bene della vita” che si possa ritenere gli “spetti” e la cui lesione lo abiliti alla tutela aquiliana[78]».
Nella materia amministrativa, la distinzione è pertanto tra due diverse situazioni: «la prima … ricorre quando la decisione, con la quale il procedimento è destinato a concludersi e dalla quale dipende l’eventuale vantaggio del danneggiato, è affidata a parametri rigidi (ad es.: un concorso a titoli con punteggi fissi o una gara d’appalto a ribasso d’asta) o a criteri giuridici (ad es.: la disciplina di un procedimento amministrativo o una controversia giudiziaria) o a c.d. discrezionalità tecniche (ad es.: una gara d’appalto da aggiudicare sulla base di calcoli costi/benefici). La seconda situazione, invece, ricorre quando la decisione è affidata a parametri di c.d. discrezionalità politica o a criteri di c.d. puro merito o a prove d’esame (ineseguite dal danneggiato e irripetibili nelle condizioni di eguaglianza richieste dal procedimento competitivo)[79]».
Solo nel secondo gruppo di fattispecie, appare, infatti, presente quell’«irresolubile incertezza empirica» riconducibile alla teoria della perdita di chances come autonomo bene risarcibile sopra richiamata, mentre il primo gruppo appare riportabile ad una serie di «fattispecie ove, invece, si prospetta una risolubile incertezza giuridica, che, proprio in ragione della accertabilità della spettanza di quel che il provvedimento si lamenta abbia fatto mancare, si lasciano ricondurre piuttosto al diverso problema della illecita privazione del risultato dovuto[80]».
In buona sostanza, si tratta dell’impostazione recepita anche dalla più recente giurisprudenza della Terza Sezione della Corte di Cassazione che, sulla base di una ricostruzione non dissimile da quella proposta in queste pagine, ha rilevato come,  «qualora l’evento di danno sia costituito non da una possibilità – sinonimo di incertezza del risultato sperato – ma dal (mancato) risultato stesso (nel caso di specie, la perdita anticipata della vita), non …(sia) lecito discorrere di chance perduta, bensì di altro e diverso evento di danno, senza che l’equivoco lessicale costituito, in tal caso, dalla sua ricostruzione in termini di “possibilità” possa indurre a conclusioni diverse» e concluso per l’ammissibilità del risarcimento della perdita di chances solo in presenza di «un evento di danno incerto: le conclusioni della CTU risultano, cioè, espresse in termini di insanabile incertezza rispetto all’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze, ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo[81]»; si è pertanto sostanzialmente completata una trasformazione che ha spostato il punto focale della problematica dall’aspetto causale (in tutti e due i casi, ricostruito sulla base della regola del “più probabile che non”) all’evento di danno individuato, in un caso, nell’accertato pregiudizio del conseguimento “bene della vita” posto a base della vicenda e, nell’altro,  nell’« insanabile incertezza» in ordine alla possibilità di conseguire il bene.
Una nuova prospettiva che tende a considerare sostanzialmente «fuorviante la distinzione tra chance cd. “ontologica” e chance “eziologica”, volta che la seconda delle predette definizioni sovrappone inammissibilmente la dimensione della causalità con quella dell’evento di danno, mentre la prima evoca una impredicabile fattispecie di danno in re ipsa che prescinde del tutto dall’esistenza e dalla prova di un danno risarcibile. Indagine che andrà, come di consueto, condotta alla luce del criterio civilistico del “più probabile che non”[82]»; la tendenza del sistema è pertanto sempre verso una dicotomia che appare però diversamente orientata rispetto all’ormai “classica” distinzione tra teoria eziologica e teoria ontologica.
Alla fine della ricostruzione della dottrina civilistica sopra sommariamente tratteggiata, si arriva pertanto sempre (si potrebbe dire, inevitabilmente) alla tutela del bene della vita posto a base di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 ed ai procedimenti amministrativi terreno privilegiato di elezione (insieme alla responsabilità sanitaria ed alla responsabilità dell’avvocato) del danno da perdita di chances; si arriva però anche ad una dicotomia che è sostanzialmente diversa da quella “classica” tra tesi eziologica e tesi ontologica e che porta ad esiti differenti.
Ed è alla luce di tale diverso strumentario concettuale che deve essere riesaminata anche la giurisprudenza amministrativa relativa alla perdita di chances.
 
4. Verso una compresenza di due nuovi modelli?
Valutate nell’ottica sopra sommariamente tratteggiata, le sentenze riportate alla cd. tesi eziologica dalla già citata Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118, si dimostrano prevalentemente (non mancano anche, infatti, decisioni di incerta ricostruzione o più motivatamente riportabili alla tesi opposta) caratterizzate da soluzioni giurisprudenziali che, in realtà, non risarciscono per nulla un bene della vita/chance autonomo, ma lo stesso interesse “finale” avuto di mira dal danneggiato, utilizzando la famosa soglia del 50% più 1 di possibilità di conseguirlo, ovvero da modelli di sentenza che possono essere agevolmente giustificati dall’applicazione del normale modello causale, nella versione logico/probabilistica richiamata al § precedente; in buona sostanza, quello che conta è, infatti, quella «preponderance of evidence» che appare del tutto organica alla logica del “tutto o niente” e non può essere ritenuta significativa del ricorso all’opposta logica definita, in queste pagine, come dell’”almeno qualcosa”.
La conclusione può poi essere estesa anche ai modelli di sentenza che prevedono criteri di prevalenza causale fondati sulla minima differenza di punti tra i due concorrenti[83] e, quindi, su un grado elevato di probabilità logica stimato empiricamente dal giudice senza un sostanziale ricorso alla valutazione statistica; in ambito civilistico è stato, infatti, esattamente rilevato come, in molte fattispecie di danno, risulti pienamente legittimo (se non necessitato) il ricorso alla categoria della “probabilità estimativa” che cerca di contemperare tutti i fatti estrinseci e intrinseci del caso singolo (spesso, se non sempre, maggiori di quelli considerati nei modelli matematici o statistici)[84] e si tratta, in buona sostanza, di nient’altro che di quel criterio che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno definito come della «probabilità logica o baconiana[85]» e che viene a temperare, con gli elementi del caso concreto, gli eccessi del ricorso al criterio probabilistico del 50% più 1.
Alla fine, siamo pertanto in presenza di modelli di sentenza in cui “vince la tesi più probabile” e, soprattutto, chi vince prende tutto (ovvero, l’intero equivalente monetario del bene della vita avuto di mira); in buona sostanza, una rilettura del giudizio di spettanza di cui al punto n. 9 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, nei termini probabilistici sempre più spesso utilizzati dalla giurisprudenza che debba affrontare problematiche causali di complessa o incerta ricostruzione.
Al di là dell’opposizione manifestata da una parte della dottrina[86], sembra pertanto che l’iniziale incompatibilità tra giudizio di spettanza e adozione di modelli di causalità a sfondo probabilistico prospettata negli anni immediatamente successivi a Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 abbia successivamente lasciato il passo, in maniera non dissimile da quanto avvenuto a livello di giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione[87],  a modelli di sentenza che sostanzialmente coniugano le due sistematiche; del resto, almeno a chi scrive, sembra che non sussistano particolari ostacoli  a “rileggere” nei termini della causalità probabilistica il giudizio di spettanza in materia di interessi pretensivi, partendo dalla principale considerazione relativa al fatto che Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 risulta essere intervenuta in un momento in cui non si era ancora verificata quella svolta verso l’utilizzazione del criterio del “più probabile che non” evidenziatasi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione a partire dal 2007.
Si può certamente dissentire dall’utilizzazione del riferimento alla perdita di chances per giustificare un orientamento che è, in realtà, fondato sulla preponderanza causale riferita al risultato finale (e che quindi costituisce, in buona sostanza, l’opposto della figura della “vera” chance, per come tratteggiata al § precedente); ma se si vuole continuare a definire questo indirizzo nei termini finora utilizzati di teoria della chance eziologica (così andando di contrario avviso rispetto alla scelta sistematica, certo non vincolante, operata da Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641), si può tranquillamente continuare a farlo, rimanendo comunque fissato ed indiscusso che, nella fattispecie, non ricorrono per nulla i requisiti costitutivi della “vera” chance nel senso sopra delineato, vale a dire, la natura di posizione sostanziale autonoma rispetto al bene della vita finale (in questo caso, chance e bene della vita finale non possono, infatti, non identificarsi) e la conseguenziale attribuzione al danneggiato dell’equivalente monetario del bene leso, in proporzione alle chances e non per l’intero.
Se si vuole pervenire ad una nuova definizione terminologica che tenga conto dell’abbandono delle tesi eziologica e ontologica prospettato da Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641, merita certamente approvazione, ad avviso di chi scrive, la soluzione dottrinale che, utilizzando la distinzione tra causalità materiale (ovvero tra la condotta o l’omissione del danneggiato e la lesione della sfera del danneggiato) e causalità giuridica (ovvero tra il fatto lesivo e le conseguenze pregiudizievoli, ovvero i cd. danni/conseguenza[88]), ha coniato la definizione di «causalità da perdita di chance», riferendola alla «privazione di chance quale dimensione d’analisi (o “strumento”) per l’imputazione, sul piano della causalità materiale, della responsabilità civile[89]»; in questa prospettiva, il riferimento alla chance non fuoriesce pertanto dal territorio della causalità materiale e viene ad integrare un sostanziale modo per dimostrare la derivazione di un certo evento da una condotta, secondo i criteri logico/probabilistici sopra richiamati (ad es. l’omessa aggiudicazione dell’appalto, per effetto di una certa violazione della normativa di gara).
Sotto il profilo sostanziale, la critica maggiore che è possibile fare alla tipologia di decisioni riportabili al modello della «causalità da perdita di chance» risulta poi indubbiamente costituita dal ricorso probabilmente eccessivo al “feticcio” del 50% più 1 che, come già rilevato, risulta ormai temperato, in ambito civilistico, dal più duttile utilizzo del criterio della «probabilità logica o baconiana» richiamato da Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582, 583 e 584 che sostanzialmente arricchisce il processo causale di una serie di fattori specifici del caso singolo, non sempre considerati dalle serie statistiche.
Venendo al secondo gruppo di sentenze riportate da Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 all’opposta categoria della tesi ontologica, appare abbastanza semplice rilevare come si tratti, in realtà, solo di decisioni relative a fattispecie di mancata indizione della gara, ovvero ad ipotesi in cui, per effetto del «mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica (o di pubblicità e trasparenza) non è possibile formulare una prognosi sull’esito di una procedura comparativa in effetti mai svolta e … tale impossibilità non può ridondare in danno del soggetto leso dall’altrui illegittimità, per cui la chance di cui lo stesso soggetto è portatore deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica in ordine all’ipotetico esito della gara[90]».
Almeno questa parte della giurisprudenza appare pertanto fondata su quell’«ontologica incertezza circa quel che sarebbe avvenuto in assenza della condotta illecita[91]» che, come già rilevato al § precedente, costituisce l’essenza della “vera” chance e giustifica il riconoscimento della natura di posizione sostanziale autonoma rispetto al bene della vita finale (in questo caso, la possibilità di partecipare e risultare aggiudicatario della procedura e non la spettanza dell’aggiudicazione) e la conseguenziale attribuzione dell’equivalente monetario del bene leso, in proporzione alle chances e non per l’intero; siamo pertanto in presenza di un’elaborazione concettuale perfettamente in linea con la sistematica di Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641 e con l’importanza decisiva attribuita, ai fini dell’ammissibilità della risarcibilità della perdita di chances, all’«insanabile incertezza» in ordine alla possibilità di conseguire il bene della vita.
Anche in questo caso, si potrebbe benissimo continuare ad utilizzare (in barba a Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641) la categoria definitoria della cd. tesi ontologica; ove si volesse utilizzare una diversa definizione, si prospetta decisivo il ricorso alla tesi dottrinale che, lavorando sulla distinzione tra  causalità materiale e causalità giuridica, ha ritenuto di poter parlare di «perdita di chance quale particolare pregiudizio-conseguenza (patrimoniale e non patrimoniale) naturalisticamente inteso, che rilevabile sul piano della causalità giuridica, consegue alla lesione di un certo bene della vita[92]», ovvero in termini di particolare danno-conseguenza che deriva da un fatto illecito o dall’inadempimento.
In sostanza, siamo quindi sempre di una dicotomia tra la «causalità da perdita di chance», attinente alle problematiche di cd. causalità materiale e che servirebbe a risolvere le problematiche in ordine alla dipendenza dell’evento lesivo dall’azione o omissione attraverso il sempre più massiccio ricorso al criterio del “più probabile che non” e danno da «perdita di chance» (se si vuole, in senso proprio) che invece attiene al diverso territorio della cd. causalità giuridica e serve ad ascrivere ad un certo evento, in una prospettiva quindi giuridica e non fattuale, la lesione di un particolare bene, non costituito dal bene finale, ma dalla semplice possibilità di conseguirlo in un territorio caratterizzato da quell’«insanabile incertezza» valorizzato da Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641.
Con riferimento a questa seconda categoria è però necessaria un’ulteriore precisazione definitoria.
Molto spesso è, infatti, riportata alla cd. tesi ontologica (oggi al danno da «perdita di chance» in senso proprio) almeno una decisione che  ha risarcito in termini di perdita di chances di tipo oppositivo (una sostanziale rarità, visto che, nella maggior parte dei casi, si verte sempre in materia di interessi pretensivi) una lesione derivante dalla revoca dell’aggiudicazione di una gara in assenza della comunicazione di inizio procedimento: «nel caso di specie, … l’amministrazione, omettendo di dare l’avviso di avvio del procedimento, ha frustrato la chance dell’appellante di rimanere aggiudicataria e conseguentemente a tale possibilità deve essere ancorato il risarcimento[93]».
Anche a questo proposito, può però essere richiamata la dottrina civilistica che, con riferimento all’ambito sanitario, ha rilevato come non possano trovare considerazione in termini di perdita di chances (come in alcuni casi giudiziari francesi) le violazioni di obblighi (nel caso della responsabilità medica, l’omessa informazione del paziente) che, nell’elaborazione giurisprudenziale italiana, sono ormai considerati oggetto di «un diritto autonomo, costruito in maniera tale da poter garantire la migliore tutela possibile del paziente»; in questo caso, non «è …(infatti) ben chiaro dove stia la chance…In realtà, l’omessa informazione fa perdere non una chance di scegliere, una mera probabilità, ma lede l’effettivo ed attuale diritto di scegliere[94]».
Anche in ambito amministrativo, sono poi state prospettate ricostruzioni che tendono ad evidenziare, nella lesione degli interessi procedimentali, «un’aspettativa al provvedimento finale positivo e … un’aspettativa al rispetto delle regole procedimentali[95]» e che, quindi, sostanzialmente propendono per una ricostruzione della fattispecie in termini dualistici e di autonomia tra le due violazioni; del resto, non è sempre e comunque evidente ed automatico che la violazione delle garanzie procedimentali e l’impossibilità di difendersi nel procedimento abbiano determinato anche quell’incertezza ontologica del risultato dell’azione amministrativa che costituisce l’essenza della perdita di chances.
Una delle ulteriori difficoltà della materia è pertanto data dalla necessità (e spesso difficoltà) di differenziare la perdita di chances da altre figure (l’obbligo di informazione del paziente in ambito sanitario; gli interessi procedimentali, in ambito amministrativo) di nuovo conio e che, per di più, stanno sostanzialmente emergendo in giurisprudenza nel medesimo periodo ed in stretta concomitanza; anche con riferimento a questo versante, appare pertanto necessaria, ad avviso di chi scrive, una chiarificazione concettuale ed una delimitazione dei confini rispettivi delle due diverse figure.
Discorso completamente diverso è poi quello relativo alla possibilità di riportare alla lesione degli interessi procedimentali anche l’ulteriore danno-conseguenza, equitativamente risarcibile e considerabile in termini di perdita di chances in senso proprio[96], derivante dalla compressione delle facoltà procedimentali (dall’impossibilità di scegliere consapevolmente a seguito della violazione degli obblighi di informazione del paziente, nella responsabilità medica) e dall’impossibilità di partecipare utilmente derivante dalla violazione; siamo pertanto sostanzialmente lontani dalla quasi automaticità prospettata da C.G.A. sez. giurisd., 12 dicembre 2013, n. 929 e l’eventuale concessione di un risarcimento da perdita di chances non potrà limitarsi alla constatazione della violazione procedimentale, apparendo, al contrario, necessarie una serie di ulteriori valutazioni di causalità giuridica in ordine alla sussistenza di quell’«insanabile incertezza» originata dalla violazione procedimentale che potrebbe eventualmente legittimare la risarcibilità della perdita di chances come bene autonomo ed alla conseguenziale possibilità di ravvisare nella vicenda delle chances risarcibili in via autonoma.
La (lunga) ricostruzione proposta in queste pagine permette (forse) di chiarire alcune cose in un territorio certamente molto articolato e tormentato da una serie di fraintendimenti; ad avviso di chi scrive, rimane da affrontare almeno un fraintendimento che potrebbe assumere una certa importanza e cercare di proporne una chiarificazione.
In particolare, si tratta di una circostanza che emerge, per così dire, “in filigrana” dai richiami alla dottrina ed alla giurisprudenza civilistiche sopra riportate, ma che tuttavia tende sempre di più ad assumere una chiarezza decisiva ed immediatamente rilevabile.
Come già ricordato, il dibattito relativo alla perdita di chances in ambito amministrativo  è partito da una singolare inversione concettuale costituita dall’aver “sposato” la tecnica senza particolari approfondimenti concettuali e dalla successiva polarizzazione del dibattito sulla querelle tra la tesi eziologica e la tesi ontologica; in buona sostanza, il dibattito si è tutto giocato (e si gioca) sulla ricerca della “vera” tesi sulla perdita di chances e sulla necessità, quindi, di optare per una o l’altra ricostruzione.
Ed in effetti, anche Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 ha chiesto all’Adunanza plenaria di prendere, in sostanza, posizione, per l’una e l’altra tesi, ritenuta più “esatta” e più “vera” dell’altra; tutto si è pertanto mosso in una prospettiva di alternatività tra le due tesi, cercando di pervenire ad una chiarificazione concettuale basata sull’opzione definitiva per una o per l’altra delle due ricostruzioni.
Al contrario, la ricostruzione proposta in queste pagine si presenta fondata sulla compresenza e non sull’alternatività delle due tecniche di risarcimento che non tendono ad escludersi definitivamente, ma a convivere in uno strumentario di tutela articolato che, a seconda delle fattispecie, tende ad utilizzare una o l’altra delle ricostruzioni.
Del resto, sarebbe molto facile immaginare i possibili effetti disfunzionali che sarebbero potuti derivare dall’opzione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato per l’una o l’altra tesi; ove avesse prevalso la tesi eziologica o della «causalità da perdita di chance», (che, in realtà, ha molto poco, se non niente, a che fare con la “vera” perdita di chances) sarebbero rimaste probabilmente senza tutela risarcitoria alcune fattispecie (ad es. gli affidamenti in violazione degli obblighi di evidenza pubblica e/o di pubblicità) che, in realtà, molto ben si addicono all’opposta tesi; ove avesse prevalso la tesi ontologica o del danno da «perdita di chance» in senso proprio, si sarebbero risarcite in termini di perdita di chances fattispecie in cui è, in realtà, possibile la ricostruzione della spettanza del bene della vita (anche utilizzando la tecnica probabilistica del “più probabile che non”) e che, quindi, meriterebbero di spuntare l’interezza dell’equivalente monetario del bene della vita sperato e non solo quella frazione attribuibile secondo la tecnica della perdita di chances.
Con tutta evidenza, non sarebbe stato pertanto il migliore dei mondi possibili.
Alla luce delle considerazioni sopra richiamate, la restituzione degli atti alla Sezione ex art. 99, 1° comma c.p.a. operata da Cons. Stato, Ad. plen. 11 maggio 2018, n. 7 sembra pertanto assumere un valore che va al di là della vicenda concreta (indubbiamente caratterizzata da un vincolo derivante da una precedente sentenza non definitiva) e che ben si sposa con quanto ritenuto in queste pagine; la questione non è, infatti, optare per una delle due tesi, ma individuare quale delle due tecniche (forse inevitabilmente, destinate a convivere ancora per molto tempo) applicare ad una vicenda concreta; non esiste pertanto una tesi “più giusta” dell’altra in astratto, ma solo una tecnica che è “più giusta” dell’altra con riferimento ad una certa fattispecie concreta.
L’approdo finale di quanto sostenuto in queste pagine è pertanto un sistema che rimane inevitabilmente dualistico ed in cui solo l’analisi della fattispecie concreta può permettere l’individuazione dell’unica tecnica di tutela “giusta” ed adatta a meglio risolvere il conflitto di interessi nato dalla vicenda; una compresenza di due diversi sistemi che non è pertanto possibile risolvere e semplificare in astratto, neanche attraverso il ricorso al criterio della materia, spesso proposto dalla dottrina[97] per risolvere la problematica.
Il «mobile bosco di Birnam» creato da Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 è pertanto molto più complicato e articolato di quanto si era pensato all’origine e sono presenti sicuramente molti “alberi” nuovi, appartenenti a specie differenti e non sempre facilmente incasellabili nelle tipologie più utilizzate nel dibattito civilistico in materia di azione risarcitoria.
L’eccessiva polarizzazione del dibattito sulla querelle tra le due diverse tesi ha poi portato, almeno ad avviso di chi scrive, all’accumulazione di un sostanziale ritardo nell’approfondimento delle vere questioni che possono originarsi dalla compresenza delle due tecniche di tutela e dalla necessità di dover individuare, nelle diverse materie, la sussistenza di quell’«incertezza ontologica del risultato» che giustifica, nella prospettazione fornita in queste pagine, il riconoscimento di una tutela secondo la tecnica della perdita di chances.
Con riferimento alla perdita di chances, tutto è pertanto ancora in movimento nel «mobile bosco di Birnam» della responsabilità civile della p.a., a partire dalla delimitazione delle due diverse tecniche di tutela sopra richiamate, per arrivare alla necessaria coordinazione con la lesione degli interessi procedimentali ed all’individuazione delle fattispecie effettivamente ricostruibili in termini di perdita di chances in senso proprio[98].
Ancora molto lavoro c’è poi da fare con riferimento alle problematiche più propriamente processuali.
A questo proposito, un primo orientamento[99] ha ritenuto di poter trasfondere il processo sostanziale di autonomizzazione della chance in una sostanziale diversità delle domande giudiziali relative al danno da lesione del bene finale rispetto al danno da perdita di chances, con le intuibili negative conseguenze, ove il risarcimento sia stato chiesto con riferimento all’uno e non all’altro bene; un secondo orientamento decisamente più favorevole ai danneggiati ha ritenuto di poter considerare la concessione del risarcimento da perdita di chances in termini di «riduzione dell’originaria domanda di risarcimento dell’intero pregiudizio assunto, da una parte essa non determina una mutatio libelli e dall’altra tale riduzione può essere effettuata direttamente anche dal giudice, pur in difetto di esplicita richiesta della parte in tal senso riduttiva[100]».
Pur nella consapevolezza dell’autonomia tra i due beni giuridici in discorso, appare però decisamente preferibile l’ulteriore tesi emersa in dottrina[101] ed in giurisprudenza che tende ad evitare eccessi formalistici e che ha prospettato la sostanziale unità della domanda di risarcimento del danno, con conseguente impossibilità di «considerare come una domanda diversa, l’invocazione del danno da perdita di chance, essendo tale perdita solo una componente dell’unico diritto al risarcimento del danno insorto dall’illecito e bastando la formulazione con cui nella domanda si chieda il risarcimento di tutti i danni a comprenderlo, altro essendo il problema dell’individuazione e, quindi, dell’allegazione dei fatti costitutivi di questa tipologia di danni, che, evidentemente, possono e debbono essere specificamente allegati nell’atto introduttivo, ma anche, in una situazione di incertezza, emergere dall’espletamento dell’istruzione, specie se avvenuta mediante consulenza tecnica[102]».
Probabilmente si tratta di una problematica che occorrerà affrontare anche in ambito amministrativo e che appare a chi scrive preferibile risolvere nel senso antiformalistico prospettato da Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2017, n. 12597.
Finora il discorso è stato condotto accantonando una tematica importante che è costituita dalle voci in dottrina che non sono per nulla d’accordo con l’utilizzazione della perdita di chances e che, spesso con una certa vivacità, hanno contestato l’evoluzione giurisprudenziale richiamata alle pagine precedenti; omissione che è stata dettata dalla volontà di riservare l’esame delle dette voci ad un fase successiva ad una qualche chiarificazione concettuale sulla natura della chance ed è pertanto il momento di esaminare (almeno sommariamente) le contestazioni più importanti.
 
5. Le contestazioni in dottrina.
Le contestazioni prospettate in dottrina in ordine al ricorso alla perdita di chances in ambito civilistico ed amministrativo sono veramente tante e complesse e risulta veramente difficile l’esame esaustivo delle diverse tesi (spesso non esenti da interscambi e ripetizioni); si procederà pertanto all’esame solo di quelle che, almeno della prospettiva di chi scrive, assumono maggiore importanza per la chiarificazione di alcuni aspetti definitori dell’istituto.
L’obiezione certamente più radicale è quella prospettata nella dottrina civilistica da chi, dopo l’esame della problematica (per la verità condotto con riferimento quasi esclusivo alle problematiche di responsabilità sanitaria), ha ritenuto di dover sollevare un dubbio radicale in ordine alla stessa possibilità che «la giurisprudenza abbia il potere di creare situazioni soggettive… in tal modo si amplia (infatti) lo spazio della responsabilità, ancora una volta per puro diritto giurisprudenziale[103]».
Senza dubbio, si tratta di un’obiezione che si inserisce all’interno di un dibattito (quello sulla creatività del giudice) che, oltre ad essere risalente, non può essere affrontato in queste pagine.
Nella limitata prospettiva di questo scritto, appare però sufficiente rilevare come «l’aspetto di cosiddetta creatività …. ruot(i) intorno alla qualificazione di ingiustizia di una determinata perdita[104]» ovvero ad uno degli aspetti maggiormente caratterizzati dall’evoluzione giurisprudenziale che è alla base anche di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, oltre che del nuovo danno non patrimoniale e di tutte le nuove figure di danno; in un certo senso, siamo pertanto in presenza di un’obiezione che prova troppo e che ci dovrebbe portare a chiudere il discorso fin dall’inizio, non avendo alcun senso parlare neanche di bene della vita., giudizio prognostico, ecc., ovvero di una serie di riletture dell’ingiustizia del danno che, secondo la detta prospettazione, non sarebbero consentite al giudice[105].
La dottrina civilistica è andata poi più oltre, ritenendo di poter rilevare come «l’idea di elevare la probabilità a situazione giuridica da proteggere» non sia per nulla aliena dalla sistematica civilistica, essendo già presente nel codice civile nella tipizzazione del contratto di assicurazione (fondato sul trattamento di chances negative) o nella previsione dell’art. 1472 c.c.[106]; sicuramente una rilevazione che chi scrive ritiene di poter recepire e fare propria.
Ancora più oltre rispetto al riferimento alle diverse figure civilistiche fondate sul trattamento delle chances, assume efficacia dirimente (almeno ad avviso di chi scrive) la rilevazione di altra dottrina relativa al fatto che risulti indiscutibile che «ciascuno di noi abbia delle “chance”, con riferimento agli aspetti, patrimoniali e/o non patrimoniali, più disparati della sua vita …(e) inconfutabile sul piano naturalistico e fenomenologico……queste chance quali situazioni oggettivamente riscontrabili, sono lungi dall’essere sfuggenti, labili, fumose, speculative: la loro “esistenza” è documentabile e dimostrabile attraverso la casistica pregressa……ancorché magari, a seconda dei casi, con margini più o meno estesi di incertezza, oppure in range più o meno significativi[107]»; contrariamente a quanto affermato da una parte della dottrina, la categoria della chance non si inserisce pertanto e riempie abusivamente «un vuoto giuridico[108]», ma costituisce la sistematizzazione di un’aspettativa indubbiamente esistente e che, attraverso questa figura giurisprudenziale, assume consistenza giuridica.
Forse per effetto della commistione di differenti modelli che è stata rilevata alle pagine precedenti, le critiche della dottrina amministrativistica all’impiego della tecnica della perdita di chances non sono poi chiarissime e, almeno ad avviso di chi scrive, appaiono essere caratterizzate da un’astrazione forse eccessiva.
In particolare, una tesi fortemente critica ha ritenuto di poter concludere per la sostanziale inutilità della figura visto che «se alla base della perdita di chance sta un giudizio probabilistico, questa dice troppo, e subisce l’irrimediabile attrazione dell’interesse materiale; se alla base sta invece un giudizio di mera possibilità, la chance dice troppo poco, e non arriva a configurare una posizione giuridica garantita in via autonoma dall’ordinamento[109]».
Lo svolgimento successivo della radicale conclusione sopra richiamata non incide però in maniera sostanziale sulle coordinate ricostruttive della materia richiamate ai §§ precedenti.
La contestazione più importante riguarda, infatti, la sostanziale «antinomia che si crea tra l’escludere la tutela risarcitoria di un interesse la cui soddisfazione non è certa e il recuperarla sul piano della probabilità che questa soddisfazione si verifichi. Ne consegue che il giudizio probabilistico sospende nel vuoto, agganciandosi non solo a un’eventualità di fatto, il che è normale, perché nella relazione di probabilità il secondo termine non è mai attuale, ma anche a un’eventualità giuridica, perché l’ordinamento conferisce alla pubblica amministrazione un potere di scelta in merito alla soddisfazione di quell’interesse, nell’ambito di una più ampia valutazione comparativa alla luce dell’interesse pubblico[110]».
A ben guardare, la rilevazione, probabilmente riferita ai modelli di sentenza di cui alla cd. tesi eziologica, si esaurisce nella sostanziale riproposizione dell’insoddisfazione che è presente in una parte della dottrina per l’utilizzazione di modelli causali a base probabilistica; un’obiezione quindi già conosciuta e che non ha sostanzialmente inciso sul sempre più ampio ricorso ai detti modelli, non risultando peraltro decisivo il generico riferimento alla natura giuridica e non fattuale dell’evento oggetto di previsione (che non ne elimina la prevedibilità[111]).
Un secondo gruppo di contestazioni si riferisce poi alla «chance … concepita come mera possibilità di conseguire il risultato utile» ovvero alla tesi ontologica e si esaurisce nella rilevazione del fatto che «l’allontanamento dall’interesse materiale ne esclude l’attrazione che subisce la probabilità e, d’altra parte, non consente di fondarne la natura di situazione soggettiva autonoma e risarcibile. Questo accade non perché il suo referente è troppo distante, ma perché si situa al di là di un potere discrezionale che ne può legittimamente disporre[112]».
Al di là del poco convincente parallelo con l’istituto del tentativo in diritto penale (che, alla fine, abbandona lo stesso autore), sembra che tutto si esaurisca nella rilevazione di un’eccessiva “lontananza” del bene autonomo/chance dal bene finale, radicata sul fatto che l’amministrazione può ancora disporne; in buona sostanza, la stessa argomentazione di cui all’argomentazione precedente, ma che risulta mal tarata rispetto a questa seconda figura, visto quanto sopra rilevato in ordine alla necessità di limitarne l’operatività alle ipotesi in cui sussista un’incertezza ontologica in ordine alla spettanza finale (che, quindi, non solo non è “incidibile” dall’amministrazione, ma non lo sarà necessariamente).
Una seconda tesi critica sull’applicabilità del danno da perdita di chances in ambito amministrativo ha poi valorizzato la distinzione tra «chance in astratto, che per definizione apparterrebbe al destinatario del provvedimento, e che per definizione sarebbe perduta a causa dell’illegittimità del provvedimento amministrativo» e chance in concreto fondata sull’accertamento, da parte del giudice che, «in relazione alle circostanze del caso, non solo … la possibilità di risultato positivo fosse effettivamente esistente, ma anche che essa è andata perduta a causa del fatto contrario a diritto; questo accertamento non è possibile se non in relazione al contesto reale[113]».
Ad avviso di chi scrive, si tratta di una precisazione che, così formulata, si presenta fortemente condivisibile e sostanzialmente inidonea a scardinare l’impostazione dogmatica del danno da perdita di chances; tutto si esaurirebbe, infatti, nell’obbligo per il giudice di valutare la possibilità di conseguire il risultato favorevole in una logica concreta[114] e non astratta, così evitando che la posizione suscettibile di risarcimento si “allontani troppo” dal bene finale (ed in questo, la tesi si avvicinerebbe all’obiezione precedente), in maniera tale da venire ad integrare una qualche forma di funzione sanzionatoria della responsabilità civile e di danno punitivo, così divergendo dai tratti ricostruttivi di una figura che è stata finora ricostruita in termini di ristoro di un pregiudizio concreto.
Venendo all’esempio già fatto degli affidamenti in assenza di gara e/o pubblicità (“esempio classico” della tesi ontologica), credo che nessuno potrebbe dubitare della necessità di limitare la concessione del risarcimento alle imprese operanti nel settore di riferimento e nell’ambito territoriale interessato (secondo una valutazione “in concreto” della chance), piuttosto che ad imprese che non abbiano alcun collegamento territoriale con la stazione appaltante o che non operino nel settore interessato.
Ma è proprio il riferimento agli affidamenti in mancanza di gara ad evidenziare come il principio della valutazione in concreto si inteso dall’Autrice in maniera radicalmente diversa dalla visione “banalizzante” sopra richiamata.
Esaminando lo stesso esempio, l’Autrice parte, infatti, dalla natura di «giurisdizione di diritto oggettivo, che di per sé non ha implicazioni risarcitorie» del riconoscimento della legittimazione degli operatori di settore ad agire contro gli affidamenti diretti illegittimi (conclusione che non è per nulla sicura ed anzi contrasta con la tradizionale soluzione della problematica nell’ordinamento italiano[115]), per approdare ad una visione che limita le reazioni apprestate dall’ordinamento all’«inefficacia che colpisce i contratti e, quando ciò non sia possibile o opportuno, …(alle) sanzioni pecuniarie a carico dell’amministrazione responsabile» e nega radicalmente il ricorso a «mezzi non appropriati» di tutela come la tutela risarcitoria, soprattutto se attraverso la tecnica della perdita di chances: «non vi è ragione, quindi, per ipotizzare chances inesistenti così da configurare, a scopo di deterrenza, un danno patrimoniale parimenti inesistente[116]».
Ove dovesse essere inteso in questo senso (lo scritto non evidenzia, infatti, ulteriormente il legame logico tra la distinzione tra chances in astratto e in concreto e la conclusione in ordine all’irrisarcibilità delle lesioni derivanti da affidamenti senza gara), il riferimento alla concretezza della chance diviene inaccettabile, costituendo una sostanziale riproposizione di una modalità di tutela «purement platonique[117]» che oggi si tende (ovviamente) a superare, sia nel diritto italiano che nel diritto francese; ad avviso di chi scrive, risulta pertanto preferibile, intendere la precisazione sopra richiamata, nel senso più ristretto e compatibile con l’attuale evoluzione del nostro sistema di tutela sopra richiamata.
Una terza obiezione (forse, sarebbe più corretto dire, preoccupazione) avanzata in dottrina[118] e in giurisprudenza[119] riguarda poi la possibile trasformazione del danno da perdita di chances in una qualche forma di danno punitivo.
Al proposito, appare però ampiamente condivisibile la rilevazione della dottrina in ordine alla natura sostanzialmente ingiustificata della preoccupazione: «in realtà, che la tesi ontologica coincida con un danno punitivo è tutto da dimostrare[120]».
Ed in effetti, l’evoluzione attuale del danno da perdita di chances sopra tratteggiata non evidenzia legami “genetici” con la funzione sanzionatoria[121] della responsabilità civile ed anche il pericolo che una funzione di questo tipo possa indirettamente “filtrare” nei modelli di sentenza[122] appare, al momento, adeguatamente neutralizzabile attraverso il riferimento sopra operato alla necessità di valutare la chance in concreto e non in astratto; la storia del (possibile) legame tra danno da perdita di chances e danno punitivo è ancora pertanto tutta da scrivere e non sembra assumere quel carattere di attualità prospettato dalle tesi sopra richiamate.
Conclusivamente, deve poi escludersi che il risarcimento da perdita di chances possa trovare ostacolo nella possibile concessione di risarcimenti con «valore prossimo allo zero …. con il rischio di favorire azioni bagatellari o emulative[123]».
A parte l’inattualità della preoccupazione in un sistema caratterizzato da altissimi costi di giudizio che scoraggiano la proposizione di azioni bagatellari[124], appare, al proposito, ampiamente condivisibile e del tutto risolutiva la precisazione emersa in dottrina[125] in ordine alla possibilità per il giudice di escludere il risarcimento in ipotesi di «possibilità di conseguire il risultato finale …basse o molto basse… in applicazione del dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost.» ed in sostanziale applicazione del riferimento alla «selezione degli interessi giuridicamente rilevanti, …(anche attraverso) un giudizio di comparazione degli interessi in conflitto, e cioè dell’interesse effettivo del soggetto che si afferma danneggiato, e dell’interesse che il comportamento lesivo dell’autore del fatto è volto a perseguire, al fine di accertare se il sacrificio dell’interesse del soggetto danneggiato trovi o meno giustificazione nella realizzazione del contrapposto interesse dell’autore della condotta, in ragione della sua prevalenza» previsto dal punto n. 8 di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 e, per quello che riguarda il danno non patrimoniale, del sostanzialmente analogo riferimento presente in Cass., civ., S.U., 11 novembre 2008 n. 26972 ad una «soglia minima[126]» del pregiudizio risarcibile.
 
6. Il risarcimento da perdita di chances e la teoria dei sistemi.
Il parallelo con il contratto di assicurazione operato dalla dottrina[127] richiamata al § precedente permette di ambientare la vicenda relativa all’emersione del danno da perdita di chances all’interno della teoria dei sistemi di Niklas Luhmann e di ricavarne qualche utile notazione con riferimento ad alcune problematiche spesso affacciatesi in dottrina.
Come noto, a base dell’analisi del contratto di assicurazione operata dalla teoria dei sistemi è «una differenziazione essenziale se si imputa la possibilità di eventuali inconvenienti alla propria decisione, oppure se si considera questa possibilità come un evento casuale che dipende dall’ambiente esterno. Nel primo caso parliamo di rischio, nel secondo di pericolo[128]»; uno stesso avvenimento fonte di danno può pertanto trovare considerazione in termini di pericolo, ove sia considerato non imputabile ad una decisione ed esterno al sistema o di rischio (categoria d’origine araba che assume, fin dall’inizio, un ruolo preciso nell’area della responsabilità contrattuale[129]), ove sia imputato ad una decisione e quindi trattato all’interno di un sistema (soprattutto, quello giuridico), secondo una sistematica che non è per nulla fissa, ma può variare nel tempo: «si può ritenere un pericolo il fatto di avere a che fare con terremoti, inondazioni o uragani; ma anche considerarlo un rischio, quando si tiene conto della possibilità di abbandonare l’area pericolosa o di stipulare quanto meno un’assicurazione[130]».
La considerazione in termini di rischio o pericolo di uno stesso evento sfavorevole può poi variare a seconda del “punto di vista”; soprattutto l’esperienza dei disastri ambientali evidenzia, infatti, come uno stesso evento possa essere considerato in termini di pericolo dai “semplici cittadini” e di rischio da parte dei decisori pubblici e come tale considerazione possa variare nel corso del tempo (Luhmann richiamava già quello che è oggi sotto gli occhi di tutti, ovvero che, quando si comincia ad imputare un’inondazione al buco dell’ozono o al surriscaldamento globale,  anche la percezione del “singolo cittadino” comincia a considerare l’evento in termini di rischio e non più di pericolo).
Quello che più importa è però che «a seconda che il futuro sia introdotto nel presente come pericolo oppure come rischio, entrano in azione meccanismi sociali di gestione del problema completamente differenti. In vista di pericoli viene spontaneo accertarsi di poter contare su un aiuto sociale ….. La situazione è completamente differente quando il presente futuro viene definito come rischio della decisione. Ciò conduce ad una scissione sul piano sociale fra decisori e coinvolti. Al posto della solidarietà bisogna mettere in conto il conflitto. I decisori cercheranno di sfruttare le opportunità e si faranno trascinare dal calcolo dei rischi……Ma i coinvolti la vedono diversamente. Essi imputano a buon diritto la decisione ai decisori e non capiscono perché mai si dovrebbero rassegnare alla prospettiva di danni futuri soltanto per il fatto che altri hanno preso, a questo proposito, delle decisioni[131]».
La dialettica tra rischio e pericolo è anche alla base della nascita del contratto di assicurazione che, «come tutte le novità evolutive,  …sorge allo stesso tempo poco alla volta e improvvisamente[132]»; in particolare, l’origine storica dell’istituto deve essere riportata all’”invenzione contrattuale” dei mercanti genovesi e toscani che, a cavallo del 1300, elaborano una nuova figura contrattuale destinata, in un primo tempo, a coprire i pericoli del commercio a lunga distanza e, successivamente, a seguito del generalizzarsi dell’economia monetaria, qualsiasi tipologia di pericolo[133].
Ai fini che ci occupano, assumono assoluta rilevanza due notazioni; la prima è relativa al fatto che, all’origine, il “nuovo” contratto assicurativo si presenza come devianza dai tipi contrattuali precedentemente conosciuti (soprattutto, sotto il profilo dell’intervento nell’assetto di interessi dell’operazione finanziaria di un terzo destinato a garantirne l’esito dai pericoli); la seconda alla “grande trasformazione” che ha trasformato in un rischio oggetto di decisione (assicurare/assicurarsi o non assicurare/non assicurarsi) quello che, in precedenza, era un pericolo (il mancato ritorno della nave o della carovana) esterno al sistema e pertanto non neutralizzabile/trattabile attraverso decisioni.
Ad un primo livello, le categorie generali della teoria dei sistemi sopra richiamate appaiono di facile applicazione e permettono di giustificare l’aumento del ricorso allo strumento risarcitorio verificatosi negli ultimi anni, l’emersione di nuove categorie di danno (a partire dal danno non patrimoniale) e la stessa “rivoluzione” operata da Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500.
In maniera sostanzialmente non dissimile da quanto avvenuto al momento di nascita dell’assicurazione, tutto ruota, infatti, intorno alla trasformazione di quanto era percepito in precedenza come pericolo (la lesione di una posizione assolutamente non risarcibile, come nel caso del danno non patrimoniale o risarcibile con estrema difficoltà, come nel caso della responsabilità della p.a.) in una posizione trattabile dal sistema e che può pertanto trovare considerazione in termini di rischio.
Per effetto di questa sostanziale trasformazione (il riconoscimento di una nuova posizione soggettiva o di nuove modalità di tutela caratterizzate da una maggiore effettività), l’evento di danno comincia pertanto a trovare considerazione in termini di rischio da parte del danneggiante (aspetto centrale nella visione che, della vicenda risarcitoria, propone l’analisi economica del diritto[134]), mentre, dalla parte dei danneggiati, si evidenzia quel conflitto richiamato da Niklas Luhmann tra decisori/responsabili del danno e danneggiati che «imputano a buon diritto la decisione ai decisori e non capiscono perché mai si dovrebbero rassegnare alla prospettiva di danni futuri soltanto per il fatto che altri hanno preso, a questo proposito, delle decisioni[135]».
In buona sostanza, la storia del sempre maggiore ricorso alla tutela risarcitoria nella società moderna e della fortuna che il detto strumento incontra in alcuni campi (responsabilità sanitaria; della p.a.; ecc.).
La ricostruzione della teoria dei sistemi può però trovare applicazione anche alla vicenda più specifica della nascita del danno da perdita di chances.
Secondo la ricostruzione storica sostanzialmente richiamata al § 3, anche il danno da perdita di chances  nasce, infatti, come sostanziale devianza da un meccanismo causale più sperimentato (in buona sostanza, da risarcimenti concessi in fattispecie che non raggiungono la soglia del 50% più 1 di probabilità causale, ritenuta “non superabile” dalla giurisprudenza più tradizionale) e, per di più, di una devianza che non può assolutamente trovare giustificazione in un sistema fondato sulla logica del “tutto o niente” alla base del sistema; la devianza si rivela però fruttuosa per coprire alcune “falle” del sistema (le fattispecie caratterizzate da quell’ontologica incertezza del risultano che, come richiamato al § 3, costituiscono la vera essenza della figura) e si generalizza, così determinando la trasformazione di quello che in precedenza era per il danneggiato un pericolo (l’esito positivo o negativo dell’intervento medico; il pregiudizio derivante dall’affidamento diretto non preceduto da gara) di impossibile o platonica[136] neutralizzazione in un vero e proprio rischio azionabile in giudizio e possibile oggetto di decisioni (dalla possibile adozione di cautele neutralizzanti il pericolo, come prospettato  dall’analisi economica del diritto o, semplicemente, dalla scelta di assicurare anche tale rischio) da parte del danneggiante.
In questa prospettiva, saremmo pertanto in presenza di una nuova posizione soggettiva in corso di emersione, che non sarebbe più solo una devianza dai modelli causali improntati alla logica del “tutto o niente”, ma avrebbe acquistato vita e funzioni autonome; in questa logica di evoluzione del sistema e nascita di una nuova posizione soggettiva, il danno da perdita di chances incontrerebbe peraltro problemi simili a quelli già affrontati dal contratto di assicurazione.
In particolare, risulterebbe del tutto normale il fatto (valorizzato da una parte della dottrina contraria alla nuova sistematica) che la chance non abbia un valore di mercato; a parte la difficoltà di attribuire un valore di mercato a posizioni soggettive fortemente legate alla sfera personale/non patrimoniale del danneggiato (si pensi, al proposito, alle chances di vincere un concorso[137]), si tratta di una particolarità che, non diversamente da quanto avvenuto con il contratto di assicurazione[138], trova giustificazione nella novità dell’istituto e «non impedisce certo che un quid che consiste nella possibilità di appropriarsi di valore possa avere un suo valore e che, perciò, la sua perdita possa costituire un danno e dar luogo ad un risarcimento[139]».
Discorso sostanzialmente analogo per la problematica della quantificazione del danno da perdita di chances, oggi affidata ai criteri abbastanza grossolani della «proportional loss of chance rule» (che «sono dapprima calcolati “come se” si trattasse di imputare alla parte convenuta la lesione personale o l’uccisione del paziente e, poi, ridotti, tutti in identica misura in ragione della percentuale delle chance individuate[140]»), secondo una sistematica che guarda quindi essenzialmente ancora alla lesione del bene finale e costituisce oggetto di critica da parte della dottrina contraria alla figura; è però possibile (se non molto probabile) che il riconoscimento dell’autonomia della posizione soggettiva chance porti in futuro, sempre di più, alla previsione di criteri di quantificazione autonomi[141].
In buona sostanza, l’utilizzazione della prospettiva della teoria dei sistemi può pertanto giustificare alcuni aspetti (ed alcune attuali insufficienze) della teoria della perdita di chances che troverebbero giustificazione nella sostanziale novità della posizione soggettiva; in questa prospettiva non rimane pertanto altro che continuare nell’operazione di chiarificazione concettuale dei confini della chance risarcibile e stare a vedere dove ci porterà questa nuova storia.
 
Luigi Viola
Consigliere del T.A.R. Toscana
 
Pubblicato il 23 dicembre 2019
 
 

[1] [1] Relazione svolta al Convegno organizzato dall’Ufficio studi e massimario della Giustizia amministrativa “A 20 anni dalla sentenza n. 500/1999: attività amministrativa e risarcimento del danno”,  tenutosi a Roma, 16 dicembre 2019 (Consiglio di Stato, Piazza Capo di Ferro, 13 – Roma).
[2] In Foro it., 1999, I, 2487, con note di Palmieri e Pardolesi; Foro it., 1999, I, 3201, con note di Fracchia, Romano, Scoditti e R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità; Giorn. dir. amm., 1999, 832, con nota di L. Torchia, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam; Nuovo dir., 1999, 691, con nota di Finucci; Contratti, 1999, 869,  con nota di Moscarini; Giust. civ., 1999, I, 2261,  con nota di Morelli;  Urb. e appalti, 1999, 1067, con nota di M. Protto, È crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale?; T.A.R.., 1999, II, 225, con nota di Bonanni; Arch. civ., 1999, 1107; Danno e resp., 1999, 965, con note di Carbone, Monateri, Palmieri, Pardolesi, Ponzanelli e Roppo; Corriere giur., 1999, 1367, con note di Di Majo e Mariconda; Gius, 1999, 2760,  con nota di Berruti; Rass. giur. energia elettrica, 1999, 433; Nuove autonomie, 1999, 563, con nota di Scaglione; Gazzetta giur., 1999, fasc. 35, 42; Guida al dir., 1999, fasc. 31, 36,  con note di Mezzacapo, Caruso, De Paola e Finocchiaro; Dir. e pratica societá, 1999, fasc. 21, 65; Ammin. it., 1999, 1399; Dir. pubbl., 1999, 463,  con note di Orsi Battaglini e Marzuoli; Rass. amm. sic., 1999, 9; per un recente tentativo di operare un primo bilancio delle innovazioni derivate dalla storica decisione della Corte di Cassazione nell’ultimo ventennio, si veda V. Neri, Ripensare la sentenza n. 500/1999 a venti anni dalla sua pubblicazione, in Urb. e appalti, 2019, 610 e ss.
[3] Ad esempio, sotto quello dell’analisi economica del diritto; in questa prospettiva, è quasi impossibile non rilevare come la particolare sistematica di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 rappresenti l’unico intervento della nostra storia recente che abbia determinato un sostanzioso abbattimento dei costi di giudizio ed un più agevole accesso ad una tecnica di tutela giurisdizionale. In questo senso, si vedano:  L. Viola, Introduzione breve all’analisi economica della responsabilità civile della pubblica amministrazione, in Giurisd, amm., 2006, II, 331; Id., Giurisdizione condizionata e azione risarcitoria nei confronti della p.a: le incertezze della Corte costituzionale, ivi,  2008, 219; F. Saitta, Appunti preliminari per un’analisi economica del processo amministrativo, in A.I.P.D.A. (Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo), Analisi economica e diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2007, 285 e ss.; B. Raganelli, Efficacia della giustizia amministrativa e pienezza della tutela, Torino, Giappichelli, 2012, 80 e ss.
[4] L. Torchia, La risarcibilità degli interessi legittimi: dalla foresta pietrificata al bosco di Birnam, cit., 849; il riferimento è al bosco di Birnam del Macbeth: «Macbeth non sarà vinto fino a quando il gran bosco di Birnam non avanzi contro di lui verso l’alta collina di Dunsinane» (W. Shakespeare, Macbeth, Torino, Einaudi, 1951, 61).
[5] Danno esistenziale che ha cominciato ad emergere nei modelli giurisprudenziali in modo consapevole dopo che una parte della dottrina (L. Viola, Il danno esistenziale causato dall’amministrazione pubblica, in P. Cendon, Trattato breve dei nuovi danni, Padova, CEDAM, vol. III, 2001, 2502) aveva evidenziato lo stretto legame con la sistematica di Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500. Lo stretto legame tra i due istituti (da ultimo, si veda E. Navarretta, Il risarcimento in forma specifica e il dibattito sui danni punitivi tra effettività, prevenzione e deterrenza, in Resp. civ. e prev., 2019, 1, 22) ha poi portato all’emersione, in alcuni modelli giurisprudenziali, di vere e proprie ipotesi di cd. danni punitivi (per un breve riassunto della vicenda, si rinvia a L. Viola, Leva militare e tutela risarcitoria: dal danno esistenziale verso i punitive damages all’italiana in www.GiustAmm.it, 2006, 12; Id., I danni punitivi nella responsabilità civile della p.a., in Resp. civ.,  2008, 1, 71). Mi sembra che successivamente l’evoluzione (almeno per quello che riguarda danno non patrimoniale e danni punitivi) si sia fermata e che il mobile bosco di Birnam sia meno mobile; ma questo è altro discorso.
[6] D. Sorace, Gli «interessi di servizio pubblico» tra obblighi e poteri delle amministrazioni, in Foro it., 1988, V, 205 § 3; si veda anche al § 4: «sul complesso dei principî in discorso può essere utile una notazione finale. Considerando le cose esclusivamente dal punto di vista della tutela degli interessi, tali principî non avrebbero neppure ragione di esistere quando l’amministrazione si trovi in situazione non di potere ma di obbligo. Infatti, una volta che sia stabilito in modo preciso ed esaustivo il comportamento che l’amministrazione deve tenere, l’assetto degli interessi risulta stabilito al completo: alcuni di essi dovranno essere soddisfatti altri non lo dovranno e quindi non potranno esserlo. I titolari dei primi avranno dei diritti, i titolari dei secondi non avranno neppure delle chances». Un’impostazione sostanzialmente analoga è quella di A. Zito, L’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2014, VI ed., 785: «l’oggetto dell’interesse legittimo è un interesse sostanziale ovvero un bene della vita: tale interesse però non si identifica con l’interesse finale, sul quale si producono gli effetti dell’esercizio delle potestà, bensì con quell’interesse che nel diritto privato è denominato chance. Posto che la chance è un bene giuridico, che è oggetto di tutela nel diritto privato, l’interesse legittimo può ben assumere quest’ultima come suo oggetto»; per una rassegna delle definizioni di interesse legittimo o aspettativa che incorporano o si rifanno alla figura della chance, si rinvia a V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, in B. Marchetti e M. Renna, La giuridificazione, Firenze, Firenze University Press, 2016 (III volume dell’opera L. Ferrara e D. Sorace (a cura di), A 150 anni dall’unificazione amministrativa italiana-Studi), 83.
[7] Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, cit., p. 4.
[8] Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500, cit., p. 9: «potrà infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l’attività illegittima della P.A. abbia determinato la lesione dell’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell’ordinamento. In altri termini, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole) della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che il detto interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo».
[9] Il legame tra Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500 e l’emersione del danno da perdita di chances in ambito amministrativo è chiaramente evidenziato da V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, in Urb. e appalti, 2018, 294,  L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, ivi, 2018, 364 e V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 79 (che richiama anche la metafora del mobile bosco di Birnam). Abbastanza singolare è che uno scritto civilistico molto importante nella materia come M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, in Europa e dir. privato, 2011, 945, pur utilizzando ampiamente il concetto del “bene della vita” e categorie del diritto amministrativo, non citi mai espressamente Cass. civ.  S.U. 22 luglio 1999, n. 500.
[10] Che è troppo restrittiva, visto che la tecnica del risarcimento da perdita di chances può essere utilizzata anche con riferimento alla lesione di interessi oppositivi (V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 293).
[11] Citazioni da M. Protto, È crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi legittimi: una svolta epocale? cit., 1089 che cita, al proposito, F. D. Busnelli, Lesione di interessi legittimi: dal «muro di sbarramento» alla «rete di contenimento», in Danno e resp., 1997, 272.
[12] R. Caranta, La pubblica amministrazione nell’età della responsabilità, cit., § 2.
[13] G. Falcon, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. amm., 2001, 16.
[14] D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2002, 217.
[15] In Foro it., 2003, I, 78, con nota di Fracchia; www.LexItalia.it, 2003, 1; Foro amm. CDS, 2003, 479; Corr. giur., 2003, 5, 586, con nota di Lamorgese; Danno e resp., 2003, 477, con nota di Conti; Urb. e appalti, 2003, 8, 895, con nota di Sciascia; Studium juris, 2003, 1378, con nota di Scalera; Dir. e Formazione, 2003, 401 e 888, con nota di Cintioli; D&G, 2003, 6, 38, con nota di Abbamonte; Riv. giur. ed., 2003, I, 315; in Danno e resp., 2003, 477, con nota di Conti; Riv. Corte Conti, 2003, 1, 317
[16] F. Caringella, Le mobili frontiere del danno ingiusto raggiungono anche la responsabilità della pubblica amministrazione, in F. Caringella e M. Protto, La responsabilità civile della pubblica amministrazione, Bologna-Roma, Zanichelli, 2005, 26.
[17] Si veda, al proposito, Cass. civ., S.U. 26 gennaio 2009, n. 1850, in Danno e resp., 2009, 1033, con nota di G. Marena, La perdita di chance in diritto amministrativo.
[18] La prima è, probabilmente, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 23 dicembre 1999, n. 5049, in Foro it., 2000, III, 198, con note di Carrozza e Fracchia; Urb. e appalti, 2000, 309 e 553, con nota di Robaldo; Giust. civ., 2000, I, 1573, con nota di Cacciavillani; Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1999, 1466 e 2000, 415, con nota di Leone; Guida al dir., 2000, fasc. 4, 104; Danno e resp., 2000, 310, con nota di Carbone; Corriere giur., 2000, 391, con nota di Di Majo.
[19] Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 553, in Urb. e appalti, 2002, 6, 700, con nota di A. Susca, Il risarcimento del danno da perdita di chance. Già nei primi mesi del 2002, la giurisprudenza del Consiglio di Stato registrava un’altra decisione (Cons. Stato, sez. VI,  7 febbraio 2002, n. 686, in Dir. e Formazione, 2002, 691; Appalti Urbanistica Edilizia, 2002, 587; Foro amm. CDS, 2002, 453) che affermava, in linea di principio, la risarcibilità del danno da perdita di chances, sia pure in un contesto che vedeva il rigetto dell’azione risarcitoria per difetto di prova di una possibilità concreta di aggiudicarsi la gara maggiore del 50%; sostanzialmente analoghi impostazione ed esito di Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945 (in Urb. e appalti, 2003, 1071, con nota di Manganaro; Cons. Stato, 2003, I, 915; Riv. giur. edilizia, 2003, I, 1009; Giust. civ., 2003, I, 1949, con nota di Stella Richter; Guida al dir., 2003, fasc. 21, 75, con nota di Caruso).
[20] Almeno stando alla rassegna di giurisprudenza sulla Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, in Giur. it., 2015, 11, 2508.
[21] Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, in Giorn. dir. amm., 2007, 2, 174 con nota di F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance; Urb. e appalti, 2006, 1355;  Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2006, 686.
[22] Cons. Stato Sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 553, cit.; per una critica alla rilevazione in ordine all’ossificazione dell’azione amministrativa, si veda F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance, cit.
[23] La dottrina sul risarcimento da perdita di chances nel diritto amministrativo è già notevole; senza alcuna pretesa di completezza, si vedano, oltre alle opere già citate nel testo: I. Pagani, Il risarcimento della perdita di chance nelle gare per affidamenti pubblici, in Giur. it., 2018, 1173; P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, in Resp. civ. e prev., 2018, 1620; L.  Di Giovanni, Brevi riflessioni sulla dubbia esistenza della chance nel settore dei contratti pubblici, in Urb. e appalti, 2017, 6, 778; S. R. Masera, Il nesso di causalità per il risarcimento della chance perduta, in Urb. e appalti, 2015, 227; F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, 873; O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, in Urb. e appalti, 2015, 706; G. Vercillo, La tutela della chance. Profili di diritto amministrativo, Napoli, Editoriale scientifica, 2012; M. Bonomi, La perdita di chance quale danno risarcibile in via autonoma a seguito di illegittimo comportamento della p.a., in Nuova giur. civ. comm., 2011, 4, 10306; F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, Torino, Giappichelli, 2009, 73; R. Garofoli, La tutela risarcitoria, in M.A. Sandulli, R. De Nictolis e R. Garofoli (a cura di) Trattato sui contratti pubblici, VI, Il contenzioso, Milano, 2008, 4090; L. Medina Alcoz, Dal dogma dell’infallibilità dello stato alla teoria della perdita di «chance»: l’evoluzione della responsabilità civile da provvedimento nell’ordinamento italiano (1865-1999), in Dir. regione, 2005, 361; P. Siracusano, Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, in Dir. pubbl., 2003, 533, 564; F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, in Dir. proc. amm., 2001, 632.
[24] La bibliografia sul danno da perdita di chances in ambito civilistico è ormai sterminata; si è pertanto scelto di limitare le citazioni alle opere specificamente richiamate nel testo. Oltre alle opere già citate, si vedano: G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, Torino, Giappichelli, 2019; M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, Milano, Giuffrè-Francis Lefebvre, 2018; G. E. Napoli, La perdita di chance nella responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 2018, 52; R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, in Nuova giur. civ., 2018, 1684; S. Mazzamuto, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, in Europa e dir. privato, 2010, 49.
[25] Precisamente nel 1877 (L. Medina Alcoz, Dal dogma dell’infallibilità dello stato alla teoria della perdita di «chance»: l’evoluzione della responsabilità civile da provvedimento nell’ordinamento italiano (1865-1999), cit., 439), per poi consolidarsi definitivamente nel 1932 (F. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese della responsabilità civile, in Resp. civ. e prev., 1996, 227).
[26] Cass. civ., sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906, in Giur. comm., 1983, II, 85; Società, 1983, 627; Riv. not., 1983, 1016; Giur. it., 1983, I, 1, 1166; Giur. comm., 1983, II, 851; Foro it., 1984, I, 459; Giust. civ., 1984, I, 1841, con nota di E. Cappagli, Perdita di una «chance» e risarcibilità del danno per ritardo nella procedura di assunzione che richiama la sentenza di primo grado (Pret. Roma, 27 marzo 1977, in Resp. civ. e prev., 1978, 304) emessa nella vicenda che ha dato origine all’orientamento giurisprudenziale e rileva come la prima prospettazione della chance risarcibile emersa in giurisprudenza fosse riportabile alla cd. tesi ontologica e non all’opposta tesi eziologica poi prevalsa negli anni successivi (in questo senso, si veda anche V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 74).
[27] Così V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 293 che richiama le due definizioni di C.M. Bianca, Diritto civile – vol. V: La responsabilità, II ed., Milano, Giuffrè, Milano, 2012, 179 e S. Mazzamuto, Il danno da perdita di una ragionevole aspettativa patrimoniale, cit., 49; non molto diversa è la definizione di M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit. § 1 in termini di  «aspettativa di un risultato favorevole futuro ed incerto».
[28] In questo senso, si veda G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 1 (citazioni dall’edizione digitale).
[29] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 e 2 che rileva ulteriormente come questo sia proprio «il guaio di questa giurisprudenza».
[30] Giustamente, O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, cit., § 3 rileva come la «dicotomia concettuale all’interno della categoria giuridica» abbia assunto una consistenza «oramai frattale».
[31] In questo senso, si veda F. Chabas, La perdita di chance nel diritto francese della responsabilità civile, cit., 230 che rileva come «sulla perdita di chance vi è una teoria falsa ed una vera… che cos’è la perdita di chance: una forma particolare di pregiudizio .. e che cosa non è: una semplice possibilità di nesso causale».
[32] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296
[33] Citazione sempre da V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296 che sintetizza, assai efficacemente, le definizioni proposte in dottrina e giurisprudenza.
[34] Cass. civ, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619, in Danno e resp., 2008, 1, 43 con nota di Pucella; Corr. giur., 2008, 1, 35, con nota di Bona; per una diversa interpretazione della sentenza, si veda però M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit.
[35]V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 296  
[36] Per una critica all’inquadramento completo del danno da perdita di chances nelle categorie dell’aspettativa, del danno attuale e del danno emergente, si vedano però, da ultimo, G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 5 e 6 e G. E. Napoli, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., § 7; con riferimento alla qualificazione della chance in termini di danno attuale, R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 6 rileva come si tratti pur sempre di una sorta di «”strabismo divergente” cui la chance (nella sua tradizionale lettura) costringe – perché è danno attuale ma proiettato in prospettiva, in ragione dell’esito atteso».
[37] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 296
[38] Si veda Cass. civ, sez. III, 27 marzo 2014, n. 7195 (in Foro it., 2014, I, 2137, con nota di Palmieri e Pardolesi; Corriere giur., 2014, 1077, con nota di M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza), spesso considerata paradigmatica della cd. tesi ontologica.
[39] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 che così continua: «entrambe queste fenomenologie, infatti, prospettano tipi di problemi, che, da un lato, sembrano enfatizzare l’eventualità di divergenze tra aspettative e risultati specificamente evocata dal concetto di chance e che, dall’altro, investono direttamente il piano preliminare dell’an debeatur e che, proprio su tale piano, appaiono, nella concettualità consueta della responsabilità, di soluzione tutt’altro che scontata».
[40] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. 297; M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza), cit. § 3 rileva come, per le decisioni riportate alla tesi cd. ontologica, «non è dato escludere tale nesso a fronte di chance statisticamente minori del 50% , atteso che la misura percentuale (od altrimenti espressa di queste rileva ai diversi fini della quantificazione del danno, cioè della determinazione delle singole conseguenze risarcibili e delle loro rispettive entità».
[41] L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 368.
[42] V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 74; per un esempio in giurisprudenza, si veda Cass. civ., sez. III,  4 marzo 2004, n. 4400, in Corriere giur., 2004, 1010, con nota di Viti; Dir. e giustizia, 2004, fasc. 14, 38, con nota di Rossetti; Resp. civ., 2004, 1040, con nota di Citarella; Cass. pen., 2004, 2537, con nota di D’Alessandro; Contratti, 2004, 1091, con nota di Lisi.
[43] Si vedano, al proposito, la rassegna di giurisprudenza sulla Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, cit. e gli accurati scritti di V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit. e L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit.
[44] Risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, a cura di S. Ingegnatti, cit. che cita Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323 cit. che rileva plasticamente come il parametro del 50%, «non …(abbia) valore assoluto anche perché secondo la scienza statistica il grado di possibilità qualificabile come probabilità presenta una soglia costitutiva variabile da determinare caso per caso sulla base del concreto assetto della situazione esaminata».
[45] L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 368 che cita Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 2017, n. 2740 e sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3147 (tutte e due consultabili in www.giustizia-amministrativa.it).
[46] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118 (in Foro amm., 2018, 1, 13; Resp. civ. e prev. 2018, 5, 1614, con nota di P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit.; Urb. e appalti, 2018, 351, con nota di L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit.; Giur. it., 2018, 1173, con nota di I. Pagani, Il risarcimento della perdita di chance nelle gare per affidamenti pubblici, cit.), cui si rinvia per un’ulteriore rassegna della giurisprudenza in materia.
[47] Con l’ordinanza 11 maggio 2018, n. 7, in Foro it., 2018, 12, 3, 638; Resp. civ. e prev. 2018, 5, 1617, con nota di P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit.
[48] La vicenda che ha originato la rimessione all’Adunanza plenaria si è poi conclusa con Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2018, n. 7117 (in www.giustizia-amministrativa.it) che ha seguito il filo argomentativo dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, confermando l’obbligazione risarcitoria, sulla base della «percentuale di aggiudicazione del 20% vantata» dalla danneggiata, precedentemente accertata con sentenza non definitiva.
[49] Pienamente condivisa da chi scrive e da Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 362, ma velatamente contestata da P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit. § 1 che ha rilevato come «l’Adunanza Plenaria … (abbia deciso) di non decidere».
[50] È il caso di Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit., che ritiene di poter desumere argomentazioni favorevoli alla tesi eziologica dalla stessa etimologia del termine chance: «la parola chance deriva, etimologicamente, dall’espressione latina cadentia, che sta ad indicare il cadere dei dadi, e significa “buona probabilità di riuscita”. Si tratta, dunque, di una situazione, teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza. In particolare, trasponendo tale definizione in ambito giuridico, si può rilevare che, affinché un’occasione possa acquisire rilevanza giuridica, ossia ricevere tutela da parte dell’ordinamento, è necessario che sussista “una consistente possibilità di successo, onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente non significative” (Consiglio di Stato sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686)».
M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., nota 58 desume però argomentazioni favorevoli alla sua tesi ontologica sempre dallo stesso ricorso all’etimologia, in un senso completamente differente: «come si sa, il termine chance viene dal latino cadentia e si riferisce alla “caduta dei dadi”. È, perciò, insito in tale radice semantica che una chance ci sia finché i dadi non siano stati gettati e che la sua perdita si possa dare solo quando i dadi siano stati tratti e il gioco si sia così concluso».
Se si vuole proprio continuare con l’argomentazione etimologica, è opinione di chi scrive che occorrerebbe considerare il fatto che il termine perviene a noi attraverso la mediazione dal francese in cui chance può significare, sia fortuna che possibilità (nello stesso senso, si veda M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 28 che esattamente rileva: «nella lingua italiana “chance” può anche significare “occasione” e “probabilità”. In Francia si ha pure un altro significato “fortuna”»); anche a livello etimologico, si ripropone pertanto la dicotomia sopra tratteggiata.
[51] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3.
[52] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3; P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit., § 4 rileva come anche la giurisprudenza amministrativa francese, in alcune fattispecie, utilizzi la «logique du tout ou rien» e M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 9 richiama l’analoga definizione anglosassone di «all-or-nothing».
[53] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3.
[54] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7.
[55] Citazioni da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3 e 9 che ulteriormente rileva come «il giudizio volg(a) dunque dalla probabilità alla certezza» e come, in buona sostanza, «vinc(a) la tesi più probabile». L’essenza del meccanismo è ben compresa da F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, cit., § 3 che rileva come, «applicato all’indagine sul nesso di causalità, il giudizio ipotetico simula un corso di cose depurato da variabili casuali e ridotto entro lo schema astratto della razionalità e, a queste condizioni, esso intende rispondere ad una domanda che ammette soltanto l’alternativa sì/no: ….se si possa affermare l’esistenza di nesso causale tra la condotta e l’evento. La probabilità della quale si parla con riferimento al giudizio ipotetico circa l’efficienza causale del fatto antigiuridico, opera come certezza, nel senso che le conseguenze che vengono tratte dal fatto “probabile” non sono diverse da quelle che verrebbero tratte dal fatto certo».
[56] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 15 e 17.
[57] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3; ancora più efficace è M. Bona, Causalità da perdita di chance e lost years: nessuna soglia minima per la tutela risarcitoria delle possibilità di sopravvivenza cit., che richiama la rilevazione di molti «common lawyers» secondo la quale, in materia di sopravvivenza, «anche chance inferiori al 50% continuano a rappresentare un valore per il quale una persona sarebbe disposta a pagare», pur continuando a rimanere irrilevanti in ambito risarcitorio.
[58] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3.
[59] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 3, § 3 rileva, molto plasticamente, come il ricorso al criterio statistico assuma l’ineliminabile funzione di «includere l’ignoto nel calcolo giuridico, al fine di meglio amministrarlo»; anche R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 1 rileva come «la regola civilistica del “più probabile che non” costituisc(a) un esempio mirabile: essa non maschera l’incertezza – che, anzi, è premessa indispensabile della sua applicazione – ma argina l’effetto deleterio che da essa deriva».
[60] Il riferimento è ovviamente a Y. Thomas, Fictio legis, Macerata, Quodlibet, 2011, 17; per l’applicazione delle categorie elaborate nell’articolo di Yan Thomas (uscito in Francia nel 1995) al diritto amministrativo, si rinvia al classico B. Latour, La fabrique du droit. Une ethnographie du Conseil d’Ėtat, Paris, La Découverte/Poche, 2002, 68.
[61] Già citata alla nota 33.
[62] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 11.
[63] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 16.
[64] Si tratta delle ampiamente note Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582 (in Resp. civ., 2008, 688, con nota di Dragone; Giur. it., 2008, 2192; Ragiusan, 2009, 299, 203; Giust. civ., 2009, I, 2532), 583 e 584 (Giur. it., 2008, 1115; Ragiusan, 2009, fasc. 301, 199; Giust. civ., 2009, I, 2531; Foro it., 2008, I, 451, con nota di Palmieri).
[65] Citazioni sempre da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 3, 2 e di nuovo 3; sulla stessa linea concettuale, R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 1 rileva come entri «qui in gioco l’idea, frutto di adattamento di processi stocastici a generalizzazioni proprie del senso comune, che “possedere” delle probabilità, delle chances appunto, rappresenti un valore distinto dal dato percentuale espressivo della probabilità stessa».
[66] P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit., § 4 che rileva come la «logique proportionnelle» sia utilizzata dal giudice amministrativo francese nei casi di responsabilità sanitaria (in quel sistema, di competenza del giudice amministrativo, ove si tratti di strutture pubbliche) in luogo della diversa logica «du tout ou rien», utilizzata nel contenzioso dei contratti pubblici e dei concorsi.
[67] Una parte della dottrina ha ritenuto di poter però evidenziare anche una prospettiva opposta, paventando il pericolo che un ricorso massiccio alla tecnica del danno da perdita di chances «possa condurre con maggior frequenza a risarcire solo parzialmente situazioni di danno che, applicandosi il tradizionale modello “all-or-nothing”, si sono risolte con risarcimenti integrali» (M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 49).
[68] Per l’approfondimento delle relative problematiche, impossibile in questa sede, si rinvia a G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit. e M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit.
[69]Citazioni sempre da G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 1 e 5.
[70] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7 rileva giustamente come, in questa formulazione, la nozione di perdita di chances  risulti «empirica perché ravvisa la ricorrenza di una chance ovunque possa assumersi in un qualche modo ed in qualsiasi misura che il risultato, di cui l’attore lamenta la mancanza, non possa dirsi del tutto certo…(e) giuridicamente indistinta perché non muove da una adeguata messa a fuoco dello specifico tipo di problema che solo talune fattispecie, a differenza di altre, propongono al sistema della responsabilità, tanto contrattuale che aquiliana».
[71] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 5.
[72] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1 e 7 ove si rileva aggiuntivamente come «la questione che sotto questa (impropria) etichetta si propone non concerne un problema di fatto suscettibile esclusivamente di esiti ontologicamente incerti e dunque solo apprezzabili sul piano statistico o su quello della comune ragionevolezza, ma un problema giuridico al quale l’ordinamento, in linea di principio, pretende non solo di poter dare sempre risposta ma anche di darvi una ed una sola soluzione».
[73] Il termine è utilizzato da R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit., § 5 (che sottolinea altresì come si tratti di una creazione giurisprudenziale non irreversibile) e O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, cit.; ad avviso di chi scrive, il riferimento alla «reificazione» può essere mantenuto, ma con la necessaria precisazione che si tratta di un processo che non ha niente a che vedere con i rapporti interpersonali (come nella teoria marxiana), ma semplicemente con la trasformazione in bene giuridico autonomo della probabilità di conseguimento di un bene della vita (ovvero di un elemento del rapporto causale).
[74] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 43 rileva come «la “causalità da perdita di chance” non costituisc(a) in alcun modo un sotto-livello “soft” o “attenuato” oppure “debole” della “causalità ordinaria”, cioè una diversa e più blanda interpretazione/applicazione da parte del magistrato, delle percentuali statistiche di guarigione o di sopravvivenza/mortalità –si noti bene- con riferimento al medesimo evento di danno, come diversamente opinato dalla dottrina che non condivide la “loss of chance”» e conclude per l’impossibilità di seguire le ricostruzioni (come quella di Cass. civ, sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619, cit.) che concepiscono i «rapporti tra certezza, probabilità e possibilità/chance secondo una scala discendente o, comunque, sulla base di rapporti gerarchici».
[75] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 5.
[76] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3. Anche D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, cit., 224 ha rilevato come «la c.d. perdita della chance sia storicamente sorta proprio a causa degli ostacoli che si incontrano – ancora una volta – sul piano probatorio allorché si tratta di dimostrare l’esistenza di un nesso di causalità tra un evento contrario al diritto ed il venir meno di possibilità favorevoli», anche se poi ha ritenuto di poter concludere (a pag. 235) per l’inutilità dell’«”ambigua figura” sulla base «semplicemente (di) una più attenta riflessione sul rapporto di causalità esistente tra l’impedimento preliminare ed il danno finale arrecato alla posizione di interesse protetta dall’ordinamento» (nello stesso senso, sembra orientata anche F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, cit., 79); a chi scrive sembra però che sia proprio la più attenta riflessione sulle difficoltà di dimostrare il nesso causale esposta in queste pagine a giustificare l’utilità del ricorso alla perdita di chances in ambito amministrativo.
[77] Citazioni sempre da M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3 e 6.
[78] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 6.
[79] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7.
[80] Citazioni da M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7; per quello che riguarda il versante amministrativo, risulta attestato su posizioni sostanzialmente analoghe anche F. Cortese, Evidenza pubblica, potere amministrativo e risarcimento del danno da perdita di chance, cit. quando rileva conclusivamente come, «a ben vedere … il risarcimento della perdita di chance si può predicare soltanto laddove sia storicamente accertato che il seguito del procedimento amministrativo non possa condurre il danneggiato al concreto soddisfacimento della pretesa».
[81] Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641 (in Foro it., 2018, I, 1579, con note di Pardolesi e Tessone; Nuova giur. civ., 2018, 1285, con nota di Gareffa; Corriere giur., 2018, 904, con nota di Tassone; Guida al dir., 2018, fasc. 19, 33, con nota di Martini) punti 3.9.1 e 4.e della motivazione (che così continua: «tale possibilità – i.e. tale incertezza eventistica (la sola che consenta di discorrere legittimamente di chance perduta) – sarà risarcibile equitativamente, alla luce di tutte le circostanze del caso, come possibilità perduta – se provato il nesso causale (certo ovvero “più probabile che non”), tra la condotta e l’evento incerto (la possibilità perduta) nella sua necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza»; per una critica all’impianto generale della sentenza, si rinvia a R. Pucella, L’insanabile incertezza e le chances perdute, cit.
[82] Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641, cit., punto 3.8.1.
[83] Come Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit.
[84] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 3, § 8; a questo proposito, risulta ancora attuale l’insegnamento di Niklas Luhmann: «il calcolo della probabilità costruisce una realtà fittizia che ha poco a che fare con la realtà reale» (N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, in Id., Il rischio dell’assicurazione contro i pericoli, a cura di A. Cevolini, Roma, Armando 2013; citazione dall’edizione digitale).
[85] Cass. civ. S.U. 11 gennaio 2008, nn. 582, 583 e 584 cit.
[86] È questa sostanzialmente la posizione di M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 7 che riferisce il giudizio di spettanza solo alle ipotesi di poteri vincolati; la posizione della giurisprudenza sembra però più avanzata e fondata su una rilettura del giudizio di spettanza in termini probabilistici estensibile anche a valutazioni discrezionali, purché sussista una ragionevole probabilità di concludere, anche in termini puramente probabilistici (50% più 1) o logico/baconiani, per la spettanza del bene della vita.
[87] Si veda, al proposito, la già citata Cass. civ., S.U. 26 gennaio 2009, n. 1850, cit.
[88] Al proposito, si rinvia a M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 5 e ss., C. Salvi, La responsabilità civile, Milano, Giuffrè, 1998, 171 e G. Giannini e M. Pogliani, Le responsabilità da illecito civile. Assicuratore, magistrato, produttore, professionista, Milano, Giuffrè, 1996, 19; anche in ambito amministrativo, l’importanza della distinzione era stata percepita da F. Trimarchi Banfi, L’ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, cit., che non ha successivamente sviluppato l’argomentazione.
[89] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 31 e ss.
[90] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118, cit., punto VI.5.
[91] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 3 e 6.
[92] Citazioni da M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 31 e ss.
[93] Si tratta di C.G.A. sez. giurisd., 12 dicembre 2013, n. 929, in Urb. e appalti, 2014, 6, 691 ss., con nota di Commandatore; www.Lexitalia.it, con nota di Nicotra; Giur. it., 2014, 6, 1476 ss., con nota di Meale; Foro amm C.d.S. 2013, 12, 3556.
[94] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 2, § 6; in senso praticamente analogo, si veda anche M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 38 e ss., con ampie citazioni della giurisprudenza più recente (tra cui Cass. civ., sez. III, 23 marzo 2018, n. 7248, in Diritto & Giustizia, 2018, 26 marzo, con nota di Savoia; Guida al diritto, 2018, 18, 73, con nota di Piselli; Foro it., 2018, 7-8, I, 2401, con nota di Caputi; Rass. dir. farmaceutico, 2018, 4, 783).
[95] V. Antonelli, La tutela della chance ovvero alla ricerca del bene sperato, cit., 84.
[96] Si riporta all’ambito amministrativo l’impostazione della problematica di Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 39, formulata con riferimento alla responsabilità medica.
[97] È il caso di L. Giagnoni, Il risarcimento del danno da perdita di chance in caso di selezione competitiva non svolta approda, senza successo, all’adunanza plenaria, cit., 371 che propende per l’accoglimento della nozione ontologica di chance solo «nello specifico settore dei contratti pubblici», per superare le ristrettezze di tutela che derivano dall’opzione per la tesi eziologica con riferimento alle ipotesi in cui sia del tutto mancata la procedura di gara; ristrettezze che contrasterebbero, secondo la sua prospettazione, con i vincoli derivanti dalle direttive in materia.
[98] Ad es., nella materia dei contratti pubblici, risulta ancora da approfondire e da chiarire il ruolo da attribuire alla possibilità di riavviare il procedimento di aggiudicazione. Bisogna concludere per l’impossibilità di utilizzare, in questo caso, la tecnica del risarcimento da perdita di chances «perché in casi del genere non è ancora definitivamente compromessa la possibilità di ottenere l’utilità finale» (V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 300) o è possibile utilizzare più agevoli meccanismi a base probabilistica (fondati sul famoso 50% più 1) o logico-estimativa (come quello utilizzato da Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, cit.)?
[99] Inaugurato da Cass. civ., sez. III,  4 marzo 2004, n. 4400, cit., punto 5.1. («nella fattispecie gli attori hanno domandato esclusivamente il risarcimento del danno per la morte del loro congiunto, conseguente ad assunto errore diagnostico ed omesso intervento chirurgico») e continuato da Cass. civ. sez. III, 29 novembre 2012, n. 21245 (in Ragiusan, 2013, 354-356, 263; Foro it., 2013, 2, I, 499, con nota di Palmieri; Diritto & Giustizia, 2012, 30 novembre, con nota di Di Michele) e dalla più volte citata Cass. civ., sez. III,  9 marzo 2018, n. 5641.
[100] Cass. civ, sez. III, 14 giugno 2011, n. 12961, in Resp. civ. e prev., 2011, 10, 2039, con nota di Miotto; Diritto & Giustizia, 2011, 18 giugno, con nota di Ferrario; Ragiusan, 2012, 335-336-337, 198; Guida al diritto, 2011, 38, 80.
[101] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 88 e ss.
[102] Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2017, n. 12597, in Rass. dir. farmaceutico, 2017, 6, 1216; Diritto & Giustizia, 2017, 22 maggio, con nota di Marotta; Guida al diritto, 2017, 43, 56; in precedenza, si veda Cass. civ., sez. III, 10 aprile 2015, n. 7193, in Diritto & Giustizia 2015, 13 aprile.
[103] C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno c.d. esistenziale, in Europa e dir. privato, 2008, 318; § 3; si veda anche Id. Vaga culpa in contrahendo: invalidità responsabilità e la ricerca della chance perduta, ivi, 2010, 33, che rileva come il ricorso alla chance venga ad integrare «la creazione di una situazione soggettiva che… non è consentita al potere giudiziario».
[104] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 4.
[105] In termini più generali (e fortemente condivisibili), V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 301 ha rilevato come «in questa epoca si è assistito ad un ampliamento della nozione di bene giuridico sia riferendolo a beni liberamente disponibili in natura, una volta non dotati del requisito della limitatezza, sia includendo i diritti patrimoniali tra i beni giuridici senza contare poi il tentativo di qualificare come autonomi beni la cubatura, la multiproprietà e il know-how», ovvero tutte innovazioni giurisprudenziali che, secondo l’obiezione sopra richiamata, non sarebbero consentite al giudice.
[106] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 4.
[107] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 28.
[108] M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit., § 1.
[109] P. Siracusano, Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, cit., 566.
[110] P. Siracusano, Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, cit., 568.
[111] A questo proposito, appare ampiamente condivisibile la rilevazione di D. Vaiano, Pretesa di provvedimento e processo amministrativo, cit., 234 che ha svalutato la considerazione sopra richiamata, rilevando come non «si possa vedere in essa che un aspetto proprio di molte situazioni giuridiche soggettive che si realizzano (anche) attraverso comportamenti altrui».
[112] Citazioni da P. Siracusano, Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, cit., 573 e ss.
[113] F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, cit., § 8 che poi così conclude: «senza la concretezza che deve connotarla, la chance perde quei caratteri che ne giustificano la tutela risarcitoria»; con la rilevazione negativa sull’ammissibilità del danno da perdita di chances, l’Autrice sembra aver superato l’orientamento tendenzialmente più aperto e favorevole espresso in F. Trimarchi Banfi, La responsabilità civile per l’esercizio della funzione amministrativa. Questioni attuali, cit., 73, anche se con una generica chiusura finale.
[114] A questo proposito, merita sicuramente approvazione la rilevazione di M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 29 in ordine al fatto che al medico si richiede di operare «nei limiti dettati dalla soluzione concreta: dalla medicina non si esigono miracoli di sorta, bensì solamente quei risultati che, dato un determinato paziente, possono essere concretamente…. conseguiti» e che pertanto anche le chances devono essere valutate in concreto.
[115] Al proposito, si rinvia a L. Viola, Il contenzioso dei contratti pubblici in Italia e in Francia: una (prima) comparazione, in Dir. pubblico comparato ed europeo, 2019, 2, 407 e ss.
[116] Citazioni da F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, cit., § 9.
[117] Come noto, la definizione è stata coniata dal Commissaire du gouvernement nell’affaire Martin del 1905 (C.E., 4 août 1905, Martin, in Lebon, 749); sulla vicenda, si rinvia a L. Viola, Il contenzioso dei contratti pubblici in Italia e in Francia: una (prima) comparazione, cit., 409. Il riferimento alla necessità di evitare una tutela «purement platonique» è oggi riproposto da P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit. § 4 e 6, proprio con riferimento alla tematica della perdita di chances. 
[118] O.M. Caputo, La perdita di chance ontologica approda nelle aule della giustizia amministrativa, cit., che rileva come «all’oggettivazione praeter legem della responsabilità aquiliana della P.A., s’accompagn(i) la forfetizzazione standardizzata del danno – quasi un’indennità – tipica della garanzia. Responsabilità che s’allontana dalla funzione compensativa per assumere una curvatura punitiva in chiave deterrente».
[119] Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 118, cit., punto VI.8: «dall’altro lato va invece rappresentato il rischio che venga snaturata la tipica funzione reintegratrice del rimedio del risarcimento del danno – che il sopra citato art. 124, comma 1, secondo periodo, Cod. proc. amm. sembra avere fatto propria, attraverso il richiamo al danno “subito e provato” – e siano riconosciuti danni non correlati ad una effettiva lesione della sfera giuridica soggettiva, ovvero danni di carattere punitivo (la cui compatibilità con l’ordinamento giuridico italiano è stata peraltro sancita di recente dalla Cassazione, SS.UU., sentenza 5 luglio 2017, n. 16601)».
[120] P. Patrito, La perdita di chance nel diritto dei contratti pubblici, cit. § 6, che richiama la giurisprudenza in materia di omessa presentazione di o.p.a obbligatoria.
[121] Al proposito, si rinvia all’ottima sintesi di G. Cricenti, Le funzioni della responsabilità civile, in G. Cricenti, I. Parisi ed E. Bruno, Diritto della responsabilità civile, Pisa, Pacini Editore, 2016, Cap. V (citazioni dall’edizione digitale).
[122] G. Cricenti, Le funzioni della responsabilità civile, cit. § 2.2 evidenzia esattamente come, per avere una funzione sanzionatoria, il risarcimento debba «eccedere l’ammontare del danno, solo così si avrà un significato diverso dalla semplice riparazione»; in maniera non dissimile da quanto avvenuto con il danno non patrimoniale, l’eventuale emersione di una funzione sanzionatoria del danno da perdita di chances potrebbe pertanto derivare da modelli di liquidazione improntati ad un’eccessiva latitudine equitativa e che si allontanino significativamente dall’ammontare reale del pregiudizio. Il punto debole dell’istituto, anche ai fini della possibile emersione di una funzione sanzionatoria del danno da perdita di chances, è pertanto costituito dalle incertezze in ordine ai criteri di liquidazione del danno (problematica sommariamente richiamata al § successivo).
[123] F. Trimarchi Banfi, La chance nel diritto amministrativo, cit., § 3.
[124] Si vedano, al proposito, gli scritti già citati alla nota 2.
[125] V. Neri, La chance nel diritto amministrativo: una timida proposta, cit., 298; nello stesso senso, si veda il più recente Id., Ripensare la sentenza n. 500/1999 a venti anni dalla sua pubblicazione, cit., 624, nota 61, con riferimento alla giurisprudenza più recente.
[126] Cass., civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, in Resp. e risarcimento, 2008, fasc. 11, 14, con note di Rodolfi e Martini; Dir. e giur., 2008, 526, con nota di Procida Mirabelli Di Lauro; Nuova giur. civ., 2009, I, 102, con note di Bargelli, Di Marzio e Cendon; Mass. giur. lav., 2009, 49, con note di Vallebona e Bianchi D’Urso; Assicurazioni, 2008, II, 2, 439, con note di Gussoni e Rossetti; Nuova giur. civ., 2009, I, 102, con note di Navarretta e Ponzanelli; Immobili & dir., 2009, fasc. 1, 36, con nota di Celeste; Riv. giur. lav., 2009, II, 74, con nota Fabbri; Mass. giur. lav., 2009, 49, con nota di Cinque; Danno e resp., 2009, 279, con nota di Gazzara; Giur. it., 2009, 317, con nota di Tomarchio; Dir. famiglia, 2009, 73, con nota di Gazzoni; Dir. ed economia assicuraz., 2008, 821, con nota di Hazan; Danno e resp., 2009, 19, con note di Landini e Sganga; Giur. it., 2009, 61 e 1380, con nota di Vizioli; Ragiusan, 2009, fasc. 299, 212; Corriere giur., 2009, 48; Famiglia e dir., 2009, 113, con nota di Facci; Riv. it. medicina legale, 2009, 451, con note di Barni, Fiori e Bona; Danno e resp., 2009, 19, con nota di Procida Mirabelli Di Lauro; Giust. civ., 2009, I, 913, con nota di Rossetti; Rass. dir. civ., 2009, 499, con note di Perlingieri e Tescione; Assicurazioni, 2008, II, 2, 439, con note di Gussoni e Rossetti; Resp. civ. e prev., 2009, 38, con note di Monateri e Navarretta; Riv. Neldiritto, 2009, 38, con nota di Navarretta; Riv. dir. civ., 2009, II, 97, con nota di Busnelli; La responsabilità civile, 2009, 4, con note di Franzoni, Zaccaria e Bilotta; Assicurazioni, 2009, II, 2, 216, con nota di Pompei; Riv. it. medicina legale, 2009, 179, con nota di Buzzi; Dir. mercato lav., 2008, 254, con note di Marchese e Molé; Lavoro e prev. oggi, 2009, 679, con nota di Colucci; Dir. comunitario scambi internaz., 2009, 793, con nota di Viglianisi Ferraro; Riv. dir. comm., 2009, II, 43, con nota di Scotti.
[127] G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 4.
[128] N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, cit., II; per l’inquadramento del breve saggio nella sistematica di Luhmann, si veda A. Maceratini, Il rischio dell’assicurazione contro i pericoli. Complessità e contingenza nella teoria sistemica di Niklas Luhmann, in Tigor: rivista di scienze della comunicazione e di argomentazione giuridica, 2017, 96 (liberamente consultabile all’indirizzo: https://www.openstarts.units.it/handle/10077/20384).
[129] Si veda al proposito A. Cevolini, Presentazione a N. Luhmann, Il rischio dell’assicurazione contro i pericoli, cit.,
[130] N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, cit., III che rileva altresì l’«oggettiva indeterminatezza di questa categorizzazione».
[131] N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, cit., III.
[132] A. Cevolini, Presentazione, cit.
[133] Per l’approfondimento dell’evoluzione storica della problematica, impossibile in questa sede, si rinvia ad A. Cevolini, Presentazione, cit.
[134] Al proposito, si rinvia sempre agli scritti citati alla nota 2.
[135] N. Luhmann, Pericolo oppure rischio, solidarietà oppure conflitto, cit., III.
[136] Questo spiegherebbe perché la dottrina contraria alla tecnica della perdita di chances continui a rimpiangere sistemi improntati a quelle modalità di tutela «purement platonique» richiamate al § precedente.
[137] Si rinvia, al proposito, a G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 1, § 2 e ss.
[138] A. Cevolini, Presentazione, cit. rileva come la stima rudimentale del rischio nei primi contratti di assicurazione si sia trasformata in un’attività scientifica solo successivamente, quando l’assicurazione si è trasformata in «un’attività, cioè il contratto in una impresa» ed ha cominciato ad utilizzare lo strumento statistico.
[139] Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit. § 6.
[140] M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 76.
[141] Per l’approfondimento della problematica, si rinvia a G. Cricenti, La perdita di chance nella responsabilità civile, cit., Cap. 6 (che sottolinea come qualcosa del genere sia già operativo nel settore del danno non patrimoniale da perdita di chances), M. Barcellona, Chance e causalità: preclusione di una virtualità positiva e privazione di un risultato utile, cit. § 6 (che, attualmente, propone il ricorso a «procedimenti simili a quelli che presiedono alla stima dei c.d. beni immateriali») e M. Bona, Il nesso causale da perdita di chance, cit., 76 (che sottolinea come, in una prospettiva fondata sull’autonomia della chance rispetto al bene finale, il risarcimento non debba necessariamente risultare una frazione del bene finale,  potendo risultare integrale, soprattutto per quello che riguarda il danno non patrimoniale derivante dalla lesione che non vi è ragione di concedere in via parziaria, soprattutto in materia sanitaria).
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