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Ovvia incostituzionalità del blocco delle assunzioni per ritardo nei pagamenti

Cosa ha a che vedere la sanzione del blocco delle assunzioni con il ritardo nei pagamenti?

Assolutamente nulla. E’ all’evidenza di chiunque non solo la sproporzione tra il fatto, pagare con ritardo, e la sanzione, ma anche l’assoluta mancanza di connessione tra i due eventi.

Si tratta di una sanzione totalmente fuori contesto che incide sull’organizzazione di un ente considerando come causa uno o più eventi riguardanti, invece, rapporti contrattuali nell’ambito dei quali la sanzione, per altro, esiste già: il pagamento di un tasso di interessi 8 volte maggiori di quelli correnti, oltre alla rivalutazione ed eventuali responsabilità erariali.

Per questo la sentenza della Corte costituzionale 272/2015, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 41, comma 2, del d.l. 66/2014, convertito in legge 89/2014, non solo non stupisce, ma merita totale adesione e plauso. Soprattutto laddove, appunto, evidenzia l’assoluta sproporzione tra la sanzione e l’evento e l’inadeguatezza di detta sanzione ad eliminare le cause dei ritardi che, come è noto, non dipendono affatto solo e soltanto da cattiva organizzazione interna: molte volte, i ritardi sono cagionati dalle assurde regole di contabilità connesse al patto di stabilità, per molti versi generatore di comportamenti “difensivi” ma illegittimi.

Che il divieto assoluto di assumere per violazione dei tempi medi di pagamento fosse un rimedio abnorme, del resto, lo avevano ammesso indirettamente Governo e Parlamento, col d.l. 78/2015, convertito dalla legge 125/2015, stabilendo di derogare all’assurdo divieto allo scopo di facilitare la ricollocazione del personale provinciale in sovrannumero. Una vera e propria manifestazione dell’inesistente relazione tra le regole generali di organizzazione, ricomprendenti manovre e strumenti di reclutamento, e l’evento del ritardo dei pagamenti.

La realtà è che troppe volte il legislatore ha tratto spunto per imporre strumentalmente blocchi alle assunzioni per scopi completamente ellittici rispetto alle “mancanze” rispetto alle quali essi vorrebbero essere una sanzione.

In fondo, il blocco delle assunzioni ha un valore in sé: contribuire a tenere sotto controllo e, anzi, far sì che continui a scendere l’unica voce della spesa pubblica che da anni continua a diminuire, cioè proprio quella connessa alla spesa del personale, di poco inferiore al 20% della spesa complessiva.

Governo e Parlamento sono coinvolti in una vera e propria coazione a ripetere, nel riprodurre da anni in modo automatico e, come si nota, costituzionalmente infondati, plurimi divieti ad assumere, finalizzati, nella realtà, al solo scopo di incidere sulla spesa di personale, dal momento che sulla restante spesa non v’è alcuna capacita di intervento.

Di certo, norme di questa natura, di più che dubbia legittimità costituzionale, ve ne sono tantissime. Per altro, il d.l. 66/2014 è uno dei primissimi provvedimenti del Governo in carica, segnalatosi, quindi, per aver esordito immediatamente violando quella Costituzione che, del resto, non riconosce né come utile, né come meritevole di rispetto.

Il problema vero sarà verificare se nella nuova composizione della Corte, che a seguito del completamento dei propri giudici risulta fortemente influenzata da componenti di orientamento totalmente coincidente con la maggioranza oggi al governo, la Consulta avrà ancora la capacità e la forza di evidenziare le illegittimità costituzionali evidenti. Sarebbe capace la nuova compagine dei giudici di dire “il re è nudo” in relazione agli incarichi dirigenziali delle Agenzie? Oppure di evidenziare il colpo ferale inferto ai pensionati? Sarebbe capace di reperire i tantissimi elementi di illegittimità della riforma delle province, che ancora oggi dispiega i propri effetti avvelenati proprio attraverso impropri e assurdi blocchi delle assunzioni che colpiscono anche vincitori di concorsi e idonei? Riuscirebbe a porre argine ai già oggi evidentissimi difetti di costituzionalità della legge 124/2015?

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