24/11/2015 – Il reddito è requisito neccessario per l’acquisizione della cittadinanza italiana

MEMOWEB N°225 DEL 23/11/2015

IL REDDITO È REQUISITO NECESSARIO PER L’ACQUISIZIONE DELLA CITTADINANZA ITALIANA

L’Amministrazione può porre a base del diniego di riconoscimento della cittadinanza una appurata carenza del requisito reddituale in capo all’istante, atteso che la congruità dei redditi dell’aspirante deve essere tale da garantirne in ogni caso l’autosufficienza economica.

Per il Tar del Lazio, le determinazioni dell’Amministrazione sulle domande di concessione della cittadinanza italiana al cittadino straniero, che risieda in Italia da oltre dieci anni, e si trovi quindi nella condizione di cui all’art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91, sono non vincolate (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 766 e 26 gennaio 2010 n. 282) ma a carattere discrezionale.

L’Amministrazione, pertanto, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale; sicché non può ritenersi illegittimo, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91 del 1992, il provvedimento con il quale viene negata la cittadinanza italiana sulla base di considerazioni di carattere economico patrimoniale, relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza (cfr., ancora, Cons. Stato, Sez. IV, 16 settembre 1999 n. 1474).

In particolare, il rilascio o il diniego di cittadinanza, concernendo il conferimento di uno status di rilevante importanza pubblica, comporta valutazioni essenzialmente discrezionali, in cui l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico. Lo straniero viene infatti con tale provvedimento inserito a pieno titolo nella collettività nazionale, acquisendo tutti i diritti ed i doveri che competono ai suoi membri, tra i quali non assume un ruolo secondario il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali.

La verifica dell’Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento dell’istante non è pertanto soltanto funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale, ma è anche funzionale all’accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere i ricordati doveri di solidarietà sociale.

Ne deriva che, essendo affidato ad una valutazione ampiamente discrezionale, il controllo demandato al giudice, avendo natura estrinseca e formale, non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole. Il parametro sindacatorio è, quindi, quello della abnormità/irragionevolezza, e si estende, ovviamente, all’elemento “sfavorevole” al richiedente valorizzato dall’Amministrazione e sotteso al diniego (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011 n. 5913).

Precisato quanto sopra segue che, correttamente, l’Amministrazione può porre a base del diniego di riconoscimento della cittadinanza una appurata carenza del requisito reddituale in capo all’istante, atteso che la congruità dei redditi dell’aspirante deve essere tale da garantirne in ogni caso l’autosufficienza economica e che tale valutazione, nel silenzio della legge che disciplina le modalità di rilascio della cittadinanza italiana, deve essere effettuata avendo come parametro di riferimento l’ammontare prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3 del decreto legge n. 382 del 25 novembre 1989, convertito in legge 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, della legge n. 549 del 28 dicembre 1995, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato a € 11.362,05 annui in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 annui per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale.

Ciò costituisce un requisito minimo indefettibile, in assenza di particolari benemerenze, che possano compensare l’insufficienza del reddito dichiarato, di talché l’insufficienza reddituale può costituire causa idonea “ex se” a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro: situazione la cui persistenza, comunque, è assicurata dalla carta di soggiorno (cfr., tra le più recenti, T.A.R. Lazio, Sez. II, 9 maggio 2012 n. 4189).

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