24/10/2015 – Il termine canzonatorio

Il termine canzonatorio

Oct 23, 2015

di Luigi Oliveri

Egregio Titolare,

approfitto dello spazio che Ella generosamente talvolta concede tra un pixel e l’altro per parlare del disegno di legge di stabilità. Ma non per commentarne i contenuti economici, posto che io non possiedo le competenze adeguate e, soprattutto, considerando che essi contenuti in realtà non sono noti e, se anche lo fossero, saranno in gran parte modificati dal maxiemendamento condito da fiducia che immancabilmente tra la fine di novembre e la metà di dicembre verrà presentato.

E tuttavia, proprio sul contenuto del disegno di legge è il caso di soffermarsi. Per sottolineare come norme di programmazione alquanto permissive, specie se lette ed interpretate col tipico stile cinico ed utilitaristico italiano, consentano appunto partorire un disegno di una legge fondamentale come quella di stabilità senza che per giorni e giorni il suo testo risulti consolidato e fissato in un testo.

Il Governo da anni ormai ci ha abituato ad un modus operandi alquanto particolare: in Consiglio dei ministri approva decreti legge e disegni di legge senza un testo definito, se va bene visti in bozza, probabilmente sintetizzati da qualche relazione e le slide poi proiettate nelle conferenze stampa.

Sarebbe tutto perfetto, se non si trattasse di un organo pubblico, che semplicemente per principi di trasparenza, dovrebbe esprimere i propri voti e le proprie deliberazioni su scelte certe, tracciabili e dunque scritte, trascritte in verbali di seduta facenti fede fino a querela di falso.

Le cose vanno, come sappiamo, in modo diverso. Il Governo approva delle bozze e fa pervenire nelle redazioni dei giornali ad arte versioni ogni giorno modificate e diverse, per vedere che reazioni suscitano e, dunque, riservarsi correzioni “in corsa”, prima di presentare poi testi consolidati al Quirinale ed al Parlamento.

Peccato che i decreti legge, se approvati, si giustificano con ragioni di necessità ed urgenza, evidentemente inconciliabili col sistema di tenere il testo nascosto per giorni e giorni non tanto ai giornali, quanto al Parlamento, al quale il decreto legge (sancirebbe la Costituzione, che però è “vecchia di 70 anni”, dunque ormai inutile) andrebbe presentato il giorno stesso della sua adozione in Consiglio dei ministri.

In quanto al disegno di legge di stabilità, ancora ignoto ai più nel suo contenuto al 22 ottobre, non è una Costituzione vecchia e da rottamare a disciplinarne l’iter di approvazione, ma una legge che di anni ne ha solo 6: la 196 del 2009. Che all’articolo 7, comma 2, lettera c), dispone che il disegno di legge di stabilità deve essere presentato alle Camere “entro il 15 ottobre di ogni anno”.

Ecco, si ha la sensazione che ogni giorno successivo al 15 di ottobre non sia, a ben vedere, il 15 di ottobre e che, dunque, il Governo sia in ampio ritardo e non rispetti la scadenza imposta dalla legge.

I ben informati del diritto osserveranno che il termine non è “perentorio”, cioè non comporta conseguenze negative, perché non sorretto da una sanzione, come la decadenza. Esso termine, dunque, in giuridichese, è “ordinatorio”, cioè superabile senza conseguenze. Ricordo che un interprete del diritto, consapevole che spesso anche non volendo quando si ragiona di leggi e relative interpretazioni si vestono i panni dell’Azzeccagarbugli, sosteneva che il termine “ordinatorio”, in realtà sarebbe meglio denominarlo come “canzonatorio”. Una piccola presa in giro: un obbligo violabile, tanto che il suo rispetto finisce per essere quasi una cortesia, non un impegno.

Ma, caro Titolare, in effetti, perché struggersi per la mancanza del testo del ddl, appunto visto che certamente di esso resterà poco tra qualche giorno, grazie al maxiemendamento?

 

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