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Urbanistica. Vincoli conformativi e espropriativi
Pubblicato: 23 Settembre 2020
TAR Veneto Sez. II n. 785 del 1 settembre 2020

I vincoli conformativi non comportano la perdita definitiva della proprietà privata, ma impongono limitazioni e condizioni restrittive agli interventi edilizi in funzione degli obiettivi di tutela dell’interesse pubblico e, a differenza, dei vincoli espropriativi, pur limitando e condizionando l’attività edificatoria, non comportano indennizzi per le limitazioni previste dallo strumento urbanistico e non hanno scadenza temporale

Pubblicato il 01/09/2020

N. 00785/2020 REG.PROV.COLL.

N. 01387/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1387 del 2006, proposto da

Adriano Trevisan, Maria Niero, Loretta Castellaro, Emanuela Castellaro, Marina Castellaro, Livio Castellaro, Ornella Castellaro, Graziella Castellaro e Anna Castellaro, rappresentati e difesi dapprima dagli avvocati Giorgio Bressan e Franco Zambelli e poi dagli avvocati Franco Zambelli, Nicola Magaldi e Roberta Cacco, con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Franco Zambelli in Venezia Mestre, via Cavalloti n. 22;

contro

Comune di Mogliano Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Antonio d’Alesio e Mauro Ferruzzi, con domicilio fisico eletto presso lo studio dell’avvocato Mauro Ferruzzi in Venezia Mestre, via F.lli Rondina, 6;

per l’annullamento

– della delibera di Consiglio comunale di Mogliano Veneto n. 32 del 05.04.2006, pubblicata in data 21.04.2006, di approvazione della variante parziale n. 50 al P.R.G. del Comune di Mogliano Veneto, nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso ovvero conseguente rispetto a quello impugnato;

– per la condanna del Comune di Mogliano Veneto al risarcimento del danno conseguentemente subito e subendo dai ricorrenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Mogliano Veneto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 84 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

Visto l’art. 4 del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70;

Vista la nota del Presidente del Consiglio di Stato prot. int. 1454 del 19 marzo 2020;

Vista la nota del Presidente del Consiglio di Stato prot. n. 7400 del 20 aprile 2020;

Visto il decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 134 del 22 maggio 2020;

Viste le Linee Guida sull’applicazione dell’art. 4 del D.L. 28/2020 e sulla discussione da remoto;

Relatore nell’udienza pubblica straordinaria del giorno 14 luglio 2020 il dott. Giovanni Giuseppe Antonio Dato e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Gli esponenti rappresentano di essere titolari di diritti reali, in Comune di Mogliano Veneto, su appezzamenti di terreno come meglio individuati nel ricorso introduttivo del giudizio; evidenziano dunque che i terreni in questione sono classificati dal vigente P.R.G. – in vigore dal 27 marzo 1993 – in Z.T.O. “F”, sottozona “F1.3 – Aree parco, gioco e sport”, normata dagli artt. 28 e 31 delle vigente N.T.A. del Comune di Mogliano Veneto.

La prima delle citate disposizioni regolamentari (art. 28 N.T.A.) disciplina in generale le Zone di tipo “F”, precisando che “tali zone sono destinate alla realizzazione di attrezzature, infrastrutture ed impianti pubblici di uso pubblico e di interesse collettivo; ad esclusione delle zone F2 sono preordinate alla espropriazione per pubblica utilità in vista della esecuzione delle opere da parte di enti e amministrazioni pubbliche e altri enti istituzionalmente competenti”.

Prima dell’entrata in vigore del vigente strumento urbanistico generale, evidenziano gli esponenti, i compendi di proprietà risultavano già gravati da analogo vincolo (verde pubblico attrezzato), a far data – quanto meno – dal 1970.

Rappresentano i deducenti che i terreni in questione risultano inedificabili – a causa della destinazione pubblicistica loro impressa – da oltre 35 anni e che nel corso di tale lasso di tempo, il Comune di Mogliano Veneto non ha mai dato attuazione alla previsione in disamina: il vincolo è decaduto una prima volta negli anni ‘70, quindi è stato confermato con il P.R.G. del 1993, indi è decaduto un’altra volta nel 1998; il tutto – lamentano gli esponenti – è avvenuto nella più assoluta indifferenza nei riguardi delle istanze ripetutamente inoltrate all’Amministrazione Comunale perché prendesse atto della propria inerzia e imprimesse alle aree in questione una destinazione urbanistica più consona alla loro vocazione edificatoria.

Evidenziano i ricorrenti di avere, da ultimo, formulato le proprie osservazioni pure avverso la delibera di adozione della variante parziale per cui è causa, intesa espressamente a riconfermare il vincolo decaduto per la Z.T.O. F1. 3, ma che il Comune di Mogliano Veneto, con l’avversata delibera di approvazione della variante medesima ha nuovamente reiterato il vincolo de quo, senza considerare i travagliati e ultratrentennali “trascorsi” dell’ambito.

Con ricorso – notificato in data 21 giugno 2006 e depositato in data 28 giugno 2006 – i deducenti hanno quindi proposto le domande in epigrafe.

1.1. Si è costituito in giudizio il Comune di Mogliano Veneto chiedendo di dichiarare il ricorso irricevibile e/o inammissibile e/o improcedibile e comunque infondato nel merito.

1.2. Con ordinanza 9 dicembre 2019, n. 892 le parti costituite sono state invitate a depositare, entro trenta giorni dalla comunicazione della stessa ordinanza, una memoria che motivatamente comprovi la persistenza dell’interesse alla decisione nel merito.

Il Comune resistente ha depositato in data 7 gennaio 2020 una relazione datata 24 dicembre 2019.

La parte ricorrente ha depositato memoria e documenti in data 8 gennaio 2020, evidenziando la permanenza dell’interesse alla decisione del ricorso nel merito e chiedendo la fissazione dell’udienza di discussione.

1.3. In vista dell’udienza pubblica straordinaria, entrambe le parti hanno depositato documenti, memoria, replica e, infine, nota d’udienza.

1.4. All’udienza pubblica straordinaria del giorno 14 luglio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

DIRITTO

1. Dall’atto di costituzione in giudizio in qualità di codifensori degli avvocati Nicola Magaldi e Roberta Cacco, depositato in data 20 febbraio 2020, si ricava l’avvenuto decesso degli originari ricorrenti Maria Niero e Livio Castellaro; nello stesso atto i deducenti dichiarano di agire in qualità di eredi degli stessi.

Va tuttavia osservato che, secondo condiviso orientamento interpretativo, colui che promuove – o prosegue – l’azione nell’asserita qualità di erede di altro soggetto indicato come originario titolare del diritto deve allegare la propria legittimazione per essere subentrato nella medesima posizione del proprio autore, fornendo la prova, in ottemperanza all’onere di cui all’art. 2697 cod. civ. del decesso della parte originaria ma anche della qualità di erede di esso attore, perché altrimenti resta indimostrato uno dei fatti costitutivi del diritto di agire (arg. ex T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 22 marzo 2019, n. 1654; T.A.R. Basilicata, sez. I, 26 gennaio 2019, n. 79).

Non avendo i deducenti comprovato tale qualità, nei termini anzidetti, e non essendo stato dichiarato o notificato l’evento interruttivo, il giudizio non può che proseguire fra le parti originarie (Adriano Trevisan, Maria Niero, Loretta Castellaro, Emanuela Castellaro, Marina Castellaro, Livio Castellaro, Ornella Castellaro, Graziella Castellaro e Anna Castellaro e Comune di Mogliano Veneto).

2. Il Comune resistente ha eccepito l’inammissibilità ed improcedibilità del ricorso per carenza di interesse.

Ha argomentato il Comune di Mogliano Veneto che, come si ricava dal certificato di destinazione urbanistica depositato in data 29 maggio 2020, la disciplina dei suoli de quibus scaturisce dalle previsioni del Piano per l’assetto del territorio (P.A.T.) approvato nel maggio dello scorso anno e soprattutto dalla variante al Piano regolatore generale approvata con delibera consiliare n. 19 del 10 aprile 2012, strumenti urbanistici questi autonomi e diversi rispetto alla variante n. 50 al P.R.G. di Mogliano Veneto oggetto delle doglianze dei ricorrenti, che non sono stati impugnati; dunque, l’annullamento in parte qua della variante n. 50 non avrebbe un effetto caducante della strumentazione oggi vigente con conseguente inammissibilità/improcedibilità del ricorso per carenza di interesse.

I ricorrenti – argomenta il Comune resistente – risultano anche acquiescenti rispetto al vigente regime dei suoli, tant’è vero che per loro stessa affermazione, hanno proposto delle osservazioni a seguito dell’adozione del P.A.T. per rendere edificabili i loro fondi, che però non sono state recepite dall’Ente e ciò nonostante non hanno creduto opportuno di gravare l’approvazione del P.A.T.

In ordine alla reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio, il Comune resistente ha eccepito l’inammissibilità ed improcedibilità del ricorso per decadenza del vincolo.

Ha argomentato il Comune di Mogliano Veneto che il vincolo da ultimo imposto dalla variante 83 al P.R.G., come si desume dal certificato di destinazione urbanistica, è inequivocabilmente scaduto dopo un quinquennio e non è stato reiterato; dunque le aree de quibus sono oggi “zone bianche” anche edificabili con gli indici di cui all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001.

Cosicché allo stato attuale il vincolo che avrebbe conculcato ai ricorrenti le possibilità di sfruttamento delle aree anche a scopi costruttivi, è venuto meno e non vi è più interesse al suo annullamento: di qui l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso anche a ragione del fatto che non vi è stata alcuna diffida proprio jure dicta al Comune per il cambio di destinazione urbanistica (al più vi sono state delle istanze di variazione e non intimazioni).

La parte ricorrente ha contrastato le argomentazioni poste alla base delle eccezioni frapposte dalla parte resistente.

2.1. L’eccezione – sebbene fondata ai sensi e nei limiti in appresso specificati – non può condurre alla declaratoria di improcedibilità del gravame.

Ritiene il Collegio che “fisiologicamente” l’impugnata delibera di Consiglio comunale di Mogliano Veneto n. 32 del 5 aprile 2006, di approvazione della variante parziale n. 50 al P.R.G., abbia – per quanto di interesse – esaurito i propri effetti con il decorso del termine quinquennale (alla luce della disciplina dettata dal cit. art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, il quale prevede, per l’appunto al comma 2, che il vincolo preordinato all’esproprio ha durata di cinque anni e, al successivo comma 3, che se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380).

Sul punto va richiamata la relazione del Comune di Mogliano Veneto datata 24 dicembre 2019 (prot. n. 46624) – depositata in data 7 gennaio 2020 – che pone in evidenza come il vincolo sia decaduto “per questioni temporali”.

Nondimeno, il ricorso non può essere dichiarato improcedibile (improcedibilità che può verificarsi ove l’atto del cui annullamento si discute ha di fatto consumato la sua efficacia, con sostanziale sopravvenuta carenza d’interesse a coltivare l’impugnativa nel caso in cui nessuna concreta utilitas possa derivare alla parte ricorrente dalla decisione di merito del rimedio giurisdizionale proposto: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 giugno 2018, n. 3525; T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 5 marzo 2020, n. 312).

Deve infatti osservarsi che, per quanto attiene alla persistenza dell’interesse ad una decisione di merito sulla domanda impugnatoria, l’art. 34, comma 3, cod. proc. amm. stabilisce che “Quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”.

Nel caso in esame, ben può trovare applicazione l’indirizzo interpretativo in base al quale il citato art. 34, comma 3, cod. proc. amm. va applicato in via restrittiva e soltanto allorquando la domanda risarcitoria sia stata proposta nello stesso giudizio, oppure quando la parte ricorrente dimostri che ha già incardinato un separato giudizio di risarcimento o che è in procinto di farlo, non essendo in proposito sufficienti manifestazioni generiche di interesse (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 25 giugno 2020, n. 2641; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 27 marzo 2020, n. 3677; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, 3 marzo 2020, n. 412): orbene, avendo la parte ricorrente, con lo stesso atto introduttivo del giudizio, avanzato domanda risarcitoria, va esclusa la declaratoria di improcedibilità del gravame, potendosi procedere all’esame dei motivi di gravame ai fini dello scrutinio della domanda risarcitoria.

Del resto, è la stessa parte ricorrente ad argomentare di aver <<[…] a prescindere dalla sopravvenuta decadenza del vincolo espropriativo per decorrenza del termine […] il precipuo interesse a sentir dichiarare l’illegittimità e l’ingiustizia della variante n. 50 al P.R.G., ossia della variante in base alla quale quel vincolo venne illegittimamente (per i motivi ampiamente illustrati) reiterato dal Comune di Mogliano Veneto. E ciò non fosse altro, come si è detto, ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno derivante dall’approvazione dell’atto amministrativo impugnato>> (cfr. pag. 7 della memoria difensiva di replica depositata in data 23 giugno 2020).

3. Con il primo motivo la parte ricorrente ha dedotto i vizi di Violazione di Legge in relazione all’art. 9, d.P.R. 08/06/2001, n. 327. Eccesso di potere per difetto di motivazione.

I ricorrenti evidenziano che la reiterazione dei vincoli scaduti per inutile decorso del quinquennio di efficacia deve essere assistita da congrua motivazione; osservano, tuttavia, che il Comune di Mogliano Veneto si diffonde lungamente sulla circostanza secondo cui l’approvazione di un P.I.R.U.E.A. (c.d. delle “Cave Senili”) e di un Accordo di programma con la Provincia di Treviso – entrambi pressoché coevi alla variante in parola – dovrebbero consentire di acquisire, finalmente, le aree ricadenti in Z.T.O. F1. 3; da tale premessa, quindi, l’Amministrazione Comunale conclude che: “- accertata pertanto la persistente necessità di disporre dell’area di che trattasi per soddisfare preminenti ragioni di pubblico interesse legate all’attuazione delle previsioni del PRG del 1993;

– che le aree interessate hanno mantenuto negli anni la loro idoneità a soddisfare le specifiche esigenze pubbliche, viste inoltre le opere pubbliche ivi realizzate, quali lo Stadio Comunale, i campi sportivi di calcio e per gli allenamenti, e un’area a parco-giochi,

– che la scelta dell’Amministrazione di reiterare il vincolo nasce da una coerenza logica di dar seguito a quelli che sono gli intenti del PRG del 1993”.

Secondo i ricorrenti l’inadeguatezza della trascritta motivazione è di tutta evidenza; ed invero:

– in primo luogo, non vi è alcuna consequenzialità logica tra la (asserita) possibilità di dare attuazione al vincolo nel rinnovato termine quinquennale e la (presunta) persistenza di un interesse pubblico alla sua attuazione; il Comune, infatti, potrebbe disporre dei mezzi per acquisire l’area e ciononostante non averne più interesse; pare, invece, che l’Amministrazione comunale abbia ritenuto che la ragionevole certezza di attuare il vincolo costituisca già di per sé dimostrazione sufficiente dell’esistenza di un interesse pubblico alla conferma del vincolo medesimo;

– in secondo luogo, il Comune di Mogliano Veneto ha completamente disatteso i principi elaborati dalla giurisprudenza in punto di motivazione della rinnovazione dei vincoli espropriativi.

I deducenti, dopo aver richiamato gli indirizzi interpretativi in materia, hanno sostenuto che debba abbracciarsi l’orientamento che afferma la necessità di una motivazione c.d. “polverizzata”, sia in ragione dell’enorme lasso di tempo trascorso dall’apposizione del vincolo primigenio (risalente quanto meno al 1970) e dalla decadenza di quello nuovamente impresso con il P.R.G. del 1993 (scaduto nel 1998 e reiterato dopo ben otto anni) ma anche in coerenza, sotto il profilo logico e sistematico, con l’opinione giurisprudenziale formatasi in materia di motivazione degli atti di pianificazione (all’uopo i deducenti richiamano alcuni precedenti giurisprudenziali in punto di varianti speciali o parziali).

Per gli esponenti, anche nel caso degli atti di pianificazione che reiterino vincoli espropriativi decaduti è necessaria una motivazione puntuale e specifica ogni volta che il vincolo venga confermato con una variante parziale e limitata ad un determinato ambito (come avviene nel caso di specie); diversamente opinando, infatti, si perverrebbe all’assurda conclusione secondo cui, coeteris paribus, si riserverebbe un trattamento deteriore (in punto di esternazione dei motivi) al privato inciso reiteratamente da un vincolo espropriativo (e che vanta, dunque, un’aspettativa maggiormente qualificata ad una reformatio in melius), rispetto a quello inciso per la prima volta dallo stesso vincolo.

Di siffatta motivazione “polverizzata” – evidenziano gli esponenti – non v’è traccia nella deliberazione consiliare n. 32 del 5 aprile 2006, e nemmeno nella relativa relazione illustrativa.

Nelle controdeduzioni alle osservazioni formulate (separatamente) dai ricorrenti, si ripropongono le stesse generiche controdeduzioni: palesando come non vi sia stata alcuna particolare e specifica valutazione delle singole zone (e proprietà) incise dal provvedimento.

A conclusioni non dissimili, aggiungono i deducenti, si perverrebbe anche seguendo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la reiterazione dei vincoli espropriativi andrebbe motivata “diffusamente”, ossia valutando globalmente gli interessi in conflitto; per i deducenti, anche tale indirizzo, pur non richiedendo una motivazione per singole zone, impone di motivare adeguatamente in ordine alla persistente attualità dei pubblici interessi che determinarono, in origine, l’imposizione del vincolo, nonché in ordine ad una nuova conveniente (e dovuta) comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, che deve essere, in concreto, tanto più dettagliata non solo quante più volte sia stata ripetuta la reiterazione del vincolo, ma anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione stessa proceda per la prima volta alla reiterazione del vincolo dopo un lasso di tempo ingiustificatamente ampio dall’intervenuta decadenza di esso e tale da far presumere, stante la perdurante inerzia, la mancanza o l’attenuazione di un interesse pubblico al mantenimento dello stesso.

Lamentano i ricorrenti che il Comune di Mogliano Veneto non ha assolto nemmeno a tale (meno gravoso) onere: invero, il Comune avrebbe dovuto dire perché ha ritenuto tuttora conforme al pubblico interesse localizzare lì, e non altrove, il verde pubblico; inoltre, la perdurante idoneità di un’area alla soddisfazione di un pubblico interesse non implica, ex se et necesse, che sussista e sia attuale pure il pubblico interesse che potrebbe potenzialmente soddisfare; infine, il Comune di Mogliano Veneto non ha effettato (e motivato) quella comparazione tra gli interessi pubblici e privati coinvolti in stretta e specifica relazione all’area gravata dal vincolo reiterato di cui già la Corte Costituzionale ebbe ad affermare la necessità (nella nota sentenza n. 179/1999).

Concludono i ricorrenti che la necessità di una siffatta comparazione e, più in generale, di una puntuale e diffusa motivazione in ordine alla (asserita) persistente attualità del vincolo, era vieppiù avvertita nel caso di specie, avendo l’Amministrazione reiterato un vincolo esistente da oltre 35 anni e che per lo stesso tempo aveva fatto ricadere sugli interessati le conseguenze pregiudizievoli della colpevole inerzia della stessa.

Il Comune resistente ha contrastato le argomentazioni della parte ricorrente e – richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali – ha evidenziato che la motivazione posta alla base delle determinazioni avversate non è stereotipata (“con il pubblico interesse legato all’attuazione delle previsioni del P.R.G. del 1993” evidenziando che “le aree interessate” dal vincolo “conservano” l’attitudine “a soddisfare specifiche esigenze pubbliche” viste le contigue opere pubbliche quali lo Stadio Comunale, i campi sportivi e le aree gioco), bensì costituisce giustificazione precisa e si sottrae alle critiche avanzate.

3.1. Il motivo è fondato nei termini in appresso specificati.

3.1.1. Ritiene il Collegio di dover brevemente soffermarsi sul vincolo in questione – “Area parco gioco e sport” – al quale deve essere riconosciuta natura (non conformativa bensì) espropriativa.

Secondo costante giurisprudenza, la distinzione tra vincoli conformativi (che possono essere imposti senza limiti di durata e che non implicano la corresponsione di indennizzi) e vincoli espropriativi (che viceversa devono avere durata limitata nel tempo e che sono reiterabili solo motivatamente e con previsione di indennizzo) si basa sulla diversa finalità perseguita dall’atto di pianificazione: se quest’ultimo mira ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera area in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo, mentre, ove imponga solo un vincolo particolare incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso va qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.

In particolare, i vincoli conformativi non comportano la perdita definitiva della proprietà privata, ma impongono limitazioni e condizioni restrittive agli interventi edilizi in funzione degli obiettivi di tutela dell’interesse pubblico e, a differenza, dei vincoli espropriativi, pur limitando e condizionando l’attività edificatoria, non comportano indennizzi per le limitazioni previste dallo strumento urbanistico e non hanno scadenza temporale (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 17 maggio 2019, n. 3190).

Orbene, il vincolo in questione ha carattere specifico, non è assimilabile ad un vincolo conformativo di semplice zonizzazione (non suscettibile di indennizzo) ed è direttamente incidente sul diritto di proprietà, limitandone grandemente il godimento e l’utilizzazione (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2002, n. 3999, in relazione ad aree destinate a parco per il gioco e lo sport).

Peraltro, la natura espropriativa del vincolo in questione è incontroversa fra le parti: la difesa della parte resistente non ha contrastato, sul punto, le argomentazioni della parte ricorrente.

Ed ancora, va osservato che la stessa deliberazione avversata contiene un chiaro riferimento alla natura del vincolo de quo (<<[…] le aree sulle quali viene reiterato il vincolo preordinato all'esproprio […]>>).

Non può poi non evidenziarsi, infine, come la giurisprudenza (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur., 17 aprile 2019, n. 329) ritiene che, sul piano sostanziale, il vincolo sia ad effetto espropriativo tutte “le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferirla esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale”.

In particolare, lungo una linea di riflessione tesa a valorizzare le novità della giurisprudenza EDU, saldandola alla giurisprudenza costituzionale sul contenuto minimo del diritto di proprietà e su una attenta lettura della sentenza Corte cost. 20 maggio 1999, n. 179, è stato evidenziato che essendo rimesso all’interprete il delicato compito di distinguere, volta per volta, tra i vincoli conformativi e i vincoli espropriativi, tale attività va certamente svolta assumendo a costante parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto dominicale, contenuto minimo che non può più parametrarsi a concezioni diffuse a metà del secolo scorso.

Ne deriva che se l’ente pubblico vuol destinare un’area a uso pubblico (generale) deve procurarne l’espropriazione, non potendo altrimenti costringere il proprietario a comprimere il suo godimento al di là del contenuto minimo essenziale della proprietà; per converso, la natura conformativa ovvero espropriativa di un vincolo preordinato alla realizzazione di un’opera non dipende dalla natura (pubblica o privata) del soggetto attuatore della destinazione impressa col vincolo quanto piuttosto dalla fruizione (pubblica o privata) cui è destinata l’opera da realizzare.

3.1.2. Il Collegio ritiene di dover sinteticamente richiamare i passaggi più significativi dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale in ordine alla questione della reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio e delle relative conseguenze.

Con sentenza 29 maggio 1968, n. 55 il Giudice delle leggi ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale del numeri 2, 3, 4 dell’art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dell’art. 40 stessa legge, nella parte in cui non contemplavano un indennizzo per l’imposizione di limitazioni operanti immediatamente e a tempo indeterminato nei confronti del diritti reali, in presenza di limitazioni aventi contenuto espropriativo (nei sensi indicati nella motivazione della stesse pronuncia).

Il legislatore – con la legge 19 novembre 1968, n. 1187 – ebbe quindi a stabilire che “Le indicazioni di piano regolatore generale, nella parte in cui incidono su beni determinati ed assoggettano i beni stessi a vincoli preordinati all’espropriazione od a vincoli che comportino l’inedificabilità, perdono ogni efficacia qualora entro cinque anni dalla data di approvazione del piano regolatore non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati od autorizzati i piani di lottizzazione convenzionati. L’efficacia dei vincoli predetti non può essere protratta oltre il termine di attuazione dei piani particolareggiati e di lottizzazione” (art. 2, comma 1).

La Corte costituzionale intervenne nuovamente nella materia de qua, dapprima ammettendo la legittimità costituzionale delle disposizioni degli artt. 1, 2 e 5 della citata legge n. 1187 del 1968, evidenziando la facoltà di scelta del legislatore tra la previsione di un indennizzo e la predeterminazione di un termine di durata dell’efficacia del vincolo (sentenza 29 aprile 1982, n. 82) e poi affermando che la temporaneità e la indennizzabilità dei vincoli urbanistici di natura espropriativa sono tra loro alternative, per cui l’indeterminatezza temporale comporta il diritto all’indennizzo (sentenza 22 dicembre 1989, n. 575).

Nuovamente investito della questione dell’ortodossia costituzionale della disciplina in materia il Giudice delle leggi è intervenuto con la nota sentenza 20 maggio 1999, n. 179.

Le questioni sottoposte all’esame della Corte avevano per oggetto gli artt. 7, numeri 2, 3, e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (come risultante rispettivamente a seguito degli artt. 1 e 5 della legge 19 novembre 1968, n. 1187) e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, sotto il profilo della violazione dell’art. 42, terzo comma, Cost., in quanto – dalla interpretazione corrente – consentono all’Amministrazione di reiterare il vincolo scaduto indefinitamente nel tempo, ponendo in essere una fattispecie sostanzialmente espropriativa senza la previsione di indennizzo e, comunque, senza la previsione di criteri per la determinazione dello stesso; veniva altresì denunciata la violazione dell’art. 97 Cost., sotto il profilo della deviazione dal modello del buon andamento della pianificazione urbanistica, dell’art. 9, secondo comma, Cost. per il contrasto con la tutela del paesaggio, nonché dell’art. 32, primo comma, Cost. in relazione al diritto alla salute.

Dopo aver perimetrato – sul piano oggettivo – il tema costituzionale dell’indennizzo a seguito di vincoli urbanistici – come alternativa non eludibile tra previsione di indennizzo ovvero di un termine di durata massima dell’efficacia del vincolo – e dopo aver richiamato la giurisprudenza costituzionale in materia, la Corte ha confermato che la reiterazione in via amministrativa dei vincoli decaduti (preordinati all’espropriazione o con carattere sostanzialmente espropriativo), ovvero la proroga in via legislativa o la particolare durata dei vincoli stessi prevista in talune regioni a statuto speciale non sono fenomeni di per sé inammissibili dal punto di vista costituzionale; invece, assumono certamente carattere patologico quando vi sia una indefinita reiterazione o una proroga sine die o all’infinito, o quando il limite temporale sia indeterminato, cioè non sia certo, preciso e sicuro e, quindi, anche non contenuto in termini di ragionevolezza; ciò ovviamente in assenza di previsione alternativa dell’indennizzo, e fermo, beninteso, che l’obbligo dell’indennizzo opera una volta superato il periodo di durata (tollerabile) fissato dalla legge (c.d. periodo di franchigia).

La Corte ha richiamato, inoltre, il diritto vivente della giurisprudenza amministrativa secondo cui la reiterazione dei vincoli urbanistici decaduti per effetto del decorso del termine può ritenersi legittima sul piano amministrativo se corredata da una congrua e specifica motivazione sulla attualità della previsione, con nuova ed adeguata comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, e con giustificazione delle scelte urbanistiche di piano, tanto più dettagliata e concreta quante più volte viene ripetuta la reiterazione del vincolo.

Quindi, ha affermato il Giudice delle leggi, una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all’espropriazione (o al serio inizio dell’attività preordinata all’espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.

Infine, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 e 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968, n. 1187, nella parte in cui consente all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o che comportino l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo secondo modalità legislativamente previste ed in conformità ai principi sopra richiamati, il Giudice delle leggi ha rinviato al necessario intervento legislativo la precisazione delle modalità di attuazione del principio dell’indennizzabilità dei vincoli a contenuto espropriativo, fermo che l’esigenza di un intervento legislativo sulla quantificazione e sulle modalità di liquidazione dell’indennizzo non esclude che il giudice competente sulla richiesta di indennizzo, una volta accertato che i vincoli imposti in materia urbanistica abbiano carattere espropriativo nei sensi suindicati, possa ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione di obbligazioni indennitarie, nella specie come obbligazioni di ristoro del pregiudizio subito dalla rinnovazione o dal protrarsi del vincolo.

Il legislatore, poco dopo la sopra richiamata pronuncia di illegittimità costituzionale, ha “codificato” all’art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 il principio della possibilità di reiterare motivatamente il vincolo preordinato all’esproprio e, al successivo art. 39 (in attesa di una organica risistemazione della materia), ha sancito il principio della spettanza al proprietario di una indennità (commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto) nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo.

3.1.3. Ciò premesso, va osservato che – in termini generali e secondo consolidati principi giurisprudenziali – le scelte urbanistiche operate dall’Amministrazione in ordine alla destinazione delle singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che può evincersi dai criteri generali seguiti nell’impostazione del piano; il che, peraltro, non è che una logica conseguenza della norma che non prevede l’obbligo di motivazione per gli atti generali.

Un obbligo di motivazione specifica si reputa esistente soltanto nel caso in cui debba riconoscersi al privato un’aspettativa qualificata, come quella discendente da una lottizzazione approvata e convenzionata o da un giudicato di annullamento del diniego di concessione edilizia o dalla reiterazione di un vincolo scaduto (cfr. T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 luglio 2018, n. 906).

Inoltre, l’onere motivazionale specifico richiesto per il caso di reiterazione dei vincoli espropriativi decaduti – pur costituendo un’eccezione nella materia della pianificazione urbanistica generale, in relazione alla quale, in ragione dell’ampia discrezionalità di cui gode l’Amministrazione, l’onere di motivazione può essere assolto anche in termini complessivi – è finalizzato a garantire la perdurante attualità della previsione, comparata con gli interessi privati, in misura idonea ad escludere un contenuto vessatorio o comunque ingiusto dei relativi atti (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 28 maggio 2019, n. 3466).

3.1.4. La giurisprudenza formatasi in materia (cfr., per una articolata ricognizione, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., sez. giur. 17 agosto 2018, n. 480) ha abbondantemente chiarito che il provvedimento che procede alla reiterazione del vincolo espropriativo decaduto debba essere congruamente motivato in ordine alla persistenza delle ragioni di diritto pubblico sottese alla necessità della reiterazione.

In proposito è stato evidenziato che tale contenuto motivazionale si atteggi in modi diversi a seconda del tempo in cui si colloca la reiterazione, per cui se può ritenersi giustificato il richiamo alle originarie valutazioni quando vi è una prima reiterazione, una maggiore motivazione va pretesa quando il vincolo rinnovato segua a distanza di tempo la prima apposizione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2015, n. 1317).

Sotto altra angolazione è stato poi aggiunto come la reiterazione dei vincoli urbanistici scaduti non può disporsi senza svolgere una specifica indagine concreta relativa alle singole aree finalizzata a modulare e considerare le differenti esigenze, pubbliche e private, in quanto l’Amministrazione nel reiterare i vincoli scaduti, è tenuta ad accertare che l’interesse pubblico sia ancora attuale e non possa essere soddisfatto con soluzioni alternative e deve indicare le concrete iniziative assunte o di prossima attuazione per soddisfarlo (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1465).

Più schematicamente, è stato precisato che per conferire alla valutazione di imposizione di vincoli scaduti ed alla conseguente motivazione un grado di concretezza sufficiente occorre che si proceda secondo uno schema logico “minimo” composto essenzialmente:

a) dalla ricognizione del perdurante bisogno di realizzare un certo assetto urbanistico di interesse della collettività e della portata, dimensione e priorità di tale interesse in relazione alla situazione attuale ed alle risorse disponibili;

b) dall’accertamento che la realizzazione di tale assetto possa implicare il coinvolgimento necessario ed attuale dell’are di proprietà privata già oggetto di vincolo;

c) dalla dimostrazione che eventuali soluzioni alternative siano impraticabili o eccessivamente onerose in base a criteri oggettivi di comparazione che tengano, però, anche conto del necessario bilanciamento tra costo dell’intervento pubblico e sacrificio imposto al privato: ciò in guisa che la minimizzazione di quest’ultimo può rendere praticabili anche soluzioni in sé più “costose”, entro limiti di ragionevolezza obiettiva emergenti dalla considerazione della priorità e delle dimensioni dell’intervento nonché delle risorse disponibili (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3365).

Orbene, nella fattispecie in esame non risulta che il Comune resistente abbia assolto il rigoroso onere di motivazione, prescritto, appunto, nei casi di replica di previsioni urbanistiche a carattere espropriativo.

In particolare, l’attenta lettura della deliberazione di Consiglio comunale n. 32 del 5 aprile 2006 avversata rende palese l’assenza di un adeguato apparato motivazionale relativamente ad una nuova, conveniente (e dovuta) comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti (che la stessa giurisprudenza costituzionale – sentenza 20 maggio 1999, n. 179 -, nel richiamare il “diritto vivente”, ha ritenuto necessaria), che deve essere, in concreto, tanto più dettagliata non solo quante più volte sia stata ripetuta la reiterazione del vincolo, ma anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione stessa proceda per la prima volta alla reiterazione del vincolo dopo un lasso di tempo ingiustificatamente ampio dall’intervenuta decadenza di esso e tale da far presumere, stante la perdurante inerzia, l’assoluta mancanza o, quanto meno l’attenuazione di un interesse pubblico al suo mantenimento.

Nel caso in esame il vincolo immediatamente precedente è stato apposto nel 1993 (e quello originario risale agli anni ’70).

Ed invero, non viene qui in discussione il potere discrezionale dell’Amministrazione in materia di pianificazione del territorio, il cui esercizio può ritenersi legittimo solo se e quando le scelte operate trovano riscontro in reali, concrete ed attuali interessi pubblici prevalenti rispetto a quelli dei proprietari i cui terreni, per anni, hanno sopportato un regime urbanistico inibitorio (cfr. Cons. Stato, sez. II, 16 dicembre 2010, n. 5540).

4. Con il secondo motivo di gravame gli esponenti deducono i vizi di Violazione di Legge in relazione all’art. 42 Cost.. Illegittimità costituzionale dell’art. 39, comma 2°, d.P.R. 08.06.2001, n. 327 (Testo Unico sulle espropriazioni), nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’indennità alla presentazione di documentata domanda di pagamento da parte dell’interessato.

Gli esponenti palesano di voler censurare con il motivo in questione un vizio “estrinseco” dell’atto, che ha attinto, per quanto riguarda la previsione (rectius, la mancata previsione) dell’indennizzo da corrispondere ai proprietari nuovamente incisi dal vincolo, da una disposizione di legge di dubbia legittimità costituzionale.

I deducenti richiamano, in particolare, la decisione del Comune di non corrispondere alcunché agli interessati e di liquidare eventuali indennità solo previa domanda documentata di pagamento in cui si dimostri il pregiudizio subito a causa della conferma del vincolo.

Quindi, dopo aver richiamato l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 e dopo aver ricordato che lo stesso è stato introdotto dal legislatore per ottemperare alla sentenza n. 179/1999 della Corte Costituzionale (la cui statuizione, nella parte di interesse, viene ricostruita), la parte ricorrente ha argomentato in merito alla incostituzionalità della suddetta norma perché immotivatamente gravosa ed in quanto comporta un vulnus intollerabile al diritto di proprietà.

Per gli esponenti, la Corte Costituzionale ha affermato che, per ricondurre il sistema a legalità costituzionale il Legislatore avrebbe dovuto fissare i criteri per la concreta quantificazione dell’indennizzo, fissando i parametri e le modalità di liquidazione; tuttavia, il Legislatore del 2001, ha sì previsto la spettanza di un indennizzo, ma lungi dal fissare i ridetti specifici parametri di liquidazione, ha condizionato la sua corresponsione alla presentazione di una documentata domanda di pagamento, in tal modo approntando un sistema di indennizzabilità pesantemente squilibrato nei confronti del privato, che ha l’onere di assumere l’iniziativa e di dimostrare – documentalmente – di aver subito un danno (e di quale entità) dalla reiterazione del vincolo.

Si impone al privato – che già subisce l’inerzia colpevole della P.A. – un’attività di allegazione molto spesso malagevole e comunque dispendiosa, sia in termini economici che di tempo, aggravando senza motivo le possibilità di far valere un diritto costituzionalmente garantito.

Né varrebbe ad escludere l’illegittimità costituzionale della norma il fatto che si tratti di disciplina transitoria, in primo luogo, perché principi enunciati dalla Corte Costituzionale richiedevano attuazione immediata e, in secondo luogo, perché la normazione “intertemporale” sottende con ogni evidenza un intento elusivo non essendovi traccia, a distanza di anni dalla sentenza della Corte Costituzionale e dalla promulgazione del Testo Unico sulle espropriazioni, di un’iniziativa legislativa volta a fissare i parametri ed i criteri di cui si discute.

Concludono i ricorrenti che l’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 di cui ha fatto applicazione il Comune di Mogliano Veneto nel caso di specie si pone in contrasto con l’art. 42 Cost. nella parte in cui condiziona la corresponsione dell’indennizzo all’iniziativa dell’interessato nuovamente inciso dal vincolo, cui incombe l’onere di presentare documentata domanda di pagamento; la parte ricorrente chiede, pertanto, che l’adito Tribunale voglia sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 327/2001 per violazione dell’art. 42 Cost. sotto il divisato profilo.

4.1. Il motivo non merita di essere condiviso.

Le controversie concernenti il riconoscimento del diritto all’indennizzo per la reiterazione di vincoli sostanzialmente espropriativi appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, alla luce dell’art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327, che attribuisce alla cognizione della Corte di appello la controversia, introdotta con opposizione alla stima effettuata dall’autorità, sulla determinazione dell’indennità per reiterazione del vincolo sostanzialmente espropriativo (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 15 maggio 2006, n. 11097).

Invero, i profili attinenti alla spettanza o meno dell’indennizzo e al suo pagamento non attengono alla legittimità del procedimento ma riguardano questioni di carattere patrimoniale, che presuppongono la conclusione del procedimento di pianificazione, devolute alla cognizione della giurisdizione civile (cfr. T.A.R. Veneto, sez. I, 22 giugno 2017, n. 598).

Difettando l’adito Tribunale ictu oculi di giurisdizione in ordine alle controversie concernenti la spettanza ed il pagamento del detto indennizzo, la questione di costituzionalità in ipotesi sollevata da questo Giudice andrebbe incontro all’ineluttabile declaratoria di manifesta inammissibilità.

5. Infine, la parte ricorrente avanza domanda di risarcimento del danno a causa dell’illegittima reiterazione del vincolo espropriativo de quo e della consequenziale espropriazione di valore subita.

Secondo gli esponenti sussistono tutti i presupposti per la richiesta statuizione di condanna, posto che:

– è comprovata la vocazione edificatoria dei terreni per cui è causa (come si evince dal fatto che tutti i terreni circostanti ricadono in Z.T.O. B o C);

– l’esistenza del danno ed il nesso eziologico tra il danno e l’attività provvedimentale sono in re ipsa, essendo noto che un terreno in regime di “zona bianca” (quale diverranno i terreni dei ricorrenti per l’effetto dell’annullamento, ex tunc, dei provvedimenti impugnati) ha un valore ed una appetibilità sul mercato di gran lunga inferiore rispetto ad uno edificabile;

– sussiste, infine, la colpa dell’Amministrazione (sintomatica è la stessa illegittimità dei provvedimenti impugnati, come pure le numerose istanze (disattese) indirizzate dai ricorrenti al Comune di Mogliano Veneto nel corso degli ultimi trentacinque anni.

Per la liquidazione del danno, parte ricorrente – nel richiamare un precedente del Tribunale – ha invocato il c.d. criterio “perequativo”, consistente nel considerare convenzionalmente le aree incise come edificabili secondo la destinazione di quelle limitrofe (classificate sia in Zona B che C), sì da quantificare il danno in una somma pari al differenziale – maturato dalla data di adozione della variante e sino a quella del deposito della sentenza – tra il valore dei terreni in regime di destinazione edificatoria (B ovvero C) e quello dei medesimi terreni in regime di edificabilità delle cc.dd. “zone bianche” (ove ricadrebbero per effetto dell’eventuale annullamento – con efficacia ex tunc – dei provvedimenti impugnati).

Inizialmente, per la quantificazione del danno la parte ricorrente ha richiesto che fosse disposta consulenza tecnica d’ufficio (per la determinazione del suddetto valore differenziale) ovvero sancito l’obbligo del Comune di Mogliano Veneto di formulare una proposta risarcitoria; quindi, in data 3 giugno 2020 la parte ricorrente ha depositato una perizia di stima concludendo nel senso che <<[…] sulla base del più probabile valore di mercato del terreno oggetto di stima […] ai fini della determinazione del danno subito da Trevisan e altri, sulla base del differenziale maturato tra il 2006 e il 2020, possa essere quantificato in € 90.000,00. (Euro novantamila,00)>>.

Il Comune resistente ha contrastato la domanda in esame, escludendo la sussistenza dei presupposti per vedere riconosciuto ai deducenti il risarcimento siccome richiesto, argomentando in ordine alla assenza di diffida o accertamento di colpevole silenzio dell’Amministrazione rispetto alla richiesta dell’amministrato (all’uopo la parte resistente ha richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali).

Inoltre, il Comune resistente ha contestato le risultanze della perizia prodotta dalla parte ricorrente, peraltro non asseverata, siccome apodittiche e prive di giustificazione.

5.1. La domanda risarcitoria merita di essere accolta, nei termini e nei limiti in appresso specificati.

Giova osservare che, ferma l’illegittimità dell’avversata deliberazione, nel giudizio intentato dal soggetto danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione, potendo egli limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto e dovendosi fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 cod. civ.; e a questo punto spetta all’Amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa – appunto – in quell’errore scusabile che, secondo una giurisprudenza consolidata, si verifica in presenza di contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione della norma, formulazione ambigua delle disposizioni da applicarsi, complessità della situazione di fatto, comportamento delle parti del procedimento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2018, n. 1116).

Nel caso in esame il Collegio ritiene che non possa riconoscersi in favore dell’Amministrazione l’errore scusabile, emergendo dalla deliberazione impugnata il richiamo alla giurisprudenza costituzionale e dovendosi, quindi, presumere la conoscenza dell’obbligo di fornire un corredo motivazionale che ponga in evidenza la comparazione degli interessi pubblici e privati coinvolti, nei termini sopra indicati.

Quanto al nesso eziologico, si può affermare che il pregiudizio subito dai ricorrenti (di cui si dirà fra breve) discenda dall’attività amministrativa illegittima.

Va peraltro osservato che i ricorrenti hanno proposto domanda di condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno facendo leva sulla illegittimità dell’atto di reiterazione del vincolo in questione, e proprio in ciò risiede – secondo condiviso orientamento giurisprudenziale – l’elemento qualificante dell’azione risarcitoria rispetto alla mera pretesa indennitaria, id est da agire legittimo dell’Amministrazione (arg. ex T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 2 marzo 2015, n. 595).

Ritiene il Collegio, inoltre, che – sulla scorta della giurisprudenza formatasi in subiecta materia (cfr., in particolare, Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1683 ed ivi precedenti giurisprudenziali) – la parte ricorrente abbia avanzato domanda risarcitoria, essendo la previsione dell’indennizzo funzionale a ristorare il proprietario del vincolo apposto, con indicazione di aspetti lesivi ulteriori, diversi e autonomi; invero, già nell’atto introduttivo del giudizio la parte ricorrente ha evocato, per quantificare il danno – a proposito dell’illegittima reiterazione del vincolo e della consequenziale espropriazione di valore subita, secondo la prospettazione degli esponenti – il “differenziale” maturato dalla data di adozione della variante sino a quella del deposito della sentenza tra il valore dei terreni in regime di destinazione edificatoria e quello dei medesimi terreni in regime di edificabilità delle cc.dd. “zone bianche” (come si legge a pag. 1 della perizia di stima depositata in data 3 giugno 2020 <<[…] si tratta di determinare il valore che tale appezzamento di terreno avrebbe avuto qualora non fosse stato oggetto dell’apposizione di vincolo espropriativo, reiterato e quindi decaduto, divenendo, quindi, dal punto di vista urbanistico “area bianca”. Conseguentemente, sarà possibile determinare il danno complessivamente subito dai proprietari a seguito dell’illegittima reiterazione del vincolo de quo >>.

Ciò premesso, come si è detto sopra, la perizia di stima depositata dalla parte ricorrente ha concluso, sulla base delle valutazioni nella stessa declinate, che il <<[…] danno subito da Trevisan e altri, sulla base del differenziale maturato tra il 2006 e il 2020, possa essere quantificato in € 90.000,00. (Euro novantamila,00)>>.

Il Collegio ritiene che il criterio del “valore differenziale”, nella detta perizia richiamato, non possa condurre nel caso in esame alla determinazione dell’ammontare così come sopra indicato, dovendosi tenere conto del fatto che le aree in questione, al momento della reiterazione del vincolo de quo non erano “effettivamente” classificate come le aree limitrofe (Zona B e C), secondo quanto evidenziato dalla parte ricorrente (dovendosi anzi ritenere che le stesse fossero caratterizzate dai limiti di edificabilità propri delle c.d. “zone bianche”, per effetto della decadenza del precedente vincolo risalente al P.R.G. del 1993), ed inoltre in ragione del fatto che – a giudizio del Collegio – successivamente alla decadenza del vincolo in questione la parte ricorrente non ha posto in essere quel contegno diligente ex art. 1227 cod. civ. (cfr. oggi l’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., che racchiude una regola ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 cod. civ.: cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3), richiesto, entro il limite dell’apprezzabile sacrificio, al fine di contenere le conseguenze dannose.

Ed invero, a fronte dell’obbligo del Comune di ripianificare le aree (c.d. “bianche”) già interessate da un vincolo decaduto per decorso del quinquennio, si pone l’interesse procedimentale del proprietario, cui è riconosciuto un potere di reazione all’inerzia dell’Amministrazione attraverso la procedura di messa in mora e tipizzazione giurisdizionale del silenzio (arg. ex Cass. civ., sez. I, 18 marzo 2016, n. 5443), che tuttavia nel caso in esame non è stata posta in essere.

In conclusione, il Collegio stima equo (ex art. 1226 cod. civ., richiamato dall’art. 2056 cod. civ., in considerazione dell’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno) condannare la parte resistente a risarcire i ricorrenti in relazione al danno subito, per la somma complessiva di Euro 20.000,00 (€. ventimila/00), ritenendo che la somma in questione debba essere, anche tenuto conto della diversa estensione delle aree di appartenenza (come si ricava dalla perizia di stima depositata dalla parte ricorrente), suddivisa fra gli esponenti nei termini che seguono:

– Adriano Trevisan: Euro 10.000,00 (€. diecimila/00);

– Loretta Castellaro, Emanuela Castellaro e Marina Castellaro: Euro 3.400,00 (€. tremilaquattrocento/00);

– Livio Castellaro e Ornella Castellaro: Euro 3.400,00 (€. tremilaquattrocento/00);

– Graziella Castellaro e Anna Castellaro: Euro 3.200,00 (€. tremiladuecento/00).

Ritiene il Collegio che nulla spetti all’usufruttuaria (Maria Niero) in quanto, come si ricava dall’art. 39 del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 327 (sia pure a proposito del diritto all’indennità da legittima reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio o del vincolo sostanzialmente espropriativo), la reiterazione dei vincoli in questione incide sulla posizione soggettiva del titolare del diritto di proprietà.

6. La complessità delle questioni esaminate ed il carattere risalente della controversia giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così provvede:

– dichiara l’illegittimità della delibera di Consiglio Comunale di Mogliano Veneto n. 32 del 2006, ai sensi e nei termini in motivazione;

– condanna il Comune di Mogliano Veneto al risarcimento del danno in favore dei ricorrenti, nei termini indicati in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del giorno 14 luglio 2020, tramite collegamento simultaneo da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 84, comma 6, del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18 convertito con modificazioni dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe La Greca, Presidente

Marco Rinaldi, Primo Referendario

Giovanni Giuseppe Antonio Dato, Referendario, Estensore

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