24/09/2015 – Riforma della Pa, dalla gestione delle competenze una leva importante di crescita culturale

24Set 2015

Riforma della Pa, dalla gestione delle competenze una leva importante di crescita culturale

di Luca Tamassia

L’approvazione della legge delega 124/2015, di riforma dell’amministrazione pubblica e del lavoro alle dipendenze da questa, costituisce un deciso passo avanti nel processo di “bonifica” del sistema pubblico e delle culture che lo hanno, da sempre, contraddistinto. Certamente l’impianto normativo non va esente da profili di sofferenza, soprattutto sul versante dell’indebolimento dei ruoli dirigenziali allorquando, nel contempo, agli stessi s’impone l’esclusività della responsabilità gestionale, pur tuttavia il disegno di riforma degli apparati pubblici coglie alcuni punti di criticità di non poco respiro, ponendosi sul binario non solo e non tanto della revisione tecnico-giuridica degli istituti, quanto, piuttosto, dell’impianto culturale che deve necessariamente accompagnare un mutamento genetico dell’apparato pubblico, all’insegna delle imprescindibili metamorfosi strutturali di cui questo abbisogna.

Il regime delle competenze 

L’elemento di maggior spicco valoriale, in vero, in tale contesto di trasformazione, può rinvenirsi nel largo uso del regime delle “competenze” generalmente applicato alle risorse umane, di cui il legislatore ha disseminato il mutamento, regime che appare, infatti, piuttosto diffuso nell’assetto riformistico della legge. Tracce più o meno evidenti di questo si rinvengono nella nuova disciplina di principio che interessa la dirigenza pubblica (vedasi, a tal riguardo, l’articolo 11, comma 1, lett. g), della norma), ma ciò che più colpisce è l’assunzione del principio di “rilevazione delle competenze dei lavoratori pubblici” nell’ambito dei fondamentali principi e criteri direttivi di delega recati dall’articolo 17, comma 1, lett. i), della legge n. 124/2015, quale criterio orientativo di basilare rilevanza nella realizzazione del processo d’innovazione delle culture pubbliche. 

Il principio non è certamente nuovo, non di meno i tentativi di introdurlo nel macchinario pubblico italiano risultano episodici e isolati, forse per scetticismo o, più probabilmente, perché la strutturazione di un sistema che opera per competenze sarebbe in grado di rendere assai meno manipolabile tutta la filiera valutativa delle risorse umane, dall’accesso ai percorsi di carriera, con effetti gravidi di conseguenze sul piano dei benefici che questo sortirebbe. Alla buon’ora, dunque. In altri sistemi, da quello francese a quelli più latamente di tradizione mitteleuropea, pur con diversi approcci, il sistema appare da decenni strutturato e funziona e regime, mentre nel nostro Paese i colpevoli ritardi conseguenti, soprattutto, alla degenerativa utilità del mantenimento di sistemi gestionali più permeabili alle compulsazioni, hanno prodotto una repulsione pregiudiziale all’introduzione di meccanismi di crescita che operano, soprattutto, sul versante dell’incremento qualitativo dei servizi offerti dall’amministrazione pubblica.

Il principio di riforma, quindi, tende ad indurre e a mettere a disposizione delle direzioni, intese quali livelli di responsabilità gestionali, un “modello di competenze” relativo alle risorse umane, alla stregua di sviluppare uno strumento operativo rispetto al quale misurare il livello di competenza raggiunto dal titolare di una posizione di lavoro, cui commisurare anche componenti della retribuzione e/o pianificare percorsi di sviluppo mediante procedure di crescita interna e/o strutturati percorsi di formazione. Riconoscere le competenze necessarie per occupare una posizione di lavoro e confrontarle con le competenze di cui attualmente dispongono i membri dell’organizzazione consente, infatti, la pianificazione di un percorso di sviluppo delle risorse umane dell’ente, che può portare essenzialmente alla valorizzazione delle competenze esistenti o potenzialmente sviluppabili attraverso i meccanismi di valorizzazione professionale (si pensi ai regimi di premialità strutturati definiti “progressione economica orizzontale”), oppure all’utilizzo “mirato” ed “armonizzato” dello strumento della formazione, proprio allo scopo di integrare lo sviluppo delle persone con le strategie ed i mutamenti organizzativi e culturali che scuotono la pubblica amministrazione. 

Infatti, una volta individuati i processi che fanno capo ad ogni macrostruttura, le posizioni di lavoro dagli stessi implicate, una volta tratteggiato il ruolo organizzativo ascrivibile ad ognuna delle posizioni di lavoro monitorate e le competenze necessarie per l’efficace interpretazione dello stesso, diviene possibile individuare in maniera “mirata” anche le caratteristiche delle figure professionali di cui è necessario avvalersi. Immaginando, quindi, l’evoluzione dei processi da gestire e dell’organizzazione deputata a gestirli, diviene possibile pianificare e valutare le diverse alternative modalità di acquisizione di tali professionalità. Nel caso, infatti, in cui si individuino internamente le competenze o le potenzialità necessarie per occupare la singola posizione, l’amministrazione potrà pianificare un percorso di carriera o di sviluppo professionale che permetta, agli operatori, di poter ricoprire la posizione previa realizzazione di corsi di formazione specifici, valorizzazioni interne, variazioni di profilo ecc. Nel caso, invece, che internamente non si rinvengano le competenze richieste dalla posizione analizzata o non vi siano potenzialità tali da poter prevedere un percorso di riprofessionalizzazione o di carriera e/o percorsi di mobilità, sarà necessario orientarsi nella ricerca esterna di un soggetto che abbia determinate caratteristiche per occupare la posizione di lavoro da ricoprire.

L’individuazione delle competenze necessarie per occupare una posizione di lavoro costituisce, dunque, il presupposto indispensabile per il successivo percorso di rilevazione delle competenze di cui attualmente dispongono i membri dell’organizzazione, in funzione della creazione di un sistema dinamico strutturato in una specifica banca dati che consenta la pianificazione di efficaci percorsi di sviluppo delle risorse umane dell’ente, secondo quanto rappresentato. Ci si può domandare il motivo per il quale il sistema di riforma investa così decisamente sul sistema delle “competenze”, al punto da assurgere il modello a principio riformatore del lavoro pubblico. La risposta è sotto gli occhi di tutti, anche e soprattutto degli utenti di questo sistema: buona parte delle persone che lavorano oggi nella amministrazioni pubbliche, infatti, specialmente nelle dimensioni più contenute, sono state assunte attraverso una selezione “per titoli ed esami” o “per prove” a contenuto cognitivo.

Le abilità 

Ciò che questo meccanismo di selezione è in grado di misurare è il “sapere” che le persone possiedono su un determinato campo e alcune abilità applicative individuali di tale sapere (abilità tecniche). Negli ultimi anni sono profondamente cambiati gli obiettivi perseguiti dalle strutture pubbliche. Basti pensare alle aspettative “qualitative” verso il servizio erogato espresse dall’utenza. Siamo arrivati ad una situazione nella quale la precisione tecnica della prestazione viene data per scontata, mentre l’aspetto critico è legato alla relazione attraverso la quale la stessa viene fornita. Parlando di abilità professionali, oggi, di fatto si va a parare su tutto ciò che concerne le capacità di soddisfare l’utenza attraverso l’erogazione di un servizio. Per poterle identificare con buona approssimazione occorre muovere dai servizi/prodotti attesi, per cui, una volta identificate le capacità necessarie attraverso questa procedura, sarà agevole cercare le persone che le posseggono. Per abilità qui si intende quell’insieme di elementi che concorrono a strutturare l’azione dell’operatore in maniera efficace rispetto ad uno o più obiettivi prestabiliti. Fare un inventario generale e assoluto delle abilità di un individuo appare oggettivamente impossibile, mentre è certamente possibile, in ogni situazione organizzativa concreta, identificare le abilità necessarie all’operatore che intenda agire a livello di eccellenza, renderle misurabili e verificare chi le possiede e chi no.

Al fine di definire le abilità fondamentali necessarie a chi opera in un’organizzazione di servizi, oggi, l’assetto richiesto può seguire il seguente menù, che può aiutare a mettere in luce alcune dimensioni professionali chiave e le difficoltà connesse ad una loro conquista, in particolare:

1) comportamenti di gruppo;

2) comportamenti individuali;

3) atteggiamenti; 

4) conoscenze.

Lo svolgimento di un ruolo professionale in un qualunque ente, quindi, implica l’uso di capacità a tutti e quattro i livelli, mentre, di fatto, oggi il territorio presidiato abitualmente è quello delle conoscenze tecnico-specialistiche. Poco si fa a livello di sviluppo di atteggiamenti funzionali, ancora meno a livello di comportamenti individuali. I comportamenti di gruppo, poi, sono spesso fuori campo. Normalmente i comportamenti (individuali e di gruppo) non sono percepiti come problema. Rispetto al funzionamento di un gruppo, poi, molti pensano, ingenuamente, che bastino comportamenti individuali corretti per farlo funzionare. Invece, per lavorare in gruppo o per guidare un gruppo di lavoro servono abilità comportamentali specifiche che non sono acquisibili, se non in parte, per via intuitiva o sperimentale. Ogni ruolo si colloca all’interno di un contesto organizzativo in mutamento costante ed è impegnato a raggiungere obiettivi la cui dimensione qualitativa cambia in continuazione. La qualità della prestazione, pertanto, essendo legata alla soddisfazione delle aspettative dell’utente, non può essere definita a priori se non come processo volto a soddisfare il cliente, chiunque egli sia. La sua definizione precisa può avvenire solo quando si materializza “quel cliente particolare”. La trasformazione pubblica, quindi, imperniata verso un avvicinamento culturale e metodologico alle competenze individuali, preme sull’acceleratore della qualità dei servizi, innestando un motore che costituirà, in prospettiva, un vero propulsore del cambiamento, in un approccio concretamente qualitativo dei profili erogativi. 

L’auspicio, dunque, non può essere che quello per il quale il mutamento non debba arenarsi sulle solite resistenze dei detrattori, coloro che, della critica sterile e gratuita, hanno da tempo fatto lo strumento per combattere ogni cambiamento all’insegna del mantenimento di una situazione che se, da un lato, non soddisfa l’utenza, dall’altro lato non gratifica neppure il personale che, quotidianamente, con grandi sacrifici, con umiltà e con la cultura del servizio (e non con quella del potere), assicura il funzionamento dei servizi pubblici in questo Paese.

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