Fallimento della riforma delle #province. I #media si svegliano
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Si va diffondendo sempre più il genere giornalistico “prima sostengo una riforma che si capiva subito fosse dannosa e mal congegnata e poi lucro con le inchieste che si accorgono troppo tardi dei danni”.
Dopo l’inchiesta assurda de L’Espresso sui gattopardi (?), domenica 22 marzo si è esibito il Giornale con un fondo del direttore; il giorno dopo,23 marzo, è la volta del Fatto Quotidiano (che in effetti da gennaio ha iniziato a curare tale genere) ad approfondire i danni immensi della riforma Delrio.
Meglio di nulla, certo, ci mancherebbe. Solo che è poco concepibile che i media siano andati per mesi ed anni a rimorchio della populistica campagna anti province attuata da Stella e Rizzo, che ha ricevuto poi il sostegno politico del Movimento 5 Stelle e l’innesco opportunistico in Parlamento, al fine di ottenere un immotivato ma facile consenso, da parte del Governo Letta, prima, del Governo Renzi, poi, tramite l’operato di Delrio.
Che la riforma intestata al cognome dell’attuale Sottosegretario alla Presidenza del consiglio fosse e portasse al disastro era evidente a qualsiasi osservatore che avesse un minimo di cognizione tecnica (ma proprio meno delle basi) e lume di buon senso.
La furia propagandistica, invece, ha prevalso e praticamente dal 2012 all’aprile del 2014, data di entrata in vigore della deleteria legge 56/2014, la stampa ha solo ignorato gli effetti dannosi evidentissimi che erano dentro la riforma.
Qualche flebilissima avvisaglia di risveglio verso la realtà nella stampa si è intravisto solo quando il disegno di legge di stabilità 2015 stava per completare l’opera di devastazione, imponendo alle province versamenti coatti allo Stato da 3 miliardi a regime, completamente insostenibili per le casse provinciali, e prevedendo un’assurda messa ex lege in sovrannumero, attraverso un sistema complicatissimo, poco chiaro, normato in modo sommario, di trasferimento verso gli altri enti.
Ora, solo ora, i media si accorgono che la riforma, mentre non comporta nemmeno un centesimo di risparmio, si avvia (come previsto ormai anni fa da chi scrive) ad aumentare le tasse: le città metropolitane chiedono il balzello sugli imbarchi su navi e aerei e sta portando, come era inevitabile, alla mancata erogazione dei servizi.
Il tutto, mentre il Governo è il primo a violare la legge di stabilità, non approvando il decreto che dovrebbe regolare la mobilità del personale in sovrannumero (era atteso il 28 febbraio), non attivando l’indagine sui posti e le risorse finanziarie disponibili, consentendo ad enti e soggetti vari di attivare concorsi, nonostante il congelamento imposto e la nullità delle assunzioni, nemmeno pensando a risolvere il problema dei dirigenti illegittimi delle Agenzie utilizzando subito i dirigenti amministrativi delle province, non intervenendo sul caos interpretativo relativo alla mobilità innescato da incaute pronunce della Corte dei conti (utili a complicare ulteriormente la situazione), lasciando che le regioni restassero inerti rispetto al compito di riordinare le funzioni provinciali, scaricando sulle medesime regioni il barile del problema ed i relativi costi (qualcosa come non meno di 1,5 miliardi a regime).
Che la stampa si risvegli e passi dall’entusiasmo plebiscitario per una riforma dannosa e produca inchieste, sia pure in ritardassimo, è un segno negativo della capacità dei media di intercettare le avventure normative e governative prima che si attivino e producano danni. Tuttavia, se con estremo ritardo ora si accorge, la stampa, dei danni prodotti e del disastro di una riforma inqualificabile, la cosa può essere utile affinchè Governo e Parlamento ci ripensino e correggano quanto fin qui fatto.
Certo, è molto più difficile correggere che prevenire, perché evidentemente Governo e Parlamento non ne uscirebbero molto bene davanti all’opinione pubblica. Per questo da giorni Ministri e sottosegretari fanno a gara per scaricare sulle regioni una responsabilità del fallimento della riforma che, invece, è tutta sulle loro spalle. Inevitabilmente il Governo e il Parlamento sono molto refrattari a modificare la riforma, ammettendo indirettamente quanto deleteria sia.
Comunque, qualche crepa si comincia ad intravedere: se il decreto fiscale proposto dall’Anci dovesse davvero modificare i termini del blocco delle assunzioni si compirebbe un primo passo verso una ridefinizione della Babele che attualmente è il processo di inserimento di 20.000 dipendenti provinciali in sovrannumero che dovrebbe inevitabilmente scaturire in proroghe dei termini e ripensamenti complessivi di tutto il sistema, fissato dalla legge 190/2014. Ricordiamo che per l’ennesima volta una legge di stabilità ha inteso intervenire su riforme profonde e complicate a forza di maxiemendamenti, scritti in una notte in modo affrettato, poco meditato, atecnico, sommario, insufficiente, palesemente sbagliati, resi, però immodificabili dalla solita posizione della questione di fiducia.
Un modo di legiferare guidato da populismo, assenza di qualsiasi controllo dei media in fase preventiva, mancanza di contatto con la realtà, velleitarismo e fretta, non può che produrre i danni ora sotto gli anche della stampa che fino a pochi giorni fa ancora inneggiava ad un’abolizione, quella delle province, che non esiste, senza accorgersi che ad essere abolito era il buon senso.
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