Che la riforma dei concorsi pubblici sia stata affannosa, poco meditata e conseguentemente in molte parti sommaria se ne sono accorti tutti.
Certo, la pandemia non ha aiutato ad una stesura meditata delle norme poste a regolare il reclutamento nella PA. Di certo, però, essa è stata influenzata da troppi veri e propri slogan:
- insistere sulle “competenze”: giusto, ma manca totalmente una loro definizione, che non consente nemmeno di individuarle e pesarle con uno standard comune;
- insistere sulle “esperienze”: possono arrivare a pesare un terzo del punteggio totale, ma anche in questo caso si dà modo a ciascun ente di valutarle a proprio piacimento, sicché una stessa esperienza può valere molto o pochissimo a seconda di come la si veda;
- ridurre i tempi: è assolutamente vero, una certa quantità di concorsi hanno durate di anni. Ma, chi ha architettato la riforma, come troppo spesso accade, ha esteso a qualsiasi amministrazione e qualsiasi concorso medesimi paradigmi. I mega concorsi che durano anni caratterizzano i ministeri, le regioni (ma non sempre), i comuni capoluogo o di rilevanti dimensioni. Il mondo degli enti locali è composto da enti di piccole dimensioni, nei quali ben difficilmente anche prima della riforma i concorsi avevano durate troppo estese. La pretesa di regolare un mondo frammentato con metodi uguali ha creato disfunzioni operative;
- la digitalizzazione: essa può diventare un semplice “feticcio”, se non è finalizzata ad un utilizzo mirato e meditato. Proprio per le amministrazioni che non raccolgono quantità oceaniche di domande di concorrenti, la spinta (erroneamente da molti vista come vero e proprio obbligo) alla gestione esclusivamente informatizzata dei concorsi ha portato da un lato (lo si è visto con il concorso per i segretari comunali) a porre quesiti in test preselettivi o selettivi troppo astratti e spesso anche estranei alla verifica di conoscenze e competenze necessarie; dall’altro lato, ad affrontare oneri organizzativi e spese esorbitanti, in relazione al concorso da svolgere.
Gli esiti di queste riforme? Sono davanti a tutti. La “corsa” ad assumere mediante poche domande erogate in modo informatico ha abbassato moltissimo la qualità delle selezioni. La velocizzazione in ogni caso non ha aiutato ad estendere il reclutamento, rimasto praticamente al palo, come ha dimostrato il Formez, anche perché il problema del ripopolamento di una PA, lasciata intenzionalmente languire per 15 anni e più, non dipende solo dal come si recluta, ma dall’organizzazione del lavoro, dalla capacità di identificare profili, dall’utilizzo di mezzi operativi innovativi e, ovviamente, dal trattamento economico. Quest’ultimo non è competitivo e non è certo la disciplina dei concorsi capace di incidere sulle decisioni delle persone.
Il parere del Consiglio di Stato Sezione Consultiva per gli Atti Normativi – Adunanza di Sezione del 12 gennaio 2023 n. 01887/2022 non fa che confermare l’impressione di eccessiva fretta e sommarietà.
Palazzo Spada ha deciso di sospendere la trattazione della valutazione dello schema di regolamento di riforma del dPR 48/1994, alla luce di solo alcune valutazioni. La Sezione non ha nemmeno inteso trattare il dettaglio, talmente rilevanti sono i difetti riscontrati: “La Sezione ritiene opportuno non procedere all’esame analitico dell’articolato del decreto, sottoposto al suo parere, in quanto alcune delle criticità rilevate inducono a ravvisare la sussistenza dei presupposti per rimetterlo al Ministero proponente al fine di stimolare un’ulteriore e più approfondita riflessione”.
Quali sono questi difetti? L’assenza praticamente totale di una valutazione ex ante degli effetti possibili della normativa: un vizio che, purtroppo, affligge la gran parte degli atti normativi.
La sezione evidenzia l’assenza di una vera analisi tecnica normativa: “la funzione principale dell’A.T.N. è la valutazione del quadro giuridico all’interno del quale si muove la nuova regolamentazione e che tale valutazione è tanto più necessaria quanto più si incide su un tessuto normativo policentrico e stratificato, la Sezione osserva che l’A.T.N. trasmessa manca di un’analisi sistematica della materia, limitandosi ad una ricognizione descrittiva e minimale delle principali disposizioni di livello primario”.
Per esempio, il parere ritiene “del tutto assente l’analisi della compatibilità dell’intervento con i principi costituzionali, pur non essendo revocabile in dubbio che la nuova normativa riguarda un settore le cui linee portanti sono frutto della diretta applicazione di molteplici principi costituzionali – articoli 2, 3, 4, 51 e 97 Costituzione – rappresentando il pubblico concorso la regola generale per il reclutamento del personale delle PP.AA., ad eccezione di specifiche ipotesi di interesse pubblico idonee a giustificare una deroga”. Insomma, la riforma nemmeno si è posta il problema di inquadrare la regolazione dell’accesso agli impieghi nella PA alla luce dei principi costituzionali. Lacuna non da poco.
Il Consiglio di Stato ha concentrato, conseguentemente, l’attenzione proprio sulla digitalizzazione: “Nell’A.T.N. è, inoltre, totalmente pretermessa ogni valutazione delle conseguenze della nuova disciplina sull’ordinamento anche in termini di contenzioso. … La Sezione ritiene, invece, che è necessaria un’attenta valutazione del nutrito e complesso contenzioso insorto in relazione alla digitalizzazione sia delle modalità di accesso alle prove concorsuali che del loro svolgimento. A mero titolo esemplificativo, e senza alcuna pretesa di esaustività, si richiamano le molteplici pronunce del giudice amministrativo di primo e di secondo grado in materia di esclusioni dalle procedure concorsuali a causa di errori e/o omissioni nella compilazione della domanda telematica e dei connessi principi di affidamento digitale e di soccorso istruttorio, elaborati dalla giurisprudenza”. Palazzo Spada ha ben chiaro sia l’onere procedurale a carico delle PA, sia, soprattutto, il rischio che la digitalizzazione divenga un fattore escludente per molti cittadini a causa del digital divide: “un meccanismo di partecipazione alle procedure selettive completamente informatizzato mai potrebbe incidere sul rispetto del principio dell’apertura delle selezioni a tutti i candidati in condizioni di eguaglianza (artt. 2, 3 e 51 Cost.)”. Insomma, sì alla digitalizzazione, ma quando realmente serve e in modo da non conculcare i diritti.
Stessa valutazione il Consiglio di stato la riserva all’analisi di impatto della regolazione (Air): anch’essa è valutata del tutto insufficiente, soprattutto con riferimento al delicatissimo tema delle pari opportunità.
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