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Era la saggezza che sapeva sorridere e pure ridere, era l’ironia che non inacidiva mai, era la convinzione ferma e profonda che l’intelligenza fosse la cosa migliore che poteva toccarci sulla Terra, e che la parola è una pietra, sì, ma di quelle per costruirci ponti e case, le case dei diritti dove andare tutti ad abitare, dividendoci i compiti e le storie, insegnandoci l’un l’altro le cose.

Era anche calabrese, ma lo si capiva solo dalla speciale caparbietà di militante della parola e del diritto, dall’amore fiorito, meridionale, per l’eloquio e le sue tante bellezze, ma senza mai perdere di vista il senso, la prassi, la necessaria declinazione politica e umana di tutti i nostri talenti.

Ci mancherà, il giurista, l’intellettuale e l’uomo Stefano Rodotà, eterno candidato a una Presidenza che avrebbe magnificamente onorato (in un mondo perfetto, sei tu il mio presidente della Repubblica, professore), nel mondo di sinistra e destra travestite l’una dall’altra, nel mondo dei diritti rimpiccioliti, nel mondo intossicato dalle “fake news” e dai “fatti alternativi”.

Ci mancherà l’uomo che non aveva la pretesa di spiegare niente a nessuno, ma solo di ragionare, di declinare, di dipanare, e noi stavamo ad ascoltarlo, e sentivamo che un mondo migliore non solo era possibile, ma era già lì, nella semina delle sue parole.

Addio, professore. Ci lasci una vera ferita, e un poco più soli in mezzo al caos ( di  Anna Mallamo)

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