Il Consiglio di Stato conferma il principio che non ammette deroghe alla demolizione nell’ipotesi in cui l’ingiunzione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso.
Mentre su alcuni istituti (vedasi la natura del silenzio alla SCIA in sanatoria, art. 37) i tribunali ancora si interrogano sulle possibili soluzioni, su altri si è riusciti a fornire dei principi consolidati che ormai dovrebbero mettere a tacere molti ricorsi.
Tra questi, la natura dell’ordine di demolizione di opere realizzate in difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Tema numerosamente trattato dalla giustizia amministrativa tra cui si segnala la sentenza del Consiglio di Stato n. 629 del 19 gennaio 2024 che conferma il dovere di vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi.
L’art. 27, comma 2, primo periodo, del Testo Unico Edilizia prevede un passaggio fondamentale:
“Il dirigente o il responsabile, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi”.
Una formulazione da cui discende che l’ordine di demolizione deve essere emesso dal Comune quando accerti l’abuso edilizio, indipendentemente dalla sua data di realizzazione.
Con la nuova sentenza, i giudici di Palazzo Spada confermano un principio già definitivamente risolto dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 9/2017, secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.
Il principio si fonda sul presupposto che colui che dia corso ad interventi edilizi senza preoccuparsi di acquisire, preventivamente, il necessario titolo edilizio, non matura un affidamento legittimo – cioè qualificato dall’ordinamento giuridico – circa la possibilità di poter conservare, anche nel lungo periodo, le opere abusivamente realizzate; di conseguenza non v’è ragione per obbligare l’Amministrazione ad effettuare una valutazione comparata tra l’interesse privato e quello pubblico, al ripristino della legalità violata, e a darne conto con specifica motivazione.
Sostanzialmente, come affermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 4537 del 4 maggio 2023, l’ordine di demolizione, come tutti gli atti di repressione degli abusi edilizi, ha natura di atto vincolato. L’ordinanza di demolizione emessa da Comune non deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene.
Una volta accertata l’abusività di un’opera edilizia, al Comune non spetta neanche la valutazione sulla doppia conformità (che spetta invece all’interessato) ma può solo emettere l’ordinanza di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.
Trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, l’ordine di demolizione sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui l’interessato deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo.
Nessun tag inserito.