un articolo di Nicola Da Settimo tratto da quotidiano del Sole 24 Ore

 

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La Corte dei conti «blocca» gli incarichi ai dirigenti esterni nella Pa centrale

di Nicola Da Settimo

La delibera 36/2014/ Prev della Corte dei Conti -Sezione centrale di controllo di legittimità sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, diffusa alcuni giorni fa, che ha affrontato il tema del conferimento di incarico dirigenziale generale ad un soggetto esterno all’amministrazione, è massimata dalla stessa Corte in questo modo: «La procedura prevista dal dettato dell’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165/2001, pone in capo all’Amministrazione un onere di previa verifica circa la sussistenza delle risorse umane interne, in possesso dei requisiti professionali richiesti dall’incarico, determinando una necessaria funzionalizzazione della procedura valutativa a tale obiettivo prioritario, rimettendo a una fase successiva ed eventuale, conseguente all’esito infruttuoso della prima, la ricerca all’esterno finalizzata al conferimento di un incarico ai sensi del comma 6, che, in ogni caso, deve discendere da una rinnovata volontà discrezionale dell’Amministrazione medesima, debitamente motivata».

La procedura in due stadi

La Corte afferma in sostanza che «solo dopo aver accertato che nei ruoli interni manchino le competenze professionali richieste, risulta ammissibile il ricorso a professionalità esterne». Questo principio è sicuramente innovativo perché la legge (articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165/01 ), risultante dalle modifiche introdotte con il Decreto Legislativo n. 150/2009 prevede solo che « …tali incarichi sono conferiti, fornendone esplicita motivazione, a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione». La pronuncia della Corte prescrive per la prima volta (dopo quasi sei anni dalla riforma “Brunetta”, nei quali non risulta che la Corte abbia sollevato il tema in questi termini), nuove modalità di individuazione del destinatario dell’incarico dirigenziale di prima e seconda Fascia (la disposizione è unica per entrambi i ruoli), ritenendo che si debba dividere il procedimento di interpello in due fasi, anche se la prassi sinora applicata e la norma stessa prevedono solo un onere di adeguata motivazione dell’incarico. Se la tesi sostenuta dalla Corte dovesse consolidarsi, essa renderebbe di fatto pleonastico il comma 6 dell’articolo 19, che sarebbe del tutto inapplicabile agli incarichi di prima fascia: infatti, il numero dei dirigenti di seconda fascia è molto superiore al numero dei dirigenti di prima fascia e sarebbe quindi impossibile che si verifichi il caso che nessun dirigente di seconda fascia rappresenti la propria disponibilità a un incarico di direttore generale. La decisione non sembra tenere conto che la norma stessa pone un limite generale, oggettivo e stringente, alla possibilità di nomine esterne, prevedendone un numero estremamente limitato, pari ad un 10% della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e dell’8% della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia. Questa esigua percentuale appare soddisfare ampiamente la ratio della norma di «non mortificare le aspettative dei dirigenti interni che aspirino a ricoprire quel posto», come afferma la Corte. Nel caso del Miur, i direttori generali da nominare sarebbero in tutto 27, per cui solo 3 potrebbero essere gli esterni nominabili ai sensi del comma 6; tutti gli altri dovrebbero essere nominati dai dirigenti di seconda fascia. È la legge stessa, cioè, a limitare il ricorso a contratti esterni fissandoli in una precisa percentuale, senza prevedere aggravi procedimentali ulteriori che renderebbero di fatto inattuabile anche tale (limitata) riserva di incarichi esterni. All’atto pratico, gli incarichi di prima fascia conferiti dal Miur nell’ultima tornata sono stati 23: di questi, solo due incarichi sono stati conferiti ai sensi del comma 6 dell’articolo 19. La Corte dei Conti ha negato il visto solo nel caso in commento, mentre ha registrato gli altri 22 incarichi, compreso l’altro ex comma 6, che pure aveva seguito lo stesso iter procedimentale, che dunque (seguendo il ragionamento della Corte), avrebbe dovuto inevitabilmente essere ritenuto anch’esso non conforme ai nuovi criteri affermati nella massima.

La discrezionalità dell’amministrazione

Altra questione affrontata è quella della mancanza della «particolare e comprovata qualificazione professionale». Qui il tema è se debba essere il ministro a poter decidere, nel merito, chi abbia i requisiti atti ad assicurare il buon andamento della Pubblica amministrazione, nel rivestire un ruolo apicale che richiede determinate capacità. La Corte, in un passaggio della pronuncia, afferma che «la pur nutrita serie di argomentazioni articolate dal Miur, incentrata essenzialmente sulla ricchezza delle esperienze professionali maturate dall’incaricanda all’interno dell’ufficio scolastico della Toscana, non dà evidenza di quell’elemento di aggiuntività rispetto alle funzioni istituzionali». La Corte non contesta la sussistenza delle «particolari esperienze e competenze possedute dalla candidata» ma sostiene che «non figurano tra gli obiettivi connessi all’incarico», e che il profilo professionale del quale l’amministrazione ha necessità «coincide con le qualifiche istituzionalmente e ordinariamente presenti nei ruoli». Questa affermazione, da un lato, rende sostanzialmente impossibile il verificarsi dei presupposti per l’affidamento di incarichi esterni; dall’altro lato, sembra incidere pesantemente non sulla legittimità ma sul merito della valutazione compiuta dall’amministrazione. Appare contraddittorio che la Corte, dopo aver accertato le «particolari esperienze e competenze possedute dalla candidata» e richiesto un «elemento di aggiuntività rispetto alle funzioni istituzionali», poi rimproveri che le «particolari esperienze e competenze possedute dalla candidata» esulino dagli obiettivi connessi all’incarico, che solo l’Amministrazione può stabilire. La risalente giurisprudenza della Corte ha sempre affermato che il sindacato di legittimità si estenda non solo alla violazione di legge e all’incompetenza ma anche all’eccesso di potere (Sezione di controllo sullo Stato, deliberazione n. 1 del 1° giugno 1953). Tuttavia, nel caso di specie, non sembra che la Corte rilevi figure sintomatiche dell’eccesso di potere. In realtà, la sussistenza della «particolare e comprovata qualificazione professionale» difficilmente può essere oggetto del giudizio di legittimità, trattandosi di un complesso di capacità e competenze note all’interno dell’«amministrazione e appartenenti alla discrezionalità del merito della scelta, cioè ad una prerogativa valutativa tipicamente propria dell’amministrazione attiva, chiamata a garantire il buon andamento della propria azione».

 

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