22/11/2019 – Urbanistica. Nozione di volume tecnico

Urbanistica. Nozione di volume tecnico
Pubblicato: 21 Novembre 2019
Consiglio di Stato Sez. II n. 7289 del  25 ottobre 2019

La nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa. I volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza

Pubblicato il 25/10/2019

N. 07289/2019REG.PROV.COLL.

N. 04876/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4876 del 2011, proposto dalla

signora Margherita Gionti, rappresentata e difesa dagli avvocati Pasquale Barbato e Laura De Pace, con domicilio eletto presso l’avv. Vincenzo Perri in Roma, viale delle Milizie, 48;

contro

signore Caterina Rosato, Angelina Tartaglione, Palma Tartaglione, rappresentate e difese dagli avvocati Salvatore Castiello e Nadia Riello con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto in Roma via Achille Capizzano 12 presso l’avv. Carola Tartaglione.

nei confronti

Comune di Marcianise non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (Sezione Sesta) n. 546/2011, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del permesso di costruire rilasciato alla signora Margherita Gionti con provvedimento del 30 maggio 2006

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 settembre 2019 il Cons. Cecilia Altavista e uditi per le parti l’avvocato Pasquale Barbato e l’avv. Eugenio Scrocca su delega dell’avv. Salvatore Castiello;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

La signora Margherita Gionti ha appellato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania – sede di Napoli, n. 546 del 2011, che ha annullato il permesso di costruire a lei rilasciato il 30 maggio 2006 per “ristrutturazione ed adeguamento igienico-funzionale” di un fabbricato adibito ad abitazione in via Trento n. 23 in zona B2 in base al PRG del Comune di Marcianise, impugnato dalle signore Caterina Rosato e Angelina e Palma Tartaglione.

Con il ricorso di primo grado era stato dedotto che gli interventi oggetto del permesso di costruire di ristrutturazione con demolizione e ricostruzione consistevano in realtà in un intervento di nuova costruzione essendo prevista la ricostruzione senza rispettare la identità di sagoma e di volume del fabbricato preesistente, la violazione delle distanze rispetto al confine della loro proprietà e che la nuova costruzione non era ammessa dalle disposizione del PRG vigente; era stato chiesto, altresì, il risarcimento danni.

Nel corso del giudizio di primo grado è stata effettuata una verificazione da cui è emersa la difformità della sagoma e del volume indicati nel progetto rispetto alla sagoma e al volume originari.

Sulla base delle risultanze delle verificazione la sentenza di primo ha accolto il ricorso ritenendo accertata la modifica della sagoma e del volume, anche considerata la destinazione residenziale del sottotetto, nonché la violazione delle distanze dal confine della proprietà di parte ricorrente; ha respinto il motivo di ricorso relativo alla violazione delle NTA del PRG e la domanda di risarcimento danni in quanto formulata genericamente.

Sono stati formulati i seguenti motivi di appello:

-errata interpretazione del concetto di ristrutturazione edilizia, con cui si contesta che la fattispecie della ristrutturazione edilizia sia limitata al rispetto della identica sagoma e volumetria dell’edificio preesistente; inoltre nel calcolo della volumetria dell’edificio preesistente non erano stati considerati i volumi tecnici, quali scale e sottotetto;

-travisamento degli atti ed errata considerazione del sottotetto come volume residenziale,

con cui si contesta la natura residenziale del sottotetto, essendo considerati i sottotetti un volume tecnico dalle NTA del PRG del Comune di Marcianise e avendo nel caso di specie altezza inferiore ai metri 2,40;

-errata interpretazione dei regolamenti comunali sulle distanze dai confini, mentre le normativa urbanistica vigente prevederebbe la costruzione sul confine in caso di lotto confinanti non edificati o edificati sul confine.

Si sono costituite nel presente giudizio le appellate contestando la fondatezza dell’appello.

All’udienza pubblica del 17 settembre 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

L’appello è infondato.

Con il primo motivo si sostiene l’errore del giudice di primo grado rispetto alla qualificazione della ristrutturazione, deducendo che la fattispecie della ristrutturazione edilizia non possa ritenersi limitata alla demolizione e ricostruzione con assoluto rispetto della sagoma e del volume preesistenti, non essendo più contenuto nell’art. 3 del D.P.R. 380 del 2001 il riferimento alla “fedele ricostruzione”; inoltre, ad avviso della parte appellante, la volumetria originaria era stata calcolata con esclusione del sottotetto qualificato dalle NTA come volume tecnico.

Tale motivo di appello non è suscettibile di accoglimento.

Ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, nel testo vigente al momento di rilascio del permesso di costruire impugnato in primo grado, gli “interventi di ristrutturazione edilizia”, erano definiti “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.

Il testo previgente modificato dal d.lgs. 27 dicembre 2002 n. 301 prevedeva nella ristrutturazione edilizia la “successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente”.

Già in base a tale dato testuale delle disposizioni riportate la ricostruzione difensiva non può essere condivisa, in quanto la eliminazione operata dal d.lgs. 301 del 2002 riguarda “l’area di sedime” e “le caratteristiche dei materiali”, essendo invece confermato il rispetto sia della sagoma che del volume, mentre il rispetto della sagoma è stato eliminato solo successivamente con il d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito dalla l. 9 agosto 2013, n. 98.

La giurisprudenza ha chiarito, con riguardo alla disciplina normativa vigente tra il 2003 e il 2013, che il concetto di ristrutturazione edilizia comprende la demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma, nel senso che oltre al volume debbano essere rispettate le linee essenziali della sagoma. Per effetto della normativa introdotta dall’art. 1 del d. lgs. 27 dicembre 2002, n. 301, applicabile alla fattispecie, il vincolo della fedele ricostruzione è venuto meno, così estendendosi ulteriormente il concetto della ristrutturazione edilizia, che, per quanto riguarda gli interventi di ricostruzione e demolizione ad essa riconducibili, resta distinta dall’intervento di nuova costruzione per la necessità che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al fabbricato demolito (Cons. Stato Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4462). In particolare, è stato affermato che, se anche dall’art. 3 è stato espunto il riferimento alla “fedele ricostruzione”, occorre però considerare con rigore i criteri della medesima volumetria e sagoma, in virtù della modifica dell’istituto. Se quindi con la modifica introdotta dal d.lgs. n. 301 del 2002 la nozione di ristrutturazione è stata ulteriormente estesa, al fine di conservare una logica normativa è necessaria una interpretazione rigorosa e restrittiva del mantenimento della sagoma precedente. Proprio perché non vi è più il limite della “fedele ricostruzione” per la ristrutturazione si richiede la conservazione delle caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente nel senso che debbono essere presenti le linee fondamentali per sagoma e volumi. Anche escludendo il superato criterio della fedele ricostruzione, esigenze di interpretazione logico sistematica della nuova normativa inducono a ritenere che la ristrutturazione edilizia, per essere tale e non finire per coincidere con la nuova costruzione, debba conservare le caratteristiche fondamentali dell’edificio preesistente e la successiva ricostruzione dell’edificio debba riprodurre le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi (Cons. Stato Sez. IV, 9 agosto 2018, n. 4880; id. 30 maggio 2013 n. 2972).

Rispetto alla definizione contenuta nell’art. 3, non viene poi considerata in contraddizione la previsione dell’art. 10 comma 1 lettera c) del D.P.R. 380 del 2001, che richiede il permesso di costruire per “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso” ( testo vigente al 30 maggio 2006, data di rilascio del permesso di costruire impugnato).

Infatti, sulla base di tale differente disciplina la giurisprudenza ha individuato due ipotesi di ristrutturazione edilizia: la ristrutturazione edilizia cd. “conservativa”, che può comportare anche l’inserimento di nuovi volumi o modifica della sagoma; la ristrutturazione edilizia cd. “ricostruttiva”, attuata mediante demolizione, anche parziale, e ricostruzione, che deve rispettare il volume e la sagoma dell’edificio preesistente, con la conseguenza che, in difetto, viene a configurarsi una nuova costruzione.

Tra la norma, che definisce la ristrutturazione edilizia, e quella relativa agli interventi soggetti a concessione edilizia, non vi è contraddizione, poiché il legislatore nazionale – a fronte delle due tipologie di ristrutturazione edilizia – non ha affatto escluso che quest’ultima possa comportare anche modifiche di volume o di sagoma, ma ha escluso che possano aversi queste ultime modifiche nel caso di ristrutturazione caratterizzata da demolizione e successiva ricostruzione del fabbricato, in cui è richiesta la ricostruzione di un fabbricato identico per sagoma e volume (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 20 aprile 2017, n. 1847; id. 2 febbraio 2017, n. 443).

In base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente – intesa quest’ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale – configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia (Cons. Stato, sez. IV, 7 aprile 2015 n. 1763);

Applicando tali consolidati orientamenti giurisprudenziali, si deve ritenere che, nel caso di specie siano stati superati i limiti della ristrutturazione edilizia tramite demolizione e ricostruzione del fabbricato.

Risulta chiaramente già dagli elaborati progettuali allegati al permesso di costruire la realizzazione di un organismo edilizio diverso per volumetria e sagoma rispetto a quello preesistente.

Infatti, al posto di un edificio di due piani fuori terra con un’altezza nei diversi punti di 6.80 metri e di 7.40 metri più il sottotetto, è stata assentita la realizzazione di un edificio di tre piani di altezza complessiva di 10,20 metri, comprensivo del sottotetto.

Inoltre, il verificatore nominato nel giudizio di primo grado ha dato espressamente atto nella relazione di un aumento della sagoma in orizzontale di circa il 46%

Con riferimento alla volumetria il verificatore ha considerato il sottotetto, di complessivi 350,15 metri cubi, pur avendo un altezza inferiore ai metri 2,40, un volume residenziale essendo munito di finestre e balconi.

Ritiene il Collegio che sulla base di tali risultanze di fatto correttamente il giudice di primo grado abbia ravvisato una nuova costruzione, facendo anche riferimento alle NTA del PRG che ammettono nella zona B gli interventi di ristrutturazione e di sostituzione edilizia a parità di volume ed altezza, disposizione palesemente non rispettata nel caso di specie, essendo stata mutata l’altezza dell’edificio.

Inoltre la realizzazione del piano, qualificato come sottotetto nel progetto, con finestre e una balconata lungo la facciata dell’edificio comporta anch’essa la modifica della sagoma dell’edificio, ricostruito nella sostanza con l’innalzamento di un piano.

L’evidente mutamento della sagoma dell’edificio comporta la irrilevanza, quindi, delle deduzioni della difesa appellante circa il calcolo del volume preesistente da cui nel progetto era stato sottratto il precedente volume tecnico del sottotetto e le contestazioni circa la natura di volume tecnico del sottotetto, senza considerare che nel progetto approvato è previsto un volume complessivo di 146,81 metri cubi (rispetto ai precedenti 168,95), ma con un totale di volumi tecnici per 685 metri cubi, di cui 350,15 metri cubi di sottotetto.

Con l’ulteriore motivo di appello si contesta, infatti, la considerazione del volume del sottotetto come volume residenziale da parte del giudice di primo grado, sostenendo che correttamente è stato qualificato dal Comune come volume tecnico, in base alle norme di attuazione del PRG che considerano i sottotetti come volumi tecnici se di altezza inferiore ai 2,40 di altezza e comunque tale limite sarebbe previsto anche dalla legge regionale n. 15 del 2000 per la trasformazione dei sottotetti.

Una tale interpretazione non può essere accolta.

In primo luogo, la norma tecnica di attuazione prevede che dal volume lordo fuori terra “possano” essere dedotti i volumi tecnici, tra cui i volumi delle coperture a tetto se di altezza non superiore a metri 2,50 ed altezza minima non superiore a metri 2,00.

Tale norma deve essere, quindi, applicata conformemente alla costante giurisprudenza di questo Consiglio, per cui la nozione di volume tecnico corrisponde a un’opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa (Cons. Stato Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2336; Sez. IV 31 agosto 2016, n. 3724). I volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell’altezza e delle distanze ragguagliate all’altezza (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 marzo 2019, n. 2101).

Anche la giurisprudenza della Cassazione penale ha più volte affermato che sono volumi tecnici quelli strettamente necessari a contenere ed a consentire la sistemazione di quelle parti degli impianti tecnici, aventi un rapporto di strumentalità necessaria con l’utilizzo della costruzione (serbatoi idrici, extra-corsa degli ascensori, vani di espansione dell’impianto termico, canne fumarie e di ventilazione, vano scala al di sopra della linea di gronda età), che non possono, per esigenze tecniche di funzionalità degli impianti stessi, trovare allocazione entro il corpo dell’edificio realizzabile nei limiti imposti dalle norme urbanistiche; si è anche specificato che per l’identificazione della nozione di “volume tecnico”, assumono valore tre ordini di parametri, il primo, positivo, di tipo funzionale, relativo al rapporto di strumentalità necessaria del manufatto con l’utilizzo della costruzione alla quale si connette; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all’impossibilità di soluzioni progettuali diverse, nel senso che tali costruzioni non devono potere essere ubicate all’interno della parte abitativa, e dall’altro lato ad un rapporto di necessaria proporzionalità tra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti (Cass. pen, Sez. III, 17 novembre 2010, n. 7217; id, 27 maggio 2016, n. 22255).

Inoltre, ai sensi della legge regionale, 28 novembre 2000, n. 15, art. 3 comma 1 lettera c), è ammesso il recupero abitativo del sottotetto, quando “l’altezza media interna, calcolata dividendo il volume interno lordo per la superficie interna lorda”, non sia inferiore a metri 2,20. “In caso di soffitto non orizzontale, fermo restando le predette altezze medie, l’altezza della parete minima non può essere inferiore a metri 1,40”.

Nel caso di specie, l’altezza del sottotetto è indicata in progetto tra i metri 2 e i metri 2,50, con evidente possibilità di un successivo recupero, in base alla legge n.15 del 2000.

Ne deriva che in alcun modo il volume del sottotetto, inoltre di 300 metri cubi complessivi, di gran lunga superiore al volume del resto dell’edificio, avrebbe potuto essere calcolato come volume tecnico, ai fini rispetto della identità di sagoma e di volume richiesto per la ristrutturazione edilizia.

Trattandosi di intervento di nuova costruzione, per la costante giurisprudenza di questo Consiglio, era, dunque, soggetto ai limiti delle distanze tra gli edifici (Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2013 n. 2972; 12 febbraio 2013 n. 844).

Con il terzo motivo di appello, peraltro, si sostiene che non sussisterebbe la violazione delle distanze ravvisata dal giudice di primo grado, in quanto le NTA del PRG del Comune di Marcianise per la zona B consentirebbero la costruzione sul confine di proprietà in caso di lotti circostanti edificati sul confine o non edificati; ciò avrebbe consentito il superamento della distanza minima di 5 metri, in quanto fino all’altezza dell’edificio confinante sarebbe stata applicabile la prima parte disposizione, per la parte del sottotetto sarebbe stata applicabile la parte della norma di attuazione relativi ai fondi non edificati.

Tale interpretazione non può trovare accoglimento.

E’ infatti evidente che l’unica interpretazione consentita da tale norma tecnica è quella seguita dal giudice di primo grado, per cui nel caso di specie la distanza inferiore ai 5 metri è ammessa solo fino all’altezza dell’edificio confinante; per il resto l’edificio è realizzato in violazione delle distanze, potendo il riferimento a lotti inedificati contenuto nella detta norma di attuazione essere riferita solo ad un lotto integralmente non edificato, non alla inedificazione della parte sovrastante un edificio. Per costante giurisprudenza, infatti, ai fini dell’applicazione della normativa codicistica e regolamentare in materia di distanze tra edifici, per nuova costruzione si deve intendere non solo la realizzazione ex novo di un fabbricato ma anche qualsiasi modificazione nella volumetria di un fabbricato precedente che ne comporti l’aumento della sagoma d’ingombro, direttamente incidendo sulla situazione degli spazi tra gli edifici esistenti, e ciò anche indipendentemente dalla realizzazione o meno di una maggiore volumetria e/o dall’utilizzabilità della stessa a fini abitativi ; in particolare la sopraelevazione deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante (cfr. Cons. Stato Sez. IV, 28 novembre 2018, n. 6738).

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto.

Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 3000,00 (tremila,00) oltre accessori di legge seguono la soccombenza e devono essere pertanto poste a carico della parte appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio, liquidate in complessive euro 3000,00 (tremila,00) oltre accessori di legge, in favore della parte privata appellata e costituita.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:

Fabio Taormina, Presidente

Italo Volpe, Consigliere

Francesco Frigida, Consigliere

Antonella Manzione, Consigliere

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

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