Dal sito luigioliveri.blogspot.it

  II parere del Dait è davvero poco meditato e fondato e, di conseguenza, da considerare erroneo e non condivisibile.

 

Chi ha risposto al quesito non ha chiaro che si tratta di una prestazione professionale. A rigore, se il mondo fosse normale, il tutto andrebbe attratto dal codice dei contratti; il vocabolario comune per gli appalti pubblici contempla la CPV 79212500-8 – Servizi di revisione dei conti.

L’ordinamento locale, invece, prevede una disciplina ellittica, incompatibile con la qualificazione della revisione alla stregua di servizio regolato dal d.lgs 50/2016. Si dà vita ad una procedura speciale, con estrazione a sorte da un registro nazionale.

Se il sistema di individuazione dei revisori è fortemente estraneo alle regole della contrattualistica pubblica, in ogni caso non cambia la sostanza del rapporto tra revisore ed ente locale: si tratta comunque di una prestazione d’opera intellettuale.

Pertanto, la fonte di tale rapporto, che è di lavoro autonomo, non può in nessun caso essere direttamente la deliberazione consiliare di “nomina”.

La deliberazione non costituisce il rapporto, poichè anche se si parla di un “organo”, comunque la relazione tra ente e revisore è lavorativa e contrattuale. Del resto, lo stesso Dait in precedente parere lo conferma: “L’Organo di revisione economico-finanziario, ai sensi dell’articolo 234 e seguenti del Testo Unico, approvato con decreto legislativo n.267 del 2000, è un organo con funzioni di controllo, di vigilanza e di collaborazione con l’organo consiliare che lo nomina e il suo mandato non può essere equiparato a quello amministrativo relativo a cariche politiche elettive”.

Ed è la Corte dei conti, Sezione Autonomie, parere 14/SEZAUT/2019/QMIG ad evidenziare bene che la funzione dei revisori è un rapporto di lavoro autonomo: “è stato, tuttavia, evidenziato come siffatta regolazione della autonomia negoziale delle parti non snaturi il carattere convenzionale del rapporto che si instaura tra il revisore e l’ente conferente, né incida sull’assetto privatistico dello stesso che non può ritenersi intaccato neanche dalle modalità di scelta del revisore di cui all’art. 16, comma 25, del d.l. n. 138/2011, modalità che sono piuttosto volte a garantire la professionalità e l’indipendenza necessarie per l’esercizio delle funzioni di controllo: di qui l’applicabilità dell’art. 2233 del codice civile che, nei rapporti di opera intellettuale, pone un criterio generale di adeguatezza del compenso all’importanza dell’opera ed al decoro della professione, da cui l’ente non potrà prescindere nell’ambito delle valutazioni allo stesso demandate”.

Pertanto, il rapporto tra revisore ed ente si costituisce esclusivamente con la sottoscrizione del contratto di lavoro autonomo, nel rispetto della disciplina del codice civile.

La deliberazione consiliare resta, come sempre, atto a valenza esclusivamente interna, che vincola l’ente a contrattare col revisore scelto.

E’ vero: l’articolo 235, comma 1, del Tuel dispone che “L’organo di revisione contabile dura in carica tre anni a decorrere dalla data di esecutività della delibera o dalla data di immediata eseguibilità nell’ipotesi di cui all’articolo 134, comma 3”.

Ma, la decorrenza di cui qui si parla non è quella della costituzione del rapporto, discendente necessariamente solo dalla sottoscrizione del contratto, bensì è semplicemente il dies a quo del lasso di tempo di 3 anni di durata del mandato, il cui termine, quindi, non è tre anni a partire dalla sottoscrizione – necessaria – del contratto, ma a partire dalla delibera. Di conseguenza, gli enti debbono essere molto solerti nel far seguire con ogni ragionevole tempestività alla delibera la sottoscrizione del contratto.

In conclusione, il parere del Ministero dell’interno circa la decorrenza dell’incarico è da considerare del tutto fuorviante e da rigettare

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