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Se il pubblico dipendente usa il fax dell’ufficio per scopo personale, è abuso d’ufficio
di Angelo Costa – Cultore della materia in Giustizia Amministrativa presso Università della Calabria – giornalista pubblicista – docente

 

Sarà classificabile come abuso d’ufficio quella fattispecie nella quale il pubblico dipendente usi indebitamente un bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto (nel caso specifico, Tizio, dipendente pubblico, aveva utilizzato per diverso tempo il fax dell’ufficio per ricevere e trasmettere documenti ed atti, consegnatigli dai clienti proprio all’interno dell’ufficio, alla società Caia con la quale collaborava).

Lo hanno affermato i giudici della Corte di Cassazione con un recente Sent. 30 maggio 2016, n. 22800.

Il caso sottoposto agli Ermellini vedeva la Corte di appello confermare la sentenza emessa dal Tribunale nei confronti di Tizio, ritenuto colpevole del delitto di peculato continuato e condannato alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione con i doppi benefici.

Nel giudizio di merito si era accertato che il Tizio, pubblico dipendente, aveva utilizzato in 13 occasioni il fax dell’ufficio per trasmettere documentazione relativa a pratiche infortunistiche alla società Caia con la quale collaborava: la circostanza, confermata da testimoni, era stata ammessa dallo stesso imputato, che, in altre occasioni, aveva utilizzato anche la fotocopiatrice dell’ufficio per finalità estranee all’attività istituzionale.

Ritenuto che l’utilizzo di strumentazione pubblica per fini privati integra il peculato, la Corte di appello aveva escluso la possibilità di ravvisare nel caso di specie il peculato d’uso, come prospettato dalla difesa dell’imputato, in quanto le energie utilizzate non potevano essere restituite; aveva anche escluso la configurabilità dell’ipotesi lieve di cui all’art. 323 bis c.p., in quanto il modesto valore economico dei beni aveva giustificato il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, c.p., mentre la valutazione globale del fatto non consentiva di riconoscerne un disvalore minimo.

Avverso la sentenza proponeva ricorso il difensore dell’imputato, che ne chiedeva l’annullamento.

Secondo i giudici di piazza Cavour occorre premettere che in tema di peculato l’appropriazione si realizza con l’inversione del titolo del possesso da parte del pubblico agente, che si comporta, oggettivamente e soggettivamente uti dominus nei confronti della cosa posseduta in ragione dell’ufficio, che conseguentemente viene estromessa totalmente dal patrimonio dell’avente diritto, nel caso in esame non era ravvisabile il peculato, mancando la definitiva perdita del bene da parte della pubblica amministrazione, in quanto sia sul piano oggettivo che soggettivo è emerso che l’imputato aveva solo fatto un uso indebito del fax dell’ufficio, distogliendolo temporaneamente dalla sua destinazione originaria per fini personali.

Un precedente giurisprudenziale (Sez. Unite, Sent. n. 19054 del 2013) aveva già affermato che «in caso di utilizzo del telefono d’ufficio non sono oggetto di appropriazione definitiva né il bene materiale né l’energia elettrica, necessaria ad attivare le onde elettromagnetiche, che viene in rilievo quale entità di consumo inscindibilmente legata al funzionamento dell’apparecchio e, pertanto, non può costituire l’oggetto diretto, specifico ed autonomo della condotta dell’agente, né il costo che la pubblica amministrazione sopporta per l’utilizzo indebito del bene, trattandosi di una conseguenza della condotta dell’agente infedele, il quale non ha il previo possesso delle somme corrispondenti all’onere economico che la pubblica amministrazione sostiene per effetto della sua condotta».

Nel caso in esame Tizio utilizzava in modo programmaticamente momentaneo il fax dell’ufficio per scopi privati e l’abuso del possesso del bene della pubblica amministrazione non si era tradotto nella stabile inversione in dominio, in quanto, dopo l’uso arbitrario, il bene era stato restituito alla sua destinazione pubblicistica originaria, nella fattispecie non solo andava, quindi, esclusa la configurabilità del peculato ma anche del peculato d’uso per mancanza di concreta offensività del fatto.

I giudici della Cassazione hanno, altresì, sottolineato che «per la rilevanza penale del fatto occorre sempre che l’uso indebito produca un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi o una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio, non ravvisabili nella fattispecie in ragione della minima entità del danno cagionato, neppure quantificato.

Tuttavia, diversamente da quanto prospettato dal ricorrente, la condotta non è penalmente irrilevante, residuando l’abuso d’ufficio quale cornice legale nella quale sussumerla».

Infatti mentre nel delitto di peculato la condotta consiste nell’appropriazione di danaro o altra cosa mobile altrui, di cui il responsabile abbia il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio -onde la violazione dei doveri di ufficio costituisce esclusivamente la modalità della condotta, cioè dell’appropriazione- nell’abuso di ufficio -di carattere sussidiario- la condotta si identifica con l’abuso funzionale, cioè con l’esercizio delle potestà e con l’uso dei mezzi inerenti ad una funzione pubblica per finalità differenti da quelle per le quali l’esercizio del potere è concesso, e finalizzate, mediante attività di rilevanza giuridica o comportamenti materiali, a procurare un vantaggio patrimoniale per sé o per altri ovvero ad arrecare ad altri un ingiusto danno.

Si è, altresì, affermato che “Integra il delitto di abuso d’ufficio la condotta del pubblico dipendente di indebito uso del bene che non comporti la perdita dello stesso e la conseguente lesione patrimoniale a danno dell’avente diritto” (Sez. VI, n. 14978 del 13 marzo 2009, Rv. 243311; Sez. VI, 2 aprile 1992 n. 10896, Bronte, Rv. 192873; Sez. VI, 12 dicembre 2000, n. 381, Genchi, Rv. 219086; Sez. VI, 9 aprile 2008 n. 31688, Cannalire, Rv. 240692) ed era indubbio, per come accertato dai giudici di merito, che Tizio avesse reiteratamente utilizzato e per un discreto arco temporale il fax dell’ufficio per ricevere e trasmettere documenti ed atti, consegnatigli dai clienti proprio all’interno dell’ufficio, alla società con la quale collaborava per curare pratiche infortunistiche, destinando l’ufficio a succursale della stessa.

Oggettivo era, quindi, il reiterato indebito utilizzo del fax dell’ufficio, di norma destinato alla ricezione di comunicazioni ed atti urgenti presso il posto pubblico, per scopi meramente privati in consapevole violazione dei doveri di lealtà e correttezza imposti ad un pubblico ufficiale.

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