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Diritto di accesso di un consigliere al sistema informatico comunale.

Oggetto

Diritto di accesso di un consigliere al sistema informatico comunale.

Massima

L’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al protocollo informatico dell’Ente è uno strumento consentito ai consiglieri comunali, finalizzato a favorire la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Peraltro, la determinazione delle modalità organizzative attraverso le quali viene garantito l’accesso ai consiglieri comunali rientra tra le prerogative di esclusiva competenza dell’Amministrazione.

Funzionario istruttore BARBARA RIBIS

barbara.ribis@regione.fvg.it

Parere espresso da Servizio affari istituzionali e locali, consiglio autonomie locali ed elettorale

Testo completo del parere

Il Comune chiede un parere in materia di diritto di accesso spettante ai consiglieri comunali. Più in particolare, premesso che un amministratore locale ha richiesto all’Ente l’accesso, tramite apposita password, al sistema informatico comunale “al fine di acquisire tempestivamente le informazioni necessarie all’espletamento del proprio mandato elettivo”, chiede se la consultazione del protocollo generale comunale debba limitarsi ad una presa visione generale dello stesso eventualmente seguita da una richiesta specifica e mirata di determinati atti/documenti o se tale consultazione già, ab origine, possa comprendere la presa visione di tutti gli atti e documenti allegati, ancorché relativi ad attività endoprocedimentali. 

Il diritto di accesso dei consiglieri comunali è disciplinato all’articolo 43 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, il quale, al comma 2, riconosce a questi il diritto di ottenere dagli uffici comunali, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del loro mandato. 

Si osserva, in via generale, che la giurisprudenza ha costantemente sottolineato che le informazioni acquisibili devono considerare l’esercizio, in tutte le sue potenziali esplicazioni, del munus di cui ciascun consigliere comunale è individualmente investito, in quanto membro del consiglio. Ne deriva che tale munus comprende la possibilità per ogni consigliere di compiere, attraverso la visione dei provvedimenti adottati e l’acquisizione di informazioni, una compiuta valutazione della correttezza e dell’efficacia dell’operato dell’amministrazione comunale, utile non solo per poter esprimere un voto maggiormente consapevole sugli affari di competenza del consiglio, ma anche per promuovere, nell’ambito del consiglio stesso, le varie iniziative consentite dall’ordinamento ai membri di quel collegio[1]. 

Il generale diritto di accesso del consigliere comunale è quindi esercitato riguardo ai dati utili per l’esercizio del mandato e fornisce una veste particolarmente qualificata all’interesse all’accesso del titolare di tale funzione pubblica, legittimandolo all’esame e all’estrazione di copia dei documenti che contengono le predette notizie e informazioni[2]. 

Sul consigliere comunale non può gravare alcun onere di motivare le proprie richieste di informazione, né gli uffici comunali hanno titolo a richiedere le specifiche ragioni sottese all’istanza di accesso, né a compiere alcuna valutazione circa l’effettiva utilità della documentazione richiesta ai fini dell’esercizio del mandato. A tale riguardo il Ministero dell’Interno ha evidenziato che “diversamente opinando, la P.A. assumerebbe il ruolo di arbitro delle forme di esercizio delle potestà pubblicistiche dell’organo deputato all’individuazione ed al perseguimento dei fini collettivi. Conseguentemente, gli uffici comunali non hanno il potere di sindacare il nesso intercorrente tra l’oggetto delle richieste di informazioni avanzate da un Consigliere comunale e le modalità di esercizio del munus da questi espletato”[3]. 

Il diritto di accesso spettante agli amministratori locali, pur essendo più ampio di quello riconosciuto alla generalità dei cittadini ai sensi del Capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, incontra il divieto di usare i documenti per fini privati o comunque diversi da quelli istituzionali, in quanto i dati acquisiti in virtù della carica ricoperta devono essere utilizzati esclusivamente per le finalità collegate all’esercizio del mandato (presentazione di mozioni, interpellanze, espletamento di attività di controllo politico-amministrativo ecc.). Il diritto di accesso, inoltre, non deve essere emulativo, in quanto riferito ad atti palesemente inutili ai fini dell’espletamento del mandato.[4] Ancora è stato affermato che le richieste di accesso devono essere esercitate con modalità e forme tali da evitare intralci all’ordinario svolgimento dell’attività degli Uffici. Su questa linea la giurisprudenza ha specificato che: “Il consigliere comunale non può abusare del diritto all’informazione riconosciutogli dall’ordinamento, piegandone le alte finalità a scopi meramente emulativi od aggravando eccessivamente, con richieste non contenute entro gli immanenti limiti della proporzionalità e della ragionevolezza, la corretta funzionalità amministrativa dell’ente civico”[5]. 

Con riferimento specifico alla richiesta di accesso al protocollo generale dell’Ente si è espresso il T.A.R. Sardegna[6] affermando che “deve essere accolta la richiesta dei consiglieri comunali di prendere visione del protocollo generale […] senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i Consiglieri comunali sono comunque tenuti al segreto, ai sensi dell’art. 43, comma 2, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267”. 

Anche il Ministero dell’Interno, nell’affrontare questioni analoghe a quella in esame, si è, anche di recente, espresso in termini favorevoli all’accesso rilevando, in particolare, che: “Anche la giurisprudenza ha affermato il diritto del consigliere alla visione del protocollo generale, senza alcuna esclusione di oggetti e notizie riservate e di materie coperte da segreto, posto che i consiglieri comunali sono tenuti al segreto – ai sensi del citato articolo 43 del decreto legislativo n. 267/00”[7]. 

Con specifico riferimento al protocollo informatico comunale la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi nel parere del 22 febbraio 2011 ha rilevato che “ai sensi della vigente normativa […] ogni comune deve provvedere a realizzare il protocollo informatico, al quale possono poi liberamente accedere i consiglieri comunali, i quali pertanto – tramite tale protocollo – possono prendere visione di tutte le determinazioni e le delibere adottate dall’ente; ciò in ottemperanza al principio generale di economicità dell’azione amministrativa, che riduce allo stretto necessario la redazione in forma cartacea dei documenti amministrativi”[8]. 

Le conclusioni di cui sopra sono state fatte proprie anche dal Ministero dell’interno[9] il quale, investito della questione del diritto di accesso al sistema informativo comunale da parte dei consiglieri ha richiamato le determinazioni della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi tra cui quella secondo cui “l’accesso diretto tramite utilizzo di apposita password al sistema informatico dell’Ente, ove operante, è uno strumento di accesso certamente consentito al consigliere comunale che favorirebbe la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa. Ovviamente il consigliere comunale rimane responsabile della segretezza della password di cui è stato messo a conoscenza a tali fini (art. 43, comma 2, T.UOEL)”[10]. 

Preme, tuttavia, osservare che l’accesso come sopra configurato consentirebbe ai consiglieri di conoscere una moltitudine di dati personali e di informazioni anche aventi natura riservata e/o relative a determinate situazioni che esigono una dovuta tutela al fine di scongiurare una diffusione incontrollata di dati sensibili o comunque, la cui conoscenza, potrebbe essere fonte di disagio sociale[11]. 

Come rilevato dall’Anci, “l’accesso diretto non può, però, essere esteso alla consultazione dei singoli atti anche per la presenza nei registri del protocollo di atti soggetti al segreto istruttorio o di atti personali o riservati la cui visione è un diritto del consigliere, comunque soggetta a valutazione da parte dell’amministrazione”[12]. 

In altri termini si potrebbe affermare che, ferme le considerazioni sopra espresse circa l’ampiezza del diritto di accesso spettante ai consiglieri comunali, occorrerebbe altresì considerare che “la determinazione delle modalità organizzative attraverso le quali viene garantito l’accesso ai Consiglieri comunali rientra tra le prerogative di esclusiva competenza dell’Amministrazione che dovranno evitare sia surrettizie limitazioni del diritto di accesso che aggravi ingiustificati al buon funzionamento dell’amministrazione”[13]. 

In questa direzione pare muoversi la recente sentenza del T.A.R. Sardegna[14] la quale, pur riconoscendo il diritto dei consiglieri comunali all’ottenimento delle chiavi di accesso al protocollo informatico dell’Ente, ha limitato tale diritto alla visione dei soli dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica. Afferma, in particolare, detto T.A.R. che “la richiesta di accedere al protocollo informatico, e quindi di essere in possesso delle chiavi di accesso telematico rappresenta una condizione preliminare, ma nondimeno necessaria, per l’esercizio consapevole del diritto di accesso, in modo che questo si svolga non attraverso una apprensione generalizzata e indiscriminata degli atti dell’amministrazione comunale […] ma mediante una selezione degli oggetti degli atti di cui si chiede l’esibizione. Peraltro, una delle modalità essenziali per poter operare in tal senso è rappresentata proprio dalla possibilità di accedere (non direttamente al contenuto della documentazione in arrivo o in uscita dall’amministrazione, ma) ai dati di sintesi ricavabili dalla consultazione telematica del protocollo”. 

Quanto, infine, all’accessibilità anche degli atti endoprocedimentali il Ministero dell’Interno ha rilevato che «salvo espressa eccezione di legge, ai consiglieri comunali non può essere opposto alcun divieto, determinandosi altrimenti un illegittimo ostacolo alla loro funzione visto, peraltro che ai sensi dell’art. 22, c. 1, lett. d), della legge n. 241/90 anche gli atti interni rientrano nel concetto di “documento amministrativo”, indipendentemente dalla loro eventuale idoneità probatoria»[15]. 

Riconosciuto, pertanto, il diritto di accesso dei consiglieri comunali nell’accezione sopra descritta, il Ministero dell’Interno ha ribadito, in varie occasioni, che “Fatto salvo il diritto dei consiglieri, la materia, comunque, dovrebbe trovare apposita disciplina regolamentare di dettaglio per il suo esercizio”[16]. 

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[1] Si veda, tra le altre, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 29 agosto 2011, n. 4829. 

[2] Cfr. Consiglio di Stato, sez. V, decisioni 21 febbraio 1994, n. 119, 8 settembre 1994, n. 976, 26 settembre 2000, n. 5109, che precisano che la facoltà di esaminare ed estrarre copia dei documenti spetta “a qualunque cittadino che vanti un proprio interesse qualificato e sono, a maggior ragione, contenute nella più ampia e qualificata posizione di pretesa all’informazione spettante ratione officii al consigliere comunale”. Tale principio è stato successivamente ripreso e confermato dal T.A.R. Piemonte, sezione II, nella sentenza del 31 luglio 2009, n. 5879. 

[3] Ministero dell’Interno, parere del 18 maggio 2017. 

[4] Tra le altre, T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sentenza del 23 settembre 2014, n. 2363. 

[5] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, sentenza del 13 novembre 2012, n. 2040. 

[6] T.A.R. Sardegna, sez. II, sentenza del 12 gennaio 2007, n. 29. 

[7] Ministero dell’Interno, parere del 28 giugno 2018. Nello stesso senso si veda, anche, il parere del Ministero dell’Interno del 21 agosto 2018. 

[8] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, plenum del 22 febbraio 2011. La medesima Commissione in altra occasione (plenum del 23 ottobre 2012) ha affermato che: “Proprio al fine di evitare che le continue richieste di accesso si trasformino in un aggravio della ordinaria attività amministrativa dell’ente locale, questa Commissione ha riconosciuto la possibilità per il consigliere comunale di avere accesso diretto al sistema informatico interno (anche contabile) dell’ente attraverso l’uso di password di servizio (fra gli ultimi, cfr. parere del 29.11.2009) e, più recentemente, anche al protocollo informatico”. Si veda, altresì, il parere espresso dalla medesima Commissione del 3 febbraio 2009 ove si afferma che: “Il ricorso a supporti magnetici o l’accesso diretto al sistema informatico interno dell’Ente, ove operante, sono strumenti di accesso certamente consentiti al consigliere comunale che favorirebbero la tempestiva acquisizione delle informazioni richieste senza aggravare l’ordinaria attività amministrativa”. 

[9] Ministero dell’Interno, parere del 18 maggio 2017. 

[10] Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, seduta plenaria del 16 marzo 2010. 

[11] Osservazioni tratte da M. Lucca, “L’accesso al protocollo da parte del consigliere comunale”, reperibile sul seguente sito internet: www.mauriziolucca.com 

[12] ANCI, parere del 19 giugno 2018. 

[13] ANCI, parere del 19 giugno 2018, citato anche in nota 12. 

[14] T.A.R. Sardegna, Cagliari, sentenza del 31 maggio 2018, n. 531. Nello stesso senso si veda, anche, T.A.R. Toscana, Firenze, sentenza del 22 dicembre 2016, n. 1844. 

[15] Ministero dell’Interno, parere del 18 maggio 2017. 

[16] Tra gli altri si veda Ministero dell’Interno parere del 28 giugno 2018.

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