Non è così in Italia
In Svezia “trasparenza totale” per battere la corruzione
di Salvatore Sfrecola
“Trasparenza totale” è la ricetta adottata nel Regno di Svezia per battere la corruzione. Lo ha riferito Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), che, intervenendo ad un Convegno sui “Valori morali ed etica pubblica: presupposti per il perseguimento del bene pubblico in una società solidale”organizzato dal Gruppo di Presenza Cattolica della Corte dei conti, in un dialogo con il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio per la cultura, ha richiamato quanto gli aveva detto di recente il ministro della funzione pubblica di quello stato lassù, in cima all’Europa, in testa ai paesi più virtuosi secondoTransparency International, l’Istituto che rileva la percezione della corruzione, una realtà molto lontana da quella che relega l’Italia in coda alla medesima statistica.
Chissà che effetto avrà fatto quella regola svedese risuonata nell’Aula delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, laddove i magistrati contabili ripetutamente denunciano l’opacità delle pubbliche amministrazioni, vizio antico del potere arrogante, ostile ad assoggettarsi al controllo di legalità. Anche in tema di accesso agli atti sempre riguardato dal destinatario della relativa istanza come un atto di lesa maestà, cui si aderisce spesso con fastidio, cercando di ritardare il più possibile la consegna degli atti, perché intuitivamente destinati all’esercizio della tutela giurisdizionale in presenza di un provvedimento ritenuto lesivo di diritti.
Anche da noi, infatti, la legge n. 190 del 2012 prevede la trasparenza amministrativa quale strumento di prevenzione della corruzione, come attesta sui siti delle amministrazioni e degli enti la pagina “amministrazione trasparente” dove spesso si rilevano significative omissioni.
“Trasparenza vo cercando”, si potrebbe dire a leggere oggi Il Fatto Quotidiano che si sofferma, in uno scritto di Thomas Mackinson, sul testo dell’ultimo decreto sulla trasparenza, firmato Madia, nel quale l’attento giornalista rileva un neo non di poco conto, che esenta dalla pubblicazione gli atti relativi agli incarichi conferiti dalle pubbliche amministrazioni a titolo gratuito, “ivi inclusi quelli conferiti discrezionalmente dall’organo di indirizzo politico senza procedure pubbliche di selezione”. Letta superficialmente, come il potere vorrebbe che facessero gli italiani, la norma sembra neutrale, quasi logica. Il consulente scelto “discrezionalmente”, cioè senza riferimento a requisiti di professionalità (titolo di studio, esperienze pregresse), non è pagato a carico del bilancio dello Stato, quindi perché preoccuparsi del suocurriculum professionale e personale? Sennonché altro è l’interesse pubblico. In primo luogo il consulente che assiste e consiglia il politico di fatto si inserisce in procedimenti amministrativi diretti all’adozione di scelte dell’Amministrazione per cui ha un ruolo è rilevante in ragione del quale, in assenza della pubblicazione dei dati personali, potrebbe non rilevarsi una sua situazione di incompatibilità o di conflitto di interessi per attività pregresse o coesistenti. Inoltre è poco credibile che un professionista si impegni in un lavoro senza retribuzione. È evidente che, proprio in ragione della sua collaborazione gratuita con un “organo di indirizzo politico”, sarà compensato, come insegna l’esperienza di chi conosce la storia delle pubbliche amministrazioni, con “altra utilità” (un’espressione che significativamente il legislatore identifica all’art. 318, c.p. quale compenso per la corruzione) con altri incarichi per i quali la consulenza “gratuita” farà premio su possibili concorrenti in uncontinuum politica-amministrazione che è la negazione stessa della trasparenza. In quanto, come scrive Il Fatto Quotidiano la nuova normativa “fa calare un velo proprio sugli incarichi che, in assenza di un compenso in denaro, meglio si prestano a contropartite poco chiare”.
Del resto la storia del potere in Italia espone un catalogo ricchissimo di utilità conseguite all’ombra del potere. Ma anche di comportamenti virtuosi. Ancora una volta ricordo in proposito la lettera di Quintino Sella, in procinto di diventare Ministro delle finanze del Governo Rattazzi, il quale scrive al nonno per segnalargli che dal giorno del suo giuramento “le imprese di famiglia dovranno ritirarsi dagli appalti pubblici”. Altri tempi, altro stile!
21 maggio 2016
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