La giurisprudenza amministrativa su revoca e pubblicità dei concorsi | |
di Arturo Bianco Le singole amministrazioni possono motivatamente revocare procedure concorsuali già avviate, non sussistendo un diritto dei concorrenti al completamento di tali operazioni. Ovviamente la scelta deve essere adeguatamente motivata. In altra sentenza viene affermato un principio che possiamo ormai considerare come consolidato: anche gli enti locali sono tenuti a pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale i bandi dei concorsi a tempo indeterminato. Sono queste alcune delle più importanti indicazioni dettate di recente dalla giurisprudenza amministrativa. Viene da un lato garantita una ampia sfera di apprezzamento discrezionale alle singole amministrazioni, ma nel contempo esse sono obbligate a rispettare vincoli procedurali che sono tesi a garantire il massimo di pubblicità, ma che non sembrano tenere adeguatamente conto delle novità che sono intervenute a seguito della diffusione dell’uso della telematica, per cui l’inserimento di una informazione nei motori di ricerca determina una diffusione della stessa assai ampia, tanto maggiore di quanto non sia garantito dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. LA REVOCA DEI CONCORSI Le amministrazioni pubbliche possono motivatamente revocare le procedure concorsuali che hanno già indetto, non esistendo un diritto di coloro che hanno presentato domanda al completamento di tali procedure. Sono queste le principali indicazioni contenute nella sentenza della prima sezione del TAR dell’Abruzzo, sede staccata di Pescara, n. 51 del15 febbraio. Siamo in presenza di una sentenza che ribadisce principi già dettati dalla giurisprudenza amministrativa: essa si segnala soprattutto per la chiarezza e nettezza con cui trae le conclusioni prima ricordate. La prima indicazione molto netta è dettata in materia di assenza del diritto al completamento della procedura: costituisce “un principio sovente espresso con riferimento alle procedure di gara, ma valevole per tutte le selezioni pubbliche e quindi anche per i concorsi per merito comparativo per assunzioni nelle pubbliche Amministrazioni (cfr. Tar Catania, sentenza n. 3075 del 2013), quello secondo cui non è riconoscibile in capo al concorrente alcun diritto al completamento della procedura (cfr. Tar Napoli, sentenza n. 5475 del 2013). Seppure si vuol riconoscere in capo al medesimo un posizione di interesse giuridicamente tutelato, tuttavia le decisioni dell’Amministrazione di indire un concorso così come quelle di revocarlo appartengono alla più lata discrezionalità (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 554 del 2013). L’esistenza di una discrezionalità molto ampia ovviamente non vuol dire insindacabilità ma quantomeno comporta un aggravamento dell’onere probatorio della parte che deve addurre specifici, univoci e puntuali elementi tali da evidenziare manifesti elementi di irrazionalità o errore di fatto della scelta operata dall’Amministrazione”. La seconda indicazione è che “la mancata previsione di un indennizzo non è circostanza invalidante del provvedimento di revoca, ma al più il presupposto per azionare la relativa pretesa patrimoniale”. Nella stessa direzione andava la sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato n. 662/2012, in analogia alle indicazioni che si ricavano dai provvedimenti di revoca di bandi di gara, per la quale “il provvedimento di revoca di un concorso pubblico deve essere adeguatamente motivato, in particolare allorché incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro dell’atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate e all’affidamento ingenerato nel destinatario dell’atto da revocare”. Ed inoltre si sottolinea che “dal provvedimento di revoca devono emergere le ragioni, plausibili e concrete, che determinano la suddetta rivalutazione dell’interesse pubblico”. Ed infine “l’indennizzo spettante al soggetto direttamente pregiudicato dalla revoca di un provvedimento va circoscritto al danno emergente”. LA PUBBLICAZIONE SULLA GAZZETTA UFFICIALE Anche gli enti locali devono pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale i bandi di concorso per le assunzioni a tempo indeterminato, sulla base delle previsioni dettate dal D.P.R. n. 487/21994 per le amministrazioni statali. La loro potestà di regolamentazione autonoma di questa materia non si può spingere fino a diminuire il numero dei soggetti che possono potenzialmente venire a conoscenza della procedura. Sono queste le principali indicazioni contenute nella sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 227 del 25 gennaio 2016. La sentenza si collega direttamente alla necessità costituzionale di garantire il massimo di pubblicità, così da consentire la partecipazione del massimo dei soggetti potenzialmente interessati. Leggiamo in primo luogo che “l’obbligo di pubblicazione dei bandi per concorso a pubblico impiego nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – previsto dall’art. 4 del D.P.R. n. 487 del 1994 – costituisce una regola generale attuativa dell’art. 51, primo comma, e dell’art. 97, comma terzo, della Costituzione. Tale regola ha la finalità di consentire la concreta massima conoscibilità della indizione di un concorso pubblico a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro residenza sul territorio dello Stato e non è stata incisa – neanche per incompatibilità – dall’art. 35, comma 3, lett. a), del d.lgs. n. 165-2001, che ha fissato il criterio della adeguata pubblicità in aggiunta e non in sostituzione della regola di carattere generale”. La seconda considerazione è che neppure l’articolo 32 della legge n. 69/2009 ha modificato tale obbligo, che quindi continua a permanere. La terza ed ultima considerazione è che “la mancata pubblicazione del bando di concorso sulla Gazzetta Ufficiale comporta la legittimazione alla sua impugnazione da parte di chi abbia interesse a parteciparvi, senza bisogno ovviamente di proporre la domanda di partecipazione, la cui mancanza è dipesa proprio dalla mancata pubblicazione del bando, in violazione della normativa vigente”. Siamo in presenza di un orientamento consolidato della giurisprudenza amministrativa: basta ricordare la sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato n. 871/2010. Essa ha stabilito che le previsioni del D.Lgs.n. 165/2001 che impongono una pubblicità adeguata sono “norme di dettaglio quindi non possono essere disapplicate delle singole amministrazioni, in quanto conformi alla norma di rango superiore ed allo stesso dettato degli articoli 51 e 97 della Costituzione, che garantiscono il diritto di accesso agli impieghi pubblici di tutti i cittadini su di un piano di parità, esercitabile solo attraverso un sistema di pubblicità che favorisca la massima partecipazione |
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