tratto da leautonomie.it - a cura di Luigi Oliveri

L’inesistente distinzione tra appalto e prestazione d’opera nella normativa sui contratti pubblici

 

Imperversa da anni, da sempre, il problema della distinzione tra contratto di appalto e contratto di prestazione d’opera (an che professionale), come elemento indicatore della possibilità di applicare o meno il codice dei contratti.

Secondo una robusta giurisprudenza e molta parte della dottrina e degli operatori, infatti, vi sarebbe lo spazio per non applicare la disciplina degli appalti pubblici, ma quella del codice civile e, dunque, del diritto comune, laddove il rapporto contrattuale tra pubblica amministrazione committente e prestatore sia qualificabile appunto alla stregua di prestazione d’opera.

In merito alla distinzione tra appalto e prestazione d’opera, citiamo l’interessante approfondimento “Differenza tra contratto di appalto e contratto d’opera”, in http://www.ceda.pc.it/index.php?id=appalto-e-contratto-dropera: “La distinzione fra i due contratti, che possono entrambi avere per oggetto l’esecuzione di opere o servizi, è di rilevante interesse fra gli operatori del settore e non sempre di agevole individuazione. L’appalto e il contratto d’opera hanno in comune l’obbligazione, verso il committente, di compiere un’opera o un servizio a fronte di un corrispettivo, senza vincolo di subordinazione e con assunzione del rischio da parte di chi li esegue; la differenza risiede nel fatto che l’opera o il servizio comporta, nell’appalto, un’organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato è preposto e, nel contratto d’opera, il prevalente lavoro dell’obbligato medesimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia e da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa. Anche in giurisprudenza (Cassazione n. 819/1997 e 7606/1999) la differenza è indicata da due elementi distintivi, l’uno soggettivo l’altro oggettivo: il primo consiste nella natura di media o grande impresa dell’assuntore dell’opera o servizio, il secondo nel realizzare gli stessi attraverso il dispiego di «una complessa organizzazione di fattori produttivi» (Cassazione n. 819/1997), quindi con totale o prevalente utilizzazione di manodopera dipendente. Ai fini della corretta qualificazione, come appalto o contratto d’opera, del rapporto negoziale con cui un soggetto si sia obbligato al compimento di un’opera o di un servizio si deve valorizzare il diverso profilo del modulo produttivo. Nel contratto d’opera, rispetto all’appalto, è centrale il requisito del «lavoro prevalentemente proprio»; contano le dimensioni dell’impresa: se si tratta di impresa con vasta organizzazione di mezzi – senza dubbio le società commerciali – si ha appalto; se l’obbligato (artigiano, professionista) non dispone di una vera e propria organizzazione imprenditoriale, si applica la disciplina del contratto d’opera. L’elemento distintivo dei due contratti è dato quindi dall’intervento dell’attività lavorativa personale dell’esecutore dell’opera espressamente contemplata nella locazione d’opera ed invece esclusa nel contratto d’appalto. Come rilevato in giurisprudenza (Corte d’appello Firenze, sezione I, 8 aprile 2009), l’appaltatore non è colui che lavora con le proprie braccia, ma che lavora di testa e di tasca, in quanto assume, dirige, paga chi deve lavorare, mentre il prestatore d’opera, o lavoratore autonomo, è colui che concretamente esegue il lavoro commissionatogli, da solo o valendosi di manodopera ausiliaria alla sua. Se si chiama l’idraulico per montare una caldaia, e l’idraulico viene e la monta, quello è un contratto d’opera, e non un appalto; così se si chiama un muratore per risistemare il tetto, un falegname per realizzare un armadio a muro, un pavimentista per collocare un pavimento. Persino la costruzione di una intera casa può formare oggetto di un contratto d’opera, anziché di appalto; per contro, il contratto di appalto è stato ritenuto non incompatibile con il carattere artigianale dell’impresa e con il fatto che il lavoro venga svolto in prevalenza da personale appartenente al nucleo familiare dell’imprenditore (Cassazione n. 1856/1990): ai fini della distinzione ciò che conta è l’organizzazione dei fattori produttivi”.

In estrema sintesi, l’analisi dei tratti distintivi di appalto e prestazione si incentra, come ben evidenziato nella parte finale dell’approfondimento, sulla presenza o meno dell’organizzazione dei fattori produttivi. Essa è, per altro, esattamente quell’attività economica, tecnica e giuridica effettuata dall’imprenditore, che così agendo avvia l’ìmpresa. Lo si evince dalla disposizione dell’articolo 2082 del codice civile, codice che non definisce l’impresa, ma l’imprenditore: “È imprenditore chi esercita professionalmente  un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“. Proprio l’organizzazione dell’attività finalizzata alla produzione o allo scambio, presuppone l’acquisizione e l’organizzazione dei fattori produttivi che caratterizzano l’imprenditore.

Alla luce di queste considerazioni vi è una sostanziale (anche se non totale) assimilazione tra appaltatore ed imprenditore, sicchè non è appaltatore, ma prestatore d’opera, chi pur sempre produce o scambi lavori, beni o servizi, ma senza organizzazione dei fattori produttivi, perchè presta in maniera prevalente lavoro personale, come professionisti ed artigiani.

Sulla scorta di questo punto di vista si cerca, da sempre, di risolvere il problema soprattutto della disciplina da applicare nel caso dell’acquisizione del patrocinio in giudizio da parte di un avvocato. L’idea prevalente è che siccome l’avvocato non è un imprenditore e comunque il patrocinio non presuppone organizzazione di mezzi e fattori produttivi, allora si fuoriesca dal campo di applicazione della disciplina degli appalti. Quindi, gli affidamenti sarebbero attratti nel diritto civile, con applicazione appunto del codice civile e conseguente piena esplicazione dell’autonomia privata della PA committente; conseguentemente, gli incarichi di patrocinio non sono in alcun modo retti dal codice dei contratti pubblici.

Tuttavia, tale suggestione, molto avvincente e molto seguita, è erronea. Essa è conseguenza dell’effetto ottico di chi guarda le norme e le fattispecie dal punto di vista dell’ordinamento interno, ma non di quello della UE. Il quale ultimo ordinamento non conosce la distinzione tra appalto e prestazione e tra imprenditore e professionista o artigiano.

L’ordinamento UE si limita semplicemente a rilevare quando una certa prestazione rivolta ad una PA possa essere qualificata appalto di lavori, servizi o forniture, senza attribuire rilievo alcuno nè alla qualificazione soggettiva del prestatore come imprenditore o meno, e disinteressandosi totalmente della circostanza che il prestatore sia di dimensioni grandi, medie o piccole e svolga in modo più o meno evidente l’azione di organizzazione dei fattori produttivi o meno.

Basta lettere la direttiva 2014/25/UE  del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE

L’articolo 2, comma 1, fornisce la definizione di appalto e di operatore economico:

al n. 1) definisce gli «appalti di lavori, forniture e servizi»: contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più degli enti aggiudicatori e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi;

al n, 6) definisce l’«operatore economico»: una persona fisica o giuridica o un ente aggiudicatore o un raggruppamento di tali persone e/o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, che offre sul mercato la realizzazione di lavori e/o un’opera, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

Nella definizione di appalto, ci si riferisce esclusivamente al fenomeno giuridico di un contratto che regola l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi, senza nessuna distinzione dimensionale (tale ultima, semmai, viene presa in considerazione esclusivamente per definire quali procedure di individuazione del contraente le PA possono attivare, in relazione al valore del contratto).

Nella definizione dell’operatore economico non c’è la minima traccia di un interesse a distinguere gli operatori per dimensioni o per caratteristiche della propria organizzazione: possono essere operatori economici tanto persone giuridiche (e in questo insieme è facile reperire “imprenditori” secondo la legge italiana), quanto persone fisiche (la direttiva nemmeno si sofferma a qualificarle come professionisti o artigiani).

Non si dà nessun rilievo, è da ribadire nessun rilievo, alla dimensione organizzativa e alla qualità di imprenditore. Per risultare operatore economico è sufficiente semplicemente offrire nel mercato l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi.

L’avvocato offre sul mercato le proprie prestazioni professionali? Sì. Allora, se committente delle attività del legale è una PA, dette attività non possono che essere qualificate come appalto di servizi e l’avvocato essere considerato come operatore economico.

Del resto, i servizi legali, tanto se riferiti al patrocinio in singola causa, quanto se riferiti ad un incarico di più attività di patrocinio, quanto, ulteriormente, se riferiti alla consulenza, sono espressamente richiamati dalle direttive e dallo stesso d.lgs 36/2023, come appalti “esclusi”.

Pertanto si tratta di prestazioni rientranti nella disciplina degli appalti, ma, poichè sono “esclusi” le PA non sottostanno al vincolo di applicare in maniera diretta e pedissequa nessuna delle norme procedurali previste; restano libere di negoziare le prestazioni con l’avvocato in forma non strutturata, nel rispetto comunque dei principi generali della contrattualistica pubblica.

Gli incarichi di patrocinio, in particolare, potrebbero considerarsi non soggetti al codice dei contratti, ma al codice civile con piena esplicazione dell’autonomia di diritto privato della PA, se fossero “estranei” alla disciplina degli appalti pubblici. Ma, sono “estranei” quei contratti non presi assolutamente in considerazione da direttive e codice, nemmeno menzionati.

L’espressa considerazione dei servizi legali tra gli appalti esclusi, invece, li attrae tra gli appalti di servizi: per questo, oltre alla tracciabilità occorre anche acquisire il Cig.

Moltissime pronunce giurisdizionali ritengono applicabile non il codice dei contratti, ma l’articolo 7, comma 6, del d.lgs 165/2001, che disciplina le prestazioni professionali di lavoro autonomo per la PA.

E’ un errore. L’articolo 7, comma 6, e seguenti, si riferisce, è vero, ad attività di lavoro autonomo, che però sono acquisite necessariamente come strumento per supplire a carenze professionali, necessarie alla corretta gestione di procedimenti gestionali imputabili alla PA. Con l’articolo 7, comma 6, insomma, si acquisisce il parere, lo studio, la ricerca, l’opera necessaria per completare la documentazione, la progettazione, l’analisi ai fini istruttori e poter adottare le conseguenti decisioni.

L’opera dell’avvocato è totalmente estranea a tale sistema. La difesa in giudizio non è funzionale a nessun procedimento, intervento o progetto gestito dalla PA. E’ un servizio totalmente autonomo, che la PA acquisice per assicurarsi le tutele costituzionalmente previste nei vari giudizi nelle quali sia coinvolta. Mentre le prestazioni di cui all’articolo 7, comma 6, non sono “finali”, non portano ad un  prodotto finito, ma sono funzionali alla corretta produzione del “prodotto” da parte della PA e quindi son o “intermedie”, l’attività dell’avvocato è una prestazione “finale”. Non si tratta di un’obbligazione di risultato, ma comunque l’esito della causa fa storia a sè, non è utilizzato allo scopo di “produrre” il risultato della PA.

In ogni caso, l’articolo 7, comma 6, impone quel confronto comparativo che, invece, la qualificazione di contratto escluso nell’ambito degli appalti non renderebbe necessario. La disciplina dell’articolo 7, comma 6, che molti vedono come semplificatrice, probabilmente è così interpretata per la banale ragione della tendenza a non espletare mai il confronto comparativo richiesto o a ridurlo a mere formule stereotipate: a ben vedere, se fosse attuato correttamente, si rivelerebbe ben più complesso di un’individuazione per affidamento diretto, che non richiede, invece, comparazione, bensì credibile motivazione sulle ragioni della scelta, che possono riferirsi a specifiche qualità individuali riconosciute al legale che si intende incaricare.

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