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Sentenza del 13/11/2023 n. 936 – Corte di giustizia tributaria di secondo grado delle Marche Sezione/Collegio 3

Intitolazione:

Contraddittorio preventivo – controllo a tavolino

Massima:

Sulla necessarietà del contraddittorio preventivo, in più occasioni la Suprema Corte (ex multis n. 13588 del 13 giugno 2014) ha chiarito che l’unico elemento discriminante è dato dal “luogo” in cui avviene la verifica: se presso il contribuente, si applica l’art. 12 co. 7 L. 212/2000; ove non vi sia accesso, viceversa, non è necessaria l’emissione del PVC e di conseguenza il rispetto del termine dei sessanta giorni. Così anche le SS.UU. che hanno definitivamente chiarito che per le verifiche “a tavolino” il mancato contraddittorio preventivo non è causa di invalidità dell’atto di accertamento che ne consegue, almeno per quanto concerne i tributi non armonizzati. Pertanto, posto che nel caso esaminato non è stato riproposto in sede di appello il motivo di gravame relativo al merito della pretesa impositiva, verificato che non risulta violato il disposto dell’art. 12 della L. 212/2000 in quanto non vi è stato accesso presso la sede del contribuente, la Corte di secondo grado non ha potuto far altro che respingere il ricorso del contribuente e confermare l’atto impugnato.

Testo:

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il Sig. L R impugnava l’avviso di accertamento TQ emesso dalla Agenzia delle Entrate, Ufficio di Pesaro, sul presupposto che nel 2010 egli aveva realizzato dalla vendita di un terreno la somma di ?. 530.000 che non era stata dichiarata come plusvalenza con conseguente omesso versamento dell’Irpef. Parte ricorrente nel ricorso e nelle successive memorie criticava il comportamento dell’Ufficio tributario poiché non aveva proceduto ad istaurare un effettivo contraddittorio prima di emettere l’atto impositivo. Sempre parte ricorrente rivendicava un vero e proprio obbligo per gli uffici finanziari di consentire al contribuente di partecipare con cognizione di causa all’intero procedimento accertativo. Nel caso concreto il Sig. L lamentava che dopo la richiesta di documentazione formalizzata con invito l ‘Ufficio non aveva emesso un processo verbale di constatazione che gli avrebbe consentito di prendere cognizione anticipata di quanto era fino a quel momento emerso a suo carico con possibilità, nel termine dilatorio di 60 giorni, di approntare adeguate difese e così evitare l’emissione dell’atto di accertamento o la riduzione delle sue conseguenze pregiudizievoli. Quanto al secondo motivo di ricorso osservava la difesa del contribuente che l’Ufficio aveva applicato erroneamente l’articolo 1523 del codice civile dal momento che il Sig. L aveva acquistato il terreno (rivenduto nel 2010) nel 1992 sia pure con la clausola della riserva della proprietà. Secondo il ricorrente anche ai fini fiscali l’effetto traslativo doveva essere fatto risalire all’accordo e non al pagamento dell’ultima rata del prezzo. Deduceva infine che l’Ufficio avrebbe dovuto determinare la base imponibile tenendo conto dei costi storici non nella loro espressione matematica ma in quella rivalutata in base alla svalutazione monetaria: tale criterio avrebbe abbassato la plusvalenza perché il costo storico andava determinato nella maggior somma di ?. 393.880. L’Agenzia delle Entrate si costituiva nel giudizio de-quo laddove chiedeva il rigetto del ricorso dal momento che la giurisprudenza civile della Corte di Cassazione aveva sempre affermato che la vendita con riserva delle proprietà si distingueva da quella ordinaria perché pagamento del prezzo e la traslazione della proprietà coincidevano. L’Ufficio sosteneva altresì che vi era stata nel caso di specie la compressione o la negazione dell’esercizio del diritto di difesa. La Commissione Tributaria Provinciale di Pesaro con sentenza n. 372/2017 pronunciata il 27/01/2017 e depositata in data 16/03/2017 ha respinto il ricorso. Il Giudice di prime cure ha così statuito: “La Commissione ritiene che non vi sia stata lesione del diritto di difesa: pur attendendo la decisione della Corte Costituzionale sulla concreta estensione dell’obbligo del contraddittorio preventivo, si rileva che ai fini che ci occupano Lazzarini non può dolersi di alcunché tanto è vero che neppure in giudizio egli è riuscito a dimostrare che se fosse stato destinatario di un processo verbale di constatazione e gli fosse stato concesso il termine dilatorio di 60 giorni previsto dallo Statuto del Contribuente avrebbe rinvenuto la documentazione dei costi inerenti al bene che aveva sostenuto nel corso degli anni (dal rogito del 1992 al 2009) e che era andata smarrita oppure era in possesso di terzi a cui andava richiesta. Quanto alla determinazione dell’imponibile il procedimento seguito dall’Agenzia delle Entrate è conforme a legge ed aderente in punto di fatto a quanto oggettivamente emerso nel corso della verifica. Come è noto per gli articoli 67 e 68 del TUIR la tassazione della plusvalenza da vendita immobiliare ha per oggetto la differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta (da un lato) ed il prezzo di acquisto aumentato di ogni altro costo inerente al bene (dall’altro). L’ufficio ha tenuto conto del prezzo di acquisto e di tutte le voci di spesa sostenute negli anni per l’immobile dal L supportate da documentazione ed ha determinato in modo non censurabile la base imponibile. Le spese vengono compensate considerando la particolarità del caso concreto ed in particolare la difficoltà per il tempo trascorso dal rogito di custodire la documentazione dei costi. Rigetta il ricorso, compensa le spese”. Avverso la predetta decisione ha proposto appello il Sig. L rappresentato e difeso dal Dott. G ed elettivamente domiciliato presso il suo studio giusta procura speciale in calce al ricorso introduttivo. L’appellante nell’atto di gravame ha criticato la decisione assunta dai primi giudici ribadendo l’intervenuta violazione del diritto al contraddittorio e richiamando a sostegno della propria posizione processuale giurisprudenza di riferimento. L’appellante ha rassegnato le conclusioni così come trascritte nell’atto di gravame. L’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Pesaro e Urbino, in persona del suo Direttore pro-tempore, si è costituita nel giudizio de-quo depositando atto di controdeduzioni. L’ Ufficio resistente nel proprio scritto difensivo ha contestato le tesi dell’appellante precisando la corretta applicazione della normativa e, quindi, ribadendo la legittimità della pretesa tributaria. A sostegno della posizione processuale l’Ufficio ha citato giurisprudenza di riferimento ed ha rassegnato le conclusioni così come trascritte nelle controdeduzioni. All’udienza del giorno 7 novembre 2023 la causa è stata trattenuta a sentenza. MOTIVI DELLA DECISIONE La Corte premette, in punto di decisione: – Che il novellato art. 132 c. 1 n. 4 c.p.c., consente al giudice la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, e che – per consolidata giurisprudenza della Cassazione- nel motivare la sentenza, secondo i dettami dell’art. 118 disp. att. C.p.c., non è tenuto ad esaminare specificatamente ed analiticamente tutte le questioni sollevate dalle parti, ben potendosi limitare alla trattazione delle sole questioni rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata; – Che detti principi si applicano al processo tributario ai sensi dell’art. 1 c. 2 D.Lgs. 546/92; – Che le questioni non trattate, non possono considerarsi omesse, ma semplicemente assorbite o superate per incompatibilità logico-giuridica con quanto concretamente ritenuto provato dal giudice, di cui ne ha il pieno convincimento per la decisione. Dunque, parte appellante ha proposto quale unico motivo di gravame la “Nullità dell’avviso di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio” così rinunciando al secondo motivo di merito del ricorso introduttivo. Orbene, tale scelta difensiva comporta il riconoscimento, in punto di merito, in ordine alla fondatezza della pretesa tributaria. Infatti, parte appellante, non riproponendo nell’appello il motivo di ricorso concernente la eccepita nullità dell’atto per violazione della disciplina della vendita con riserva della proprietà (art. 1523 c.c.), ha determinato sulla questione predetta (secondo motivo di ricorso) l’avvento del giudicato comportando, per quanto concerne il “merito” della controversia la definitività della ripresa fiscale; ciò in quanto, come recita l’art. 56 del D.Lgs n. 546/1992 “Le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale” ora Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado, “che non sono specificamente riproposte in appello, s’intendono rinunciate. Il residuo motivo di gravame concernente la “Nullità dell’avviso di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio” è infondato e da respingere e ciò in conformità con quanto statuito dai Giudici di prime cure. La questione concernente la necessità di redigere il Processo Verbale di Constatazione (PVC) in occasione di attività di verifica e sul termine dei sessanta giorni da concedere al contribuente -stabilito dal comma 7 dell’art. 12, dello Statuto dei diritti del contribuente- anche nelle cd. “verifiche a tavolino”, è stata oggetto di persistente dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Già la Cassazione, ex multis con propria pronuncia n. 13588 del 13 giugno 2014, aveva chiarito che l’unico elemento discriminante è dato dal “luogo” in cui avviene la verifica: se presso il contribuente, si applica l’art. 12 co. 7 L. 212/2000; ove non vi sia accesso, viceversa, non è necessaria l’emissione del PVC e di conseguenza il rispetto del termine dei sessanta giorni. Successivamente le S.S. U.U. della Suprema Corte, con la sentenza n. 24823/2015, hanno definitivamente conclamato il principio in base al quale per le verifiche “a tavolino” il mancato contraddittorio preventivo non è causa di invalidità dell’atto di accertamento che ne consegue, almeno per quanto concerne i tributi non armonizzati (Irpef ecc.). Del resto, anche la sentenza Sopropé, emessa dalla Corte Europea (18.12.2008), ha sì stabilito che i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di esprimere utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione, e che a tal fine devono beneficiare di un congruo termine temporale, ma ha anche precisato che tale obbligo vale solo in relazione a decisioni che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto comunitario. A tal proposito le Sezioni Unite cit. hanno sostenuto dunque che per i tributi non armonizzati non sussiste un generalizzato obbligo di contraddittorio nell’ambito della formazione dell’atto di accertamento, giacché il mancato contraddittorio rileva sulla validità di un atto soltanto laddove esplicitamente previsto dalla disciplina che regola la formazione di quello specifico atto. La Corte trae il suo convincimento dal fatto che la rubrica dell’articolo 12 è intestata “Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” e che il comma 1 dell’articolo 12 richiama esplicitamente gli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”. Per questo motivo in ipotesi di verifiche “a tavolino”, in quanto non svolte nei locali del contribuente, non sussiste, (per i tributi non armonizzati, ed è fattispecie per cui qui si discute), un obbligo di contraddittorio endoprocedimentale e il suo mancato rispetto non ha quindi alcun rilievo sulla validità dell’atto di accertamento conseguente all’effettuata verifica. Non vi è stata, quindi, nella fattispecie de-qua alcuna violazione dell’art 12, comma 7, della legge n.212/2000. Pertanto, questa disposizione non si applica al caso – come quello in esame – in cui la verifica sia avvenuta a tavolino ovvero presso gli uffici dell’ente impositore. In effetti, l’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale è escluso, relativamente ai tributi non armonizzati, solo per gli accertamenti cd. a tavolino e, cioè, per quelli derivanti da verifiche effettuate presso la sede dell’Ufficio, in base alle notizie acquisite da altre Pubbliche Amministrazioni, da terzi ovvero dallo stesso contribuente, in conseguenza della compilazione di questionari o in sede di colloquio. Così ha stabilito, fra le tante, la Cassazione civile con la sentenza n. 8718/2021. Il concetto è stato successivamente ribadito dalla Cassazione civile con l’ordinanza n. 23729/2022 ove, per estratto, si è chiaramente riaffermato che, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg e Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino”. Ma, a tutto voler concedere, risulta comunque irrilevante l’asserita violazione del principio del contraddittorio. La violazione dell’obbligo del preventivo contraddittorio comporta, infatti, l’invalidità dell’atto solo nel caso in cui “il contribuente abbia assolto in giudizio all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere…” (vedere in questo senso Cass.Civ.n. 37234/2022). Però, nel caso di specie il contribuente non ha ottemperato a siffatto incombente in quanto, come correttamente sostenuto dall’Ufficio, “ha coltivato, come unico motivo di appello, solo la violazione del principio del contraddittorio onde, nel merito, ha sostanzialmente riconosciuto la fondatezza della pretesa erariale.”. Non essendo necessario un contraddittorio, neanche possono essere ritenuti obbligatori il P.V.C. ed il richiamato termine dei sessanta giorni. Da ultimo, occorre aggiungere che questo Collegio di seconda istanza non ignora che anche la Corte Costituzionale (sent. 21 marzo 2023, n. 47) ha affermato l’esigenza di un contraddittorio preventivo tra l’Amministrazione finanziaria ed il contribuente. Tuttavia, i giudici di legittimità hanno rigettato la questione di legittimità a loro sottoposta con riguardo all’art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente. In sostanza, il giudice delle leggi non ha emesso propria e specifica sentenza ove il principio di cui all’art. 12 cit. viene generalizzato ed applicato in tutte le ipotesi di verifica fiscale. Ne consegue che questo Giudicante deve decidere la controversia de-qua sulla base della situazione giurisprudenziale attuale. Per quanto sopra, essendo l’avviso di cui è causa inerente ad imposte non armonizzate, esso non può essere considerato illegittimo e corretta si palesa la ripresa fiscale. Conclusivamente e per quanto innanzi argomentato, l’appello deve essere respinto. Restano assorbite le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonee a sostenere una conclusione di tipo diverso. La evoluzione giurisprudenziale ancora in corso in subjecta materia induce questo Collegio a disporre la compensazione delle spese processuali di questo grado di giudizio. P.Q.M. La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado delle Marche respinge l’appello proposto dal Sig. L e, per l’effetto, conferma la impugnata sentenza. Spese compensate.

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