Appalto integrato: semplificazioni, criticità e valutazioni
Considerazioni sulla gestione degli appalti di opere pubbliche con il ricorso all’Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori
Tutti noi, di una certa età e forniti di esperienza vissuta, ricordiamo gli anni ’90 del secolo scorso, gli ultimi anni della cosiddetta “Prima Repubblica”, un decennio di trasformazioni economiche e sociali che hanno radicalmente modificato – in meglio o in peggio, questo ancora non lo sappiamo – il comune modo di intendere il sistema sociale e patrimoniale del nostro Paese, quel sistema che i nostri antenati definivano “Res Pubblica”, oggi tradotto letteralmente in “Cosa Pubblica”, che era alla base dei concetti di “Politica” e di “Stato”.
Per ricostruire la nostra trasformazione sociale – a partire dagli anni ’90 fino ad oggi – e per tracciare un bilancio evolutivo (solamente nel senso del progresso) dei relativi costi e dei benefici che si ripercuotono direttamente nel nostro vivere quotidiano, occorre definire quali sono i punti di partenza e, per fare questo, non basta conoscere la storia della Repubblica Romana, occorre tenere a mente i principi fondanti della Repubblica Italiana e la nostra storia recente.
“La storia siamo noi”, così Francesco De Gregori, alla metà degli anni ottanta, volle iniziare la sua canzone: “La storia siamo noi, nessuno si senta offeso”.
“La storia siamo noi”, così Renato Parascandolo, ispirato dai versi di De Gregori, volle chiamare il programma televisivo, da lui ideato alla fine degli anni novanta, di cui ricordiamo soprattutto le ultime puntate condotte da Giovanni Minoli; un programma educativo, di raffronto tra le diverse epoche che hanno caratterizzato lo sviluppo economico e sociale del nostro Paese.
Ciascuno di noi porta con sé la sua storia, i sogni, i ricordi, un misto tra realtà e fantasia che alimenta il nostro destino, che offusca la nostra memoria, come nel capolavoro letterario “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez: un secolo di storia della famiglia Buendía e della città di Macondo, “spianata dal vento e bandita dalla memoria degli uomini”.
La nostra storia è la storia dell’Italia e delle sue città: Roma e l’Impero, la Repubblica di Venezia, Firenze e il Rinascimento, sono esempi di storia gloriosa del nostro Paese, frammenti di una storia comune che non possono cadere nell’oblio, come in un romanzo di fantasia. Il nostro Paese non è la leggendaria città di Macondo; siamo noi i custodi della nostra storia, della nostra realtà, la storia siamo noi e dobbiamo per questo difenderla da qualsiasi vento ostile che voglia spazzarla via.
Guardando la televisione, vagando qua e là su internet, mi sento smarrito, come se avessi perso la memoria storica, con il torpore di un sonno artificiale che fugge dalla concreta realtà. I programmi televisivi, le canzoni degli anni ottanta-novanta, i romanzi del passato, sono un fardello inutile? Devo resettare la memoria e ricominciare daccapo, rivivere una nuova adolescenza dopo oltre mezzo secolo di vita vissuta? E così, come una barca di carta in balia di uno tsunami, vengo sballottato ovunque, e mi perdo nelle acque impetuose di un mare in tempesta.
Via i ricordi e la nostalgia! Torniamo ai nostri giorni!
In questo periodo molti dipendenti pubblici sono ancora in ferie, e il mio lavoro di ingegnere libero professionista viene di conseguenza rallentato, oltre che per i consueti ostacoli burocratici, anche per l’assenza di personale addetto alle istruttorie e alla predisposizione degli atti di propria competenza. Questo periodo di tregua apparente mi consente anche di pensare ad altro, oltre che al lavoro quotidiano, e di approfondire alcuni aspetti importanti che hanno a che fare con la “Cosa Pubblica”. In questi giorni, con l’auspicio di poter partecipare anch’io – con la mia attività professionale di ingegnere – alla costruzione di un qualcosa, alla gestione delle nostre risorse comuni, ho aggiornato il mio Curriculum Vitae e il mio profilo sulle varie piattaforme telematiche che gestiscono le gare per l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura nell’ambito dei lavori pubblici.
Chiedendo alcune informazioni, ad un responsabile dell’ufficio tecnico di un Comune, sulle modalità di affidamento degli incarichi professionali di progettazione delle opere finanziate con i fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), ho scoperto che, per mancanza di tempo e di organizzazione tecnica-amministrativa, la modalità privilegiata di affidamento dei lavori e dei servizi di progettazione è quella dell’Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori, ponendo a base di gara il Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica (ex Progetto Preliminare), di cui all’articolo 23, comma 5, del D. Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 (Codice dei contratti pubblici – Link: D. Lgs. 18 aprile 2016, n. 50). Tale possibilità è contemplata dall’articolo 48, comma 5, del Decreto cosiddetto “Semplificazioni-bis” (D. L. 31 maggio 2021 n. 77, come convertito dalla Legge 29 luglio 2021, n. 108 – Link: D.L. 31 maggio 2021, n. 77), esclusivamente per gli appalti finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal PNNR e dal Piano Nazionale degli Investimenti Complementari (PNC), nonché dai programmi finanziati con i fondi strutturali dell’Unione Europea, in deroga alle disposizioni legislative di cui all’art. 59, comma 1, del Codice dei contratti pubblici. Per gli appalti di natura diversa da quelli finanziati o cofinanziati con i fondi del PNRR e del PNC, essendo stato momentaneamente sospeso, fino al 30 giugno 2023 (proroga della sospensione previgente, ai sensi dell’art. 52 della Legge n. 108/2021), il divieto di ricorso all’affidamento congiunto della progettazione e dell’esecuzione di lavori (Art. 59, comma 1, del Codice dei contratti pubblici), risulta attualmente ammesso l’affidamento con Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori per qualsiasi tipologia di opera pubblica, sulla base del Progetto Definitivo, molto più dettagliato rispetto al Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica.
Al di fuori degli appalti di particolare complessità o di rilevante impatto, disciplinati dall’art. 44 del D. L. 77/2021, nel caso di affidamento dei contratti pubblici finanziati con i fondi europei del PNRR e del PNC, e nel caso di Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori, «l’affidamento dell’appalto avviene mediante acquisizione del progetto definitivo in sede di offerta ovvero, in alternativa, mediante offerte aventi per oggetto la realizzazione del progetto definitivo, del progetto esecutivo e il prezzo. In entrambi i casi, l’offerta relativa al prezzo indica distintamente il corrispettivo richiesto per la progettazione definitiva, per la progettazione esecutiva e per l’esecuzione dei lavori» (V. Art. 48 D. L. 77/2021).
Il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, nel Luglio 2021, ha pubblicato le «Linee guida per la redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica da porre a base dell’affidamento di contratti pubblici di lavori del PNRR e del PNC»; in tale documento sono indicati i “Contenuti ed elaborati del progetto di fattibilità tecnica ed economica” e le “modalità di trasmissione del progetto di fattibilità tecnica ed economica al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici”.
Gli elaborati del “nuovo” Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica (V. Paragrafo 3.2 delle Linee Guida) sono stati definiti, nella traduzione pratica, mediante una rimodulazione dei criteri già previsti dal vigente Codice dei contratti nei vari livelli di progettazione, non essendo specificato chiaramente – in quanto, peraltro, è arbitrario ed impossibile farlo in maniera compiuta – il grado di definizione di ciascun elaborato.
Il Consiglio Superiore dei Lavori pubblici deve rilasciare un parere sui progetti di fattibilità tecnica ed economica relativi ai lavori pubblici di competenza statale, o comunque finanziati almeno per il 50% dallo Stato, di importo pari o superiore a 100 milioni di euro. Le linee guida definiscono i contenuti essenziali dei documenti e degli elaborati da allegare al Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica, necessari alla formulazione del parere da parte del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
Si può ben comprendere come, con la reintroduzione dell’Appalto Integrato – soprattutto nella forma sopra descritta, e con la nuova definizione del Progetto di Fattibilità Tecnica ed Economica, contenuta nelle Linee Guida Ministeriali, in sovrapposizione alla corrispondente definizione contenuta del Codice dei contratti pubblici – si viene a creare una pericolosa distorsione interpretativa, anche per gli appalti di importo limitato.
In altre parole, la scelta del legislatore di accelerare le procedure di gara, mediante il possibile ricorso all’Appalto Integrato “Ridotto” – che, per come è stato concepito, potremmo definire “Appalto Disintegrato” – rappresenta un ulteriore elemento di confusione e di appesantimento burocratico, in una fase della nostra esistenza nella quale tutto ci vorrebbe tranne che una uscita fuori pista, tutto tranne che una “congestione” con gli stessi ingredienti di un groviglio normativo a malapena “digerito”; le stazioni appaltanti e gli operatori economici si trovano oggi esposti a contenziosi di difficile previsione, non essendo stata prodotta, per mancanza di tempo e di “sperimentazione”, una giurisprudenza sufficientemente chiara e matura.
Qual è la condizione attuale della Pubblica Amministrazione? Nella realtà dei fatti, per quanto concerne il personale, i dipendenti pubblici sono sempre gli stessi e sempre di meno, di esperti ce ne sono pochi e il tempo che passa ne ha decimati molti (invecchiamento, pensionamento e morte naturale); la mancanza di affiancamento nel ricambio generazionale, la pandemia, la crisi economica e la guerra non depongono a favore di un estemporaneo revisionismo legislativo.
Semplificazione vuol dire studio, preparazione sul campo per molti anni, commettere anche degli errori, correggersi strada facendo e andare progressivamente in avanti. Esempi recenti di “semplificazioni” mal concepite ce ne sono molti: il cosiddetto “Bonus facciata”, spesso elargito in regime di edilizia libera, ha consentito alle imprese di cantarsela e suonarsela, di stilare preventivi di spesa senza limiti di prezzo e sulla base di valutazioni e misure spesso fatte “ad occhio”; tutto questo è scaturito da una norma che consentiva inizialmente tale approccio. Per comprendere le dinamiche operative, originate dal pressappochismo normativo, possiamo fare l’esempio di un esercito di gatti, che facciamo passare vicino ad una scodella di latte; molti gatti – se non tutti, addirittura azzuffandosi – leccheranno il latte fino all’ultima goccia, vista la generosità del donatore, che, volendo salvaguardare una parte del lauto pasto, non poteva non tener conto dell’indolenza tipica dei gatti nella circostanza da lui generata. Altri esempi, di norme decontestualizzate dalla realtà, possono essere ricercati nell’ambito del cosiddetto “Superbonus” o in altri Bonus statali che, nella pratica attuazione, hanno sostituito la libertà e il lavoro con l’oppressione, il malcostume e l’assistenzialismo, tutto questo con un debito che dovremmo prima o poi ripagare.
Non è facile risolvere problematiche complesse! Per questo, visto gli sforzi e i risultati finora conseguiti, mi auguro che, ben presto, coloro che rappresentano le nostre volontà (politici) e coloro che dovrebbero metterle in atto (governo, ministri, sottosegretari e dirigenti) operino in senso contrario sul percorso già tracciato; bisogna agire pensando e lavorando sodo e non scegliendo piste in discesa per autocompiacersi e per mutua solidarietà.
Tornando agli appalti pubblici e agli anni ’90 del secolo scorso, non possiamo dimenticare la Legge 11 febbraio 1994 n. 109 – “Legge quadro in materia di lavori pubblici”, cosiddetta “Legge Merloni” – che rappresenta il fondamento dell’attuale Codice degli appalti pubblici; tale legge fu emanata a seguito delle vicende giudiziarie del periodo di “Tangentopoli”, al fine di riformare il sistema degli appalti pubblici, stabilendo criteri di effettiva trasparenza e moralità nelle gare di affidamento dei servizi e dei lavori.
La Legge Merloni ha introdotto, per la prima volta, il sistema gerarchico di progettazione, secondo tre livelli: Progetto Preliminare, Progetto Definitivo e Progetto Esecutivo; tale legge, nella sua stesura originaria, contemplava l’appalto dei lavori sulla base del Progetto Esecutivo, redatto dalla Stazione Appaltante o da operatori ad essa esterni, evitando conflitti e promiscuità tra i progettisti e le imprese che partecipavano alla gara d’appalto.
Anni di relativa calma hanno caratterizzato l’applicazione della Legge Merloni, con progressive modifiche ed integrazioni che seguivano l’evoluzione e le esigenze della nostra società e dei relativi costumi. La Legge Merloni si presentava come un testo normativo ragionato, sintetico e modulato sulle esigenze del momento, un testo che ha garantito una sufficiente ripresa della nostra economia, fortemente compromessa dalla crisi politica e dalle inchieste giudiziarie. L’assetto socio-economico del Paese, post Tangentopoli, era estremamente vulnerabile, e la riposta che è stata fornita, seppure non direttamente risolutiva, è andata comunque nella direzione giusta, in quella della ripresa e della crescita economica.
Oggi, il nostro Paese sta attraversando un periodo burrascoso e complesso, e, per uscirne fuori, dovremmo far tesoro della storia, dovremmo ricordarci dei principi ispiratori della Legge Merloni, piuttosto che inseguire una chimera, in mancanza di eroi che possano dominarla.
L’Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori, introdotto forzatamente nel nostro Codice degli appalti pubblici, post Legge Merloni, era applicabile in casi particolari, chiaramente individuati e classificati dalla normativa; con le ultime modifiche ed integrazioni normative, sopra citate, tale appalto diviene oggi possibile per qualsiasi tipologia di opera pubblica. Lo spirito originario, che ha introdotto tale sistema di appalto, era quello di accelerare il procedimento di aggiudicazione dei lavori e di garantirne una corretta esecuzione sulla base delle scelte tecniche-operative (progetto esecutivo) avanzate dall’impresa appaltatrice. L’utopia che contraddistingue, ahimè ancora oggi, il ricorso all’Appalto Integrato di progettazione ed esecuzione dei lavori, è dovuto all’ostentata convinzione che uno stesso soggetto – l’impresa appaltatrice – potesse, più velocemente e in miglior modo, curare la redazione del Progetto Esecutivo e realizzare correttamente le opere in esso previste. Questa aberrante previsione non è stata supportata dai risultati auspicati: Le stazioni appaltanti redigono, ancora oggi, dei progetti definitivi, da porre a base di gara, molto carenti – peraltro remunerati con un incentivo percentuale in caso di progettazione interna alla Stazione Appaltante – delegando all’impresa affidataria il compito di redigere la progettazione esecutiva propedeutica all’inizio dei lavori; tale progettazione, il più delle volte, risulta sbilanciata a favore dell’impresa e spesso distaccata dalle prescrizioni del progetto definitivo (carenze di previsione e di progettazione ed ingerenze dell’impresa). Ciò comporta, a sua volta, la necessità di richiedere nuovi pareri in funzione delle modifiche apportate alla progettazione posta a base di gara, ovvero, molto spesso, la necessità di richiedere successivamente quei pareri, vincolanti per la realizzazione dell’opera, che non erano stati acquisiti in fase di appalto.
Per quanto concerne il danno reale che tale approccio ha generato alle attività di progettazione (esterna alle stazioni appaltanti), c’è da sottolineare il clima di frustrazione dei tecnici professionisti – di quelli un po’ più corretti – incaricati della progettazione definitiva e/o esecutiva direttamente dall’impresa appaltatrice, spesso con remunerazioni economiche subordinate all’andamento delle gare di appalto o con estemporanei “forfettoni” in funzione del grado di soddisfazione dell’impresa. Tornado agli appalti finanziati con i fondi del PNRR, ci poniamo le seguenti domande: Come sarà stabilito, nei fatti, il compenso per le onerose attività di progettazione, necessarie per la sola partecipazione alla gara di appalto? Se l’impresa non risulterà vincitrice, chi onorerà le spettanze professionali di progettazione? Se l’impresa vincerà la gara di appalto, come verranno effettivamente stabiliti e liquidati i compensi professionali? Nulla di buono è scritto nella legge! Come sempre accade, quando si tratta di stabilire le clausole di legge a tutela dei tecnici professionisti, si va a tentoni, tralasciando quelli che sono gli aspetti fondamentali del processo di appalto, ossia il pensiero e l’ideazione dell’opera, necessari per il corretto conseguimento dei risultati attesi.
D’altra parte, le criticità dell’Appalto Integrato sono testimoniate dalle numerose sentenze della Giustizia Amministrativa nonché dagli innumerevoli pareri e dalle raccomandazioni dell’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC).
Se si vuole porre a base di gara il progetto, bisogna ricorrere a concorsi specifici, come si fa da tempo e con risultati accettabili. Si apre qui un altro mondo, che è necessario comunque esplorare.
Ci sarebbe molto da dire; il tempo passa per tutti, ed è tiranno! Sono trascorsi trent’anni dalle prime inchieste di Tangentopoli, da “Mani Pulite”, come le chiamarono i giornalisti dell’epoca; trent’anni di storia che dovrebbero insegnarci qualcosa, che le norme rappresentano un compromesso sociale, una mediazione tra dare ed avere, tra esigenze e prestazioni, una sintesi tra diritti e doveri, come direbbe un giurista. Per avere le mani pulite, non basta lavarsele come fece Ponzio Pilato!
Non possiamo appaltare i lavori finanziati con i fondi del PNRR, nei tempi ristretti di cui disponiamo e nelle condizioni di caos e di incertezza che stiamo attraversando, né con la logica del pressappochismo, né con la logica convulsa e bulimica imposta dai nostri burocrati di corte, con modelli avulsi dalle reali esigenze del nostro popolo e dalla concreta realtà. Con le risorse umane e materiali attualmente presenti nella pubblica amministrazione, a malapena, e con enormi difficoltà, si può pensare di appaltare qualche opera pubblica, senza tuttavia apportare radicali modifiche alle conoscenze acquisite e alle consuete modalità operative. La pandemia, la prolungata assenza fisica dal posto di lavoro, il personale che è andato in pensione e che non è stato adeguatamente rimpiazzato, i periodi di ferie, la carenza di operatori esperti e qualificati, il caos diffuso, le normative scollegate dalla realtà, l’economia impazzita, la carenza di risorse materiali e, non per ultimo, l’abitudine di noi italiani di rinviare gli impegni del momento, tutto ciò ha fatto sì che il tempo e le risorse disponibili per organizzare correttamente le gare di appalto finanziate con i fondi del PNRR sia stato ridotto praticamente al nulla. Tuttavia, ripercorrendo la nostra storia, questo era ampiamente prevedibile; con il tempo a disposizione, e con approcci più ragionati, potevamo organizzarci meglio. Non possiamo spazzare via tutto senza pensare alle conseguenze, così come non possiamo pensare di riformare, in quattro e quattr’otto, le regole e le consuetudini già acquisite disattendendo i tempi di un naturale equilibrio.
La nostra storia è quella del nostro popolo, non è la storia del popolo tedesco o di quello francese, del popolo cinese o di quello americano; la nostra storia non è implementabile con degli algoritmi! “La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso […] la storia non passa la mano”, come cantava De Gregori molti anni fa. E con la mano sempre tesa verso il futuro, forse anche noi scriveremo la nostra storia.
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