tratto da rilievoaiaceblogliveri.wordpress.com

Rizzo e le province: la propaganda che nasconde la realtà del fallimento della riforma Delrio

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E’ dalla primavera scorsa almeno che, tra inchieste come quella di Report e ripetuti interventi della Corte dei conti, la riforma delle province è al centro di forti critiche. Ed anche di revisioni: il “decreto enti locali”, d.l. 78/2015, convertito in legge 125/2015, è nella sostanza un tentativo, maldestro, di correggere le previsioni disastrose della legge 190/2014, ad esempio consentendo alle province di approvare il bilancio di previsione a settembre (sic), ma per il solo 2015. Perché il complesso della manovra finanziaria imposta alle province, dal 2011 in poi, sottrae ad un volume di spesa che 4 anni fa era di 12 miliardi, circa 6 miliardi. Totalmente insostenibile.

Tutti questi eventi non potevano sfuggire all’occhio acutissimo di chi, da sempre, è il principale alfiere della riforma, anzi, dell’abolizione delle province: Sergio Rizzo, che sul Corriere del 20 settembre 2015, torna, dopo mesi, su uno degli argomenti principi della sua attività giornalistica, oltre all’immondizia a Roma, la regione Sicilia e la dirigenza pubblica: le province.

Infatti, a Rizzo non la si fa e nell’articolo riporta uno scoop degno del premi Pulitzer: “i dubbi che la riforma delle Province stia procedendo come era stato promesso, quelli lo sono davvero”.

E sì. Le province stanno andando in dissesto, i decreti sulla mobilità del personale, che occorreva attivare a marzo, se va bene saranno operativi a ottobre senza che ancora sia stata compiuta l’indagine sui fabbisogni degli altri enti che non hanno potuto assumere nessuno, le funzioni sono ancora da riordinare, le regioni non vogliono farsi carico della spesa che lo Stato intende scaricare su di loro, le scuole sono rimaste senza banchi, le manutenzioni sempre per scuole e strade non si fanno più, gli allievi delle scuole con disabilità sensoriali sono rimasti privi di aiuto allo studio e a Rizzo, a cui non sfugge mai nulla, vengono “dubbi” sull’effettiva attuazione della riforma.

C’è una ragione molto precisa se Rizzo finge di cadere dal pero e non accorgersi che la riforma delle province è un assoluto disastro, limitandosi ad evidenziare “dubbi” in merito. Una ragione molto semplice: Rizzo da anni sostiene una propria tesi, quella secondo la quale le province sono da abolire, al di là di ogni ragionevolezza e funzionalità di qualsiasi norma che punti a ridimensionarle. Poiché la sua tesi è che le province occorre eliminarle, qualsiasi legge va bene, anche la più inefficiente, come il combinato micidiale delle leggi 56/2014 e 190/2014.

Quale campione delle opinioni che prevalgono sui fatti e, dunque, della propaganda, Rizzo non può limitarsi ad osservare la verità e dare atto del fallimento della riforma.

Sicchè il tentativo (sicuramente ben riuscito) dell’articolo è lasciar credere che la riforma tutto sommato, anche se lascia “dubbi” va bene, ma sono le province che non consentono di metterla in pratica.

Il sistema è quello collaudatissimo dell’attribuire ad una certa amministrazione la responsabilità di aumentare le tasse. Ecco, dunque, che Rizzo si produce da par suo nella lamentazione: “L’augurio di buone vacanze estive è stato recapitato agli automobilisti dalla fu Provincia di Firenze all’insorgere delle canicole di luglio. È stato allora che quella oggi ribattezzata Città metropolitana e presieduta dal renzianissimo sindaco fiorentino Darlo Nardella ha aumentato l’imposta provinciale sulla Rc auto dal 10,5 al 16 per cento: il massimo consentito per legge. Diciamo subito che è stato l’ultimo, ma certo non l’unico a farlo. Anzi, non è stato neppure l’ultimo, perché il giorno dopo anche la Provincia di Pistoia ha portato prontamente la tassa sull’assicurazione delle auto al 16 per cento. A gennaio l’avevano fatto la Province di Cuneo e di Reggio Calabria. A febbraio quella di Vicenza. A marzo quella di Cagliari. E prima ancora quasi tutte le altre. Dal 2011, quando si è cominciato a parlare seriamente di mettere mano alle Province e i governi di turno iniziavano a tagliare i trasferimenti, quegli enti hanno pensato bene di usare pesantemente l’unica leva fiscale di cui dispongono, scaricando i tagli su chi possiede un mezzo di locomozione. Il risultato è che oggi la tassa provinciale sulla Rc auto è al 16 per cento dappertutto con le sole eccezioni di Treviso (15), l’Aquila (15,5) e Aosta (9). Non è propriamente uno scherzo, considerando che il gettito complessivo è di oltre due miliardi e mezzo”.

Come qualsiasi azione di propaganda, l’articolo mischia verità ad omissioni e lascia trasparire un’immagine forzata, che travisa la realtà. La chiosa dello spezzone di articolo riportato desta l’impressione ai lettori che le province, in barba ai virtuosi governi che hanno tentato di tagliarne le risorse, hanno aggirato le norme e continuano ad intascare 2,5 miliardi di tassa provinciale sulla RC auto.

Peccato che questa impressione sia del tutto e radicalmente falsa. Rizzo ha seguito da vicino la riforma e la legge di stabilità per il 2015, inoltre passa per essere un grande esperto di amministrazione e finanza pubblica. Poiché certamente sarà davvero dotato di tal grande competenza, Rizzo non può non sapere due cose fondamentali:

1.         per effetto della legge 190/2014, lo Stato impone alle province un prelievo forzoso dai loro bilanci, pari a 1 miliardo nel 2015, 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017; queste risorse sono “garantite” proprio dalla tassa sulla RC auto: infatti, se le province dovessero fare le recalcitranti, l’Agenzia delle entrate invece di trasferire loro per cassa gli introiti, li girerebbe allo Stato. Dunque, le province incassano questa tassa, è vero, ma lo fanno per conto dello Stato, che ne utilizza il relativo gettito per i propri fini. E’ questa una delle ragioni principali per cui le province sono a corto di entrate e stanno andando verso il dissesto;

2.         la Sose, la società ben nota per essere autrice degli studi di settore, ha rilevato la “spesa standard” dei servizi delle province, allo scopo di ripartire tra esse il peso del miliardo che nel 2015 hanno dovuto rendere allo Stato; ebbene, la Sose ha sortito una formula di riparto poco meno che irrazionale, tale per cui hanno dovuto restituire di più allo Stato le province che avevano la pressione fiscale più bassa, in quanto non avevano utilizzato appieno la propria “leva fiscale”.

Pertanto, per un verso Rizzo non dice che la tassa su RC auto viene riscossa dalle province, ma spesa dallo Stato; per altro verso, sempre Rizzo non racconta che è la legge 190/2014 ed il sistema di ripartizione dei “tagli” ad obbligare le province ad incrementare la medesima tassa. Né, ovviamente, Rizzo, secondo il quale l’abolizione delle province avrebbe portato a chissà quale riduzione della pressione fiscale, dice che tutta questa manovra implica semplicemente la fortissima riduzione dei servizi, senza alcuna riduzione né della spesa pubblica complessiva, né della pressione fiscale. Se lo dicesse, dovrebbe allo stesso tempo dare atto del fallimento della riforma che da tanti anni “sponsorizza”. Per questo, si limita ai “dubbi” e finge che i presidenti delle province e delle città metropolitane siano brutti e cattivi.

L’articolo-propaganda non finisce qui. Anzi, sin dal suo titolo rivela l’intento propagandistico: “Così le Province (quasi) abolite assumono e aumentano le tasse”.

Sull’aumento delle tasse abbiamo visto poco sopra come stiano effettivamente le cose.

Sarà, allora, vero che le province continuano ad assumere? La cosa avrebbe del clamoroso, visto che è dalla spending review di Monti, cioè dall’estate 2012, che a questi enti è totalmente vietato assumere. E non risulta esservi stata alcuna sentenza, né in sede civile, né in sede amministrativa, né in sede contabile, di dichiarazione di nullità di assunzioni effettuate da province, con addebito di responsabilità agli autori.

Ma, si sa: a Rizzo non sfugge niente, mentre invece probabilmente i giudici non hanno accesso alle fonti del valente giornalista del Corriere.

Continuiamo, allora, a leggere l’articolo per scoprire quali province abbiano così platealmente violato le norme, assumendo. Ma, dalla lettura resteremo delusi. Il tema delle assunzioni viene introdotto da questo passaggio: “E le perplessità aumentano ancora di fronte ad altri aspetti francamente curiosi. Le società partecipate delle Province, per esempio, sono ancora quasi tutte lì, vive e vegete”. Segue un elenco piuttosto lungo di società o aziende, che sono ancora operanti, con indicazione dei loro dipendenti. L’unica attribuzione di iniziative di assunzioni concerne la società Capitale Lavoro di Roma, che secondo quanto riportato nell’articolo “ha provveduto qualche mese fa a inglobare il personale di un ente provinciale sciolto, l’Agenzia colline romane, e a stabilizzare 23 precari: fra cui anche un dirigente” e l’Agenzia per i servizi formativi e per il Lavoro controllata al 100 per cento dalla Provincia di Latina, che “alla fine del 2014 ha provveduto ad assumere 8 dipendenti a tempo indeterminato”. Nessuna traccia di assunzioni effettuate dalle province.

Anche in questo caso, la sapiente propaganda dice, ma non dice, allude, desta l’impressione, rafforzata dal titolo dell’articolo. Il lettore medio, che non conosce ovviamente a fondo le regole amministrative, è portato a pensare l’esistenza di una totale identità tra province e loro società o agenzie.

Un esperto di finanza ed amministrazione pubblica, però, quale certamente sarà Rizzo, sa perfettamente che il divieto di assunzione si applica solo alle province e non agli enti da esse partecipati, ai quali si applicano, invece, altre limitazioni. E comunque, essendo realtà sul piano giuridico separate dalle province, la responsabilità per quelle assunzioni ricade su quegli enti e non sulle province.

Ancora, Rizzo si meraviglia che molte società o agenzie delle province siano ancora in funzione. Un’altra mossa propagandistica. Rizzo sa benissimo che ai sensi dell’articolo 1, comma 89, della legge Delrio le province sono tenute a continuare ad esercitare anche le funzioni non fondamentali che non siano state ancora riordinate ed assegnate ad altri enti. Finchè, quindi, restino titolari di queste funzioni, che non possono non gestire anche per non incorrere in reati come interruzione di servizi pubblici o omissione di atti d’ufficio, se si erano a suo tempo organizzate per gestirli mediante società o agenzie, non possono che tenere in vita (con estreme difficoltà) quelle società, in attesa di liquidarle se e quando le funzioni saranno loro sottratte.

Tuttavia, l’effetto della propaganda è colto. Rizzo, diffonde a piene mani queste le sue mezze verità e il saperne cogliere i risvolti propagandistici è cosa possibile a pochi. Pochissimi, poi, saranno coloro che avranno l’opportunità di leggere scritti come questo, che si propongono di portare a conoscenza la mezza verità nascosta dalla propaganda. Sicchè il messaggio propagandistico è passato, come a suo tempo è passata una riforma, quella Delrio, che si era visto subito essere dannosa e mal concepita e destinata a determinare gli sfasci cui stiamo assistendo, ben nascosti sotto la cortina di articoli come quelli del Corriere.

 

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