21/05/2019 – Contratti derivati: la Corte dei conti può sindacare l’operato degli amministratori locali

Contratti derivati: la Corte dei conti può sindacare l’operato degli amministratori locali

Di Antonella Delle Donne – Professionista – Avvocato – Pubblicato il 20/05/2019
La legge n. 20/1994 (art. 1) stabilisce che “la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali”.
L’operato di amministratori di enti locali che abbiano autorizzato la stipula di contratti di finanza derivata dannosi è sindacabile dal giudice contabile, oppure una simile valutazione viola il limite dell’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali?
A questa domanda rispondono le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione, con la sentenza 5 aprile 2019, n. 9608.
La pronuncia in commento segue un ricorso avverso la sentenza n. 1306 del 7 dicembre 2016 con cui la Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei Conti, provvedendo sull’appello proposto dal Procuratore Regionale della Corte dei Conti presso la Sezione Giurisdizionale della Regione Umbria avverso la sentenza di quella Sezione n. 44 del 2012 che aveva ritenuto infondati gli addebiti di responsabilità per danno erariale causati da un’operazione di finanza derivata eseguita dal Comune di Polino e imputata al responsabile dell’Area Ammministrativo- Finanziaria e al sindaco, in parziale accoglimento dell’appello, riconosce la responsabilità dei ricorrenti condannandoli al risarcimento del danno erariale.
L’unico motivo di ricorso attiene al difetto di giurisdizione del giudice contabile per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 recante “Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti”.
La norma menzionata, dopo aver descritto la responsabilità erariale come personale e limitandola alle ipotesi dolose o gravemente colpose, con esclusione dei casi di colpa lieve onde evitare una paralisi della macchina burocratica, sottrae a qualsiasi giudizio le scelte discrezionali della pubblica amministrazione. Esse rientrano nell’ambito del merito amministrativo concernente l’opportunità dell’agere del munus pubblico, pertanto, insindacabili con rispetto del principio della divisione dei poteri, di cui Montesquieu risulta essere il padre. L’idea di fondo è, infatti, quella di scongiurare che il giudice, appartenente al potere giudiziario, possa ingerirsi nelle valutazioni proprie della p.a., in ogni caso lecite, travalicando i confini delle diverse sfere di potere. Il fondamento logico- giuridico è rinvenibile nella teoria, di origine anglosassone, “dei pesi e contrappesi” con controllo reciproco delle varie funzioni statali per eludere possibili manovre accentratrici. 
Su tali assunti si basano le doglianza prospettate dai ricorrenti e motivate in base a diverse circostanze fattuali.
In primo luogo è posta in evidenza la correttezza della decisione del giudice di prime cure giunto all’assoluzione argomentando circa la legittimità del contratto di swap, l’assenza di elementi idonei a rendere l’operazione illogica e dannosa, l’insussistenza dell’elemento soggettivo .
Si sottolinea, inoltre, come neanche nella condanna in appello sono contestati profili di eccesso di potere o di violazione di legge, vizi tipici di legittimità, né la violazione delle regole di buon andamento, efficacia e efficienza di cui all’art. 97 Cost. e recepite dal legislatore nell’art. 1 legge 7 agosto 1990, n. 241, contestando la decisione al responsabile dell’area finanziaria la sola omessa richiesta di una consulenza preventiva alla società specializzata, incaricata dal Comune solo nel 2008 e al sindaco di non aver preteso l’inserimento della clausola contrattuale compensativa dei cd ‘costi impliciti’ non riconosciuti dall’intermediario.
La Suprema Corte, nella sua composizione più autorevole, dichiara il motivo di ricorso inammissibile disattendendo, in via preliminare, l’eccezione formulata dalla Procura Generale presso la Corte dei Conti circa la mancata opposizione del difetto di giurisdizione contabile in primo e in secondo grado con successiva preclusione.
Nel caso in esame, osserva la Corte, l’eccesso di potere giurisdizionale è addebitato alla sentenza di appello, quindi, può essere fatto valere solo con ricorso per Cassazione come è avvenuto assumendo i ricorrenti l’invasione della sfera di discrezionalità amministrativa.
Nel merito, però, i giudici disattendono quanto prospettato affermando che la Corte dei Conti si è mossa nell’ambito del sindacato ad essa affidato.
La motivazione prende le mosse da una ricostruzione normativa e giurisprudenziale del caso sottoposto alla sua valutazione ritenendo corretti i richiami operati dai ricorrenti all’art. 1, 1° comma legge n. 20 del 1994 e alla sentenza n. 7024 del 2006 ove è dettagliatamente descritto il presupposto per dedurre l’eccesso di potere giurisdizionale coincidente con indebite ingerenze nella discrezionalità dell’amministrazione. I principi espressi nell’art. 1 della legge n. 241 del 1990, di matrice costituzionale, infatti, rilevano sul piano della legittimità e non solo dell’opportunità. Non si tratta, dunque, di controllo dell’esercizio della discrezionalità, bensì di verifica della conformità a legge dell’azione amministrativa.
Tale prospettiva è conforme anche a altri precedenti esegetici tra cui SSUU n. 14448 del 2003 laddove si legge che rientra tra i compiti della Corte dei Conti la verifica di conformità dell’attività della p.a. al pubblico interesse.
L’organo giudicante palesa come i ricorrenti hanno piena consapevolezza di tali orientamenti pretori, ma errano nelle conclusioni laddove chiosano: “Posta la questione in questi termini (cioè nei sensi emergenti dai detti principi), non vi è dubbio che la scelta di mezzi finanziari e la stessa previsione di spesa pur nel quadro dei principi di economicità e di efficienza – costituisce il vero e proprio eldorado delle valutazioni discrezionali. Sicché può convenirsi col ricorrente che non può essere rimesso al giudice – qualunque esso sia, purché abbia il compito di effettuare un riesame della legittimità dell’azione amministrativa – un diretto sindacato circa la scelta dei mezzi più idonei – ad erogare la spesa”.
La Corte di seconde cure, infatti, non censura la scelta di operare la ristrutturazione attraverso l’acquisto di derivati, ma il contenuto della stessa. Non si entra nel merito amministrativo poiché non si va a sindacare la preferenza per una specifica opzione tra diverse possibili e lecite, bensì la diligenza nella gestione e nell’attuazione della stessa.
La discrezionalità pura è, infatti, intesa quale facoltà concessa alla p.a. di privilegiare soltanto una tra molteplici alternative legittime sempre nel rispetto del pubblico interesse.
Nella fattispecie in esame non si rinvengono tali connotati poiché il giudice d’appello basa la propria decisione, affermando la responsabilità degli odierni ricorrenti, sulla violazione dei criteri di buon andamento, efficacia, efficienza imposti nell’esercizio dell’attività amministrativa dall’art. 1 legge n. 241 del 1990 e costituenti parametri di legittimità avulsi da qualsiasi sindacato discrezionale e attinenti solo a una verifica di conformità a legge delle scelte degli amministratori.
La pronuncia del giudice contabile, infatti, incide sul modo in cui il responsabile finanziario ha effettuato la scelta procedendo alla stipula del contratto senza avere idonee competenze in materia né piena consapevolezza degli effetti dello stesso sul bilancio del Comune cui era preposto così come il sindaco ha omesso di richiedere l’inserimento della clausola di salvaguardia della liquidità.
Oggetto di giudizio, pertanto, non è la scelta del mezzo, ma il modus agendi, le modalità con cui il dipendente e il sindaco hanno dato attuazione alla loro decisione di acquistare derivati.
Né, si legge nella pronuncia in esame, possono essere accolte le censure relative all’esercizio della giurisdizione da parte del giudice contabile concernenti la corretta applicazione delle norme e i riscontri probatori fattuali che, al più, rileverebbero quali indici di cattivo esercizio di un potere giurisdizionale comunque esistente.
Per tutti i motivi esplicitati e richiamati i numerosi precedenti tra cui, Cass., Sez. Un. n. 1376 del 2006, Cass., Sez. Un. n. 5490 del 2014, Cass. Sez. Un. n. 6820 del 2017, Cass. Sez. Un. n. 10774 del 2018, è affermato il seguente principio di diritto: “Nel regime della L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 1, primo inciso, con riferimento ad una sentenza con cui la Corte dei Conti abbia ritenuto la responsabilità del sindaco e degli assessori comunali e di un funzionario in relazione alla conclusione, rivelatasi dannosa, di un’operazione di finanza derivata (del tipo Interest Rate Swap, con clausola Floor e di Cap) in funzione di un’esigenza di c.d. ristrutturazione del debito comunale ai sensi della L. n. 448 del 2001, art. 41, e norme attuative, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si censuri la decisione del Giudice contabile per pretesa invasione della sfera della discrezionalità dell’amministrazione e, quindi, per eccesso di potere giurisdizionale, lamentando l’erroneità della valutazione cui il Giudice contabile, per affermare la responsabilità, abbia proceduto a valutare l’operato del funzionario e degli amministratori comunali, addebitando rispettivamente al primo di avere concluso il relativo contratto senza avere esperienza sulle operazioni derivate e senza avvalersi di una preventiva consulenza sul contenuto del contratto, ed agli amministratori di avere consentito tale conclusione e di avere adottato la deliberazione senza i pareri previsti dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 49. L’inammissibilità del motivo è giustificata perchè la censura così prospettata inerisce ad una valutazione che il Giudice contabile ha effettuato sull’azione del funzionario e degli amministratori secondo i criteri di efficacia ed economicità di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 1, e, dunque, secondo parametri di legittimità che la collocano all’interno della giurisdizione contabile e non esprimono un sindacato del merito delle scelte discrezionali dell’amministrazione di cui alla L. n. 20 del 1994, citato art. 1, come tale fonte del prospettato eccesso di potere giurisdizionale”.
(Altalex, 20 maggio 2019. Nota di Antonella Delle Donne)

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