20/11/2018 – Esenzioni ICI e immobili di proprietà degli enti ecclesiastici. Sentenza del 21/09/2018 n. 871 – Comm. Trib. Reg. per l’Abruzzo

Esenzioni ICI e immobili di proprietà degli enti ecclesiastici. Sentenza del 21/09/2018 n. 871 – Comm. Trib. Reg. per l’Abruzzo

La CTR dell’Aquila, rifacendosi alla recente pronuncia della Suprema Corte n. 18821 del 28/07/2018, ha confermato che l’esenzione ICI per gli immobili di proprietà degli enti ecclesiastici non si applica ai fabbricati che vengono normalmente utilizzati per lo svolgimento di attività ricettive.

Testo della sentenza: 
Con rituale ricorso la Provincia religiosa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo ricorreva avverso l’avviso di accertamento con cui il Comune di Pescara aveva chiesto il pagamento dell’ICI per l’anno 2010, per ? 39.146,00, in relazione ad immobili siti nel Comune di Pescara. La ricorrente eccepiva che: – per gli immobili, ricadenti nelle categorie 3/1, 3/2 e D/8, non era dovuto alcun tributo in quanto l’Ente andava esente dall’imposta ex art. 7, lett. i) d.lgs. 504/92, trattandosi di ente ecclesiastico riconosciuto; – gli immobili erano utilizzati per gli scopi istituzionali dell’Ente, di culto e religiosi, senza fini di lucro; – gli enti ecclesiastici riconosciuti, con finalità di culto, non potevano essere assoggettati all’ICI in quanto, anche ove svolgessero una collaterale attività commerciale, agli stessi non poteva applicarsi la normativa sugli enti commerciali.
Si costituiva in giudizio il Comune di Pescara che ribadiva la legittimità del proprio operato e chiedeva il rigetto del ricorso. Precisava che: – gli immobili oggetto di giudizio erano una palestra, dove si svolgevano attività a pagamento, ed uno stabilimento balneare che non avevano natura religiosa ma tipicamente commerciale.
La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 675 del 7.06.2017, depositata il 29.06.2017, rigettava il ricorso. Osservava che: – la ricorrente aveva l’onere di dimostrare la sussitenza dei presupposti per godere dell’esenzione dal pagamento dell’imposta ma, nel ricorso, si era limitata a dedurre circa l’impossibilità in generale dei beni ecclesiastici di essere assoggettati al tributo, nulla precisando in ordine alla tipologia di immobili né alle attività in essi espletate; – la Cassazione aveva già precisato che l’esenzione spettava esclusivamente per gli immobili concretamente utilizzati per le attività di culto; – in sede di discussione la difesa dell’Ente aveva prodotto le autorizzazioni allo svolgimento dell’attività sanitaria concessa all’Istituto Don Orione ed una precedente sentenza emessa dalla CTP ma senza fornire alcuna prova concreta dell’attività espletata effettivamente negli immobili oggetto di causa.
Avverso detta decisione proponeva appello l’Ente ecclesiastico chiedendo la riforma della sentenza impugnata. Deduceva che: – la sentenza era errata nella parte in cui aveva ritenuto non provata la natura e l’uso degli immobili di proprietà dell’Ente; – gli immobili erano classificati quali B/1 e B/2 per cui, notoriamente, si trattava di casa di cura e convento; – detti dati erano riportati sullo stesso avviso di accertamento; – in sede di discussione si era discusso dell’utilizzo degli immobili con produzione di tutta la documentazione relativa alle autorizzazioni allo svolgimento dell’attività sanitaria; – era stata prodotta anche sentenza della CTP del 2009 che aveva accolto il ricorso e, da allora, nulla era cambiato nell’uso degli immobili; – l’immobile indicato in catasto come B/1 era un convento, usato per le attività istituzionali religiose e di culto; quello indicato come B/2 veniva usato per l’esercizio dell’attività sanitaria in regime di convenzione con la P.A.; – l’immobile accatastato come D/8, per il quale l’ente era concessionario precario dell’area di proprietà del demanio, era usato come deposito di sdraio e ombrelloni usati nel periodo estivo da anziani e disabili dei vari centri Don Orione di tutta Italia; – per tale attività non veniva incassato alcun corrispettivo né il c.d. stabilimento balneare risultava aperto al pubblico. Ripercorreva tutta la normativa che disciplinava gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e qualificati. ex lege, “non commerciali”.
Si costituiva in giudizio il Comune di Pescara chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. Osservava che: – l’esenzione non spettava se l’immobile perdeva il carattere della strumentalità all’esercizio delle attività considerate oppure se usciva dalla sfera di disponibilità del soggetto; – non vi era connessione tra l’attività di culto e quella sanitaria; – le sentenze richiamate dall’appellante erano inconferenti; – tUE aveva chiarito che anche le attività senza scopo di lucro potevano essere considerate imprese se si ponevano in concorrenza con le altre; – il diritto all’esenzione spettava esclusivamente agli enti non commerciali per immobili posseduti dall’ente utilizzatore ed utilizzati esclusivamente per lo svolgimento delle attività indicate dall’art. 7, e. 1, lett i) d.lgs. 504/92; – l’esenzione non poteva essere riconosciuta nel caso in cui nell’immobile, oltre all’attività istituzionale, fosse svolta anche altra attività, anche se non prevalente; – relativamente agli immobili oggetto di causa, il comprensorio Don Orione veniva destinato anche ad attività sportive per le quali si pagava un corrispettivo che faceva venir meno il requisito oggettivo dell’esclusiva destinazione alle attività religiose e di culto; – per le unità site in Via Primovere (stabilimento balneare), in base a quanto dichiarato dallo stesso appellante, non erano chiare le modalità di svolgimento delle attività assistenziali, previdenziali etc.
Questo Collegio ritiene di dover respingere l’appello del contribuente e confermare la decisione impugnata.
Preliminarmente, va ricordato che in tema di 1Cl, l’esenzione dall’imposizione fiscale riconosciuta ai soggetti indicati nell’art. 7, comma primo, lett. i), del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, spetta a condizione che gli immobili stessi siano “destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività contemplate dalla medesima norma, tra le quali, nel caso di enti ecclesiastici, quelle di religione e/o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana etc.
In base al dettato del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 cit., l’esenzione dall’imposta è subordinata sia al requisito oggettivo, rappresentato dallo svolgimento esclusivo nell’immobile di attività di assistenza o di altre attività equiparate, sia di un requisito soggettivo, costituito dallo svolgimento ditali attività da parte di un ente pubblico o privato che non abbia come oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali.
Quindi, il beneficio fiscale non spetta per quegli immobili che, pur appartenenti ad un ente ecclesiastico, siano concretamente ed oggettivamente destinati allo svolgimento di attività commerciali.
Chiaramente, mentre il requisito soggettivo risulta di facile valutazione, la sussistenza del requisito oggettivo – che in base ai principi generali è onere del contribuente dimostrare – non può essere desunto esclusivamente sulla base di documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato, ma occorre invece verificare se tale attività, pur rientrante tra quelle esenti, sia svolta, in concreto, con le modalità di un’attività commerciale.
Infatti, “l’esenzione è riconosciuta solo per gli immobili destinati in via esclusiva allo svolgimento di una attività di religione o di culto mentre non si applica per i fabbricati che, seppur di proprietà di enti ecclesiastici, vengono normalmente utilizzati per lo svolgimento di attività recettiva non rilevando in contrario né la destinazione degli utili eventualmente ricavati al perseguimento di fini sociali o religiosi, che costituisce un momento successivo alla loro produzione e non fa venire meno il carattere commerciale dell’attività, né il principio della libertà di svolgimento di attività commerciale da parte di un ente ecclesiastico” (Cass. n. 12821 del 22.07.20 17).
Ne consegue che il Giudice, chiamato a valutare l’assoggettabilità ad ICl di un immobile appartenente ad un ente ecclesiastico, deve concretamente e sulla base degli elementi di prova forniti dalla parte, valutare la “natura commerciale” sulla base delle modalità concrete di svolgimento delle attività suddette.
Ne consegue che, in base ai principi generali, resta onere del contribuente dimostrare l’esistenza in concreto dei requisiti di esenzione a mezzo della prova che le attività cui l’immobile è destinato non sia svolta con le modalità di attività commerciale (Cass. n. 4502 del 2012).
La Cassazione, nella già citata sentenza n. 18821/2017 ha anche precisato che “Il requisito di una attività commerciale corrisponde ad un dato oggettivo, e va riferito a specifiche modalità di esercizio, tali, da un lato, da escludere gli elementi tipici dell’economia di mercato (quali il lucro soggettivo e la libera concorrenza,) e da affermare presenti, invece, dall’altro, le finalità solidaristiche insite nella “ratio” della fattispecie di esenzione. In questo senso la combinazione del requisito oggettivo e soggettivo comporta che le attività svolte negli immobili siano di fatto sottratte, anche in base al reimpiego dei proventi, alla logica pura di realizzazione del profitto che è propria del mercato, e siano svolte, quindi, per rispondere ai bisogni socialmente rilevanti non sempre suscettibili di essere soddisfatti dalle strutture pubbliche”.
Inoltre, giova precisare che la Cassazione, con specifico riferimento all’attività di assistenza di pellegrini — equiparabile di fatto a quella di sostegno e assistenza a disabili ed anziani nel periodo estivo — ha escluso l’esenzione, stabilendo che: “In terna di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i,), del dlgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è prevista a condizione che gli immobili, appartenenti ai soggetti di cui all’art. 87 (ora 73), comma 1, lett. c), del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano destinati esclusivamente allo svolgimento di una delle attività ivi contemplate, tra le quali quelle indicate nel richiamato art. 16, tett. a), delta legge 20 maggio 1985, n. 222 (attività di religione o di culto, cioè dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana,) e, pertanto, non spetta in relazione ad un immobile, appartenente ad un ente religioso, destinato ad attività alberghiera o ad assistenza di pellegrini” (Cass. n. 5041 del 2015, conf. n. 16722 del 2010, n. 23584 del 2011).
Nella fattispecie in esame, con riferimento alle censure del contribuente nell’odierno giudizio, va osservato che l’Ente si è limitato a produrre autorizzazioni all’esercizio di attività sanitaria concesse all’Istituto Don Orione e ad addurre argomentazioni prive di adeguato sostegno probatorio.
Infine, la sentenza del 2009 con cui era stato accolto il ricorso del contribuente non può essere considerato come giudicato esterno in quanto la vertenza non riguarda lo status non modificabile, bensì la situazione in concreto con il conseguente onere probatorio a carico del contribuente che permane annualmente secondo i vari periodi di imposta.
Pertanto, l’appello non può essere accolto.
Il contrasto originario ed il recente consolidamento della giurisprudenza di legittimità sull’argomento, giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
PQM
Rigetta l’appello. Spese compensate.
Pescara 19.07.2018.

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