tratto da forumsegretari.emunicipio.it. Un interessante articolo pubblicato su Lexitalia di Antonio Vetro (presidente emerito della Corte dei Conti) in merito al disegno di legge A.S. n. 1577 che evidenzia i gravi profili di illegittimità costituzionali

La disciplina sugli incarichi dirigenziali nella p.a. alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale. Esame del disegno di legge A.S. n. 1577, approvato dal Senato il 30 aprile 2015. Profili di responsabilità amministrativo-contabile, secondo le più recenti sentenze della Corte dei conti.

 

Di  ANTONIO VETRO

 

1) La disciplina della dirigenza, alla luce degli insegnamenti della Corte costituzionale.

La disciplina della dirigenza statale, successiva alla c.d. privatizzazione, con particolare riguardo al rapporto tra politica e amministrazione, è stata esaminata in modo approfondito dalla Consulta, nella sentenza n. 103/2007, concernente la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge n. 145/2002, in relazione agli artt. 97 e 98 della Costituzione. La Consulta ha illustrato l’evoluzione legislativa che ha riguardato il settore in esame, a partire dalla cosiddetta “prima privatizzazione” della dirigenza, allo scopo di verificare in quale modo sia stata regolamentata la relazione tra vertice politico e dirigenti sul piano delle rispettive funzioni.

La legge n. 421/1992 ha autorizzato l’Esecutivo a stabilire con decreto che i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni dello Stato e di altri enti pubblici fossero disciplinati dal diritto civile e regolati mediante contratti individuali e collettivi e, in attuazione della delega, il d.lgs. n. 29/1993 ha disposto l’applicazione a tali rapporti della disciplina sul lavoro del diritto privato. Riguardo al rapporto tra politica e amministrazione, la legge n. 421/1992 ha autorizzato il Governo a prevedere la separazione tra i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa; l’affidamento ai dirigenti, nell’ambito delle scelte di programma fissate dal titolare dell’organo, di autonomi poteri di direzione, di vigilanza e di controllo, in particolare la gestione delle risorse finanziarie e, in attuazione di tale delega, l’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 29/1993 ha previsto che ai dirigenti spettasse «la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l’adozione di tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e strumentali e di controllo», con la precisazione della loro responsabilità per la gestione e per i relativi risultati.

Successivamente, l’art. 11, comma 4, della legge n. 59/1997 ha previsto che si dovesse estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali delle amministrazioni pubbliche, inizialmente esclusi da tale disciplina, ribadendo il principio della separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e quelli di direzione delle amministrazioni.

In attuazione della predetta legge delega sono stati emanati i decreti legislativi n. 80/1998 e n. 387/1998, con i quali è stato esteso il regime della contrattualizzazione ai dirigenti generali ed è stato previsto l’accesso alla qualifica di dirigente esclusivamente tramite concorso per esami seguito dalla stipulazione del contratto di lavoro (art. 28), nonché l’iscrizione dei soggetti, in tal modo selezionati, nel ruolo unico dei dirigenti, articolato in due fasce (art. 23), al quale ruolo ciascuna amministrazione statale avrebbe dovuto rivolgersi per il conferimento dei relativi incarichi, riguardanti tre tipologie: incarichi apicali (segretario gen.le di ministeri ecc.), conferiti con d.P.R., ai dirigenti della prima fascia; incarichi di direzione degli uffici di livello dirigenziale generale, attribuiti con d.P.C. ai dirigenti della prima fascia del ruolo unico o, in misura non superiore ad un terzo, ai dirigenti del medesimo ruolo unico ovvero, con contratto a tempo determinato, a persone in possesso di specifiche qualità professionali; infine, incarichi di direzione degli altri uffici di livello dirigenziale, conferiti dal dirigente dell’ufficio di livello dirigenziale generale, ai dirigenti assegnati al suo ufficio.

Per tutti i predetti incarichi è stato previsto il principio della temporaneità degli incarichi, aventi durata non inferiore a due anni e non superiore a sette anni con facoltà di rinnovo e, in mancanza di riconferma, il collocamento in disponibilità dell’interessato presso il ruolo unico, con possibilità di svolgimento, su richiesta delle amministrazioni interessate, di funzioni ispettive, di consulenza, di studio e ricerca o di altri incarichi. È stata anche sancita la cessazione dell’incarico in conseguenza dell’accertamento di una responsabilità dirigenziale per risultati negativi dell’attività svolta o mancato raggiungimento degli obiettivi.

I citati d.lgs. nn. 80 e 387 del 1998 hanno accentuato il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico- amministrativo degli organi di Governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti, riconoscendo esplicitamente che il rapporto tra politica e amministrazione non è più ricostruibile in termini di gerarchia, bensì di coordinamento funzionale e di collaborazione tra i due livelli. Il descritto quadro normativo è poi confluito nel d.lgs. n. 165 del 2001.

La Consulta, nella citata sentenza n. 103/2007, ha precisato che la prevista contrattualizzazione della dirigenza non implica che la pubblica amministrazione abbia la possibilità di recedere liberamente dal rapporto stesso (sentenza n. 313 del 1996), in quanto si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività gestoria, con la conseguenza che il rapporto di ufficio, pur se caratterizzato dalla temporaneità dell’incarico, debba essere connotato da specifiche garanzie in modo da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa ed una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione, al fine di consentire che il dirigente generale possa espletare la propria attività in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.). In tale prospettiva, (sentenza n. 193 del 2002 e ordinanza n. 11 del 2002), vanno previste adeguate garanzie procedimentali nella valutazione dei risultati e dell’osservanza delle direttive ministeriali finalizzate alla adozione di un eventuale provvedimento di revoca dell’incarico per accertata responsabilità dirigenziale.

In questo contesto si colloca la legge n. 145/2002, che ha ripristinato l’accesso alla qualifica mediante concorso per esame e corso-concorso selettivo di formazione, ha abolito il ruolo unico, prevedendo il ruolo dei dirigenti per ciascuna amministrazione statale e, riguardo ai criteri di conferimento dell’incarico, ha stabilito che si debba tenere conto delle capacità professionali del singolo dirigente e dei risultati conseguiti con riferimento agli obiettivi fissati negli atti di indirizzo del Ministro e che la durata dell’incarico, correlata agli obiettivi prefissati, non poteva eccedere, per gli incarichi di funzioni dirigenziali di livello generale, il termine di tre anni. Inoltre, il mancato raggiungimento degli obiettivi ovvero l’inosservanza delle direttive, valutati con i sistemi e le garanzie di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 286/1999, comportavano l’impossibilità di rinnovo dell’incarico dirigenziale.

L’art. 3, comma 7, della citata legge n. 145/2002 – che non riguarda la posizione dei dirigenti con incarichi “apicali” i quali cessano dalla funzione decorsi novanta giorni dal voto sulla fiducia al Governo – prevede due diversi meccanismi transitori di incidenza sul rapporto di ufficio, in corso alla data di entrata in vigore della legge stessa, stabilendo: a) per gli incarichi di funzioni dirigenziali di livello non generale, che gli stessi possano essere sottoposti, entro novanta giorni dall’entrata in vigore della predetta legge, ad un giudizio di revisione e ridistribuzione, intendendosi confermati, ove nessun provvedimento fosse stato adottato; b) per gli incarichi di funzione dirigenziale di livello generale, che gli stessi cessino automaticamente il sessantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della legge.

Secondo la Consulta (sent. cit. n. 103/2007), la disposizione, relativa al punto b), sulla quale era stata prospettata la questione di legittimità, prevedendo un meccanismo (c.d. spoils system una tantum) di cessazione automatica, ex lege e generalizzata degli incarichi dirigenziali di livello generale, al termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, si poneva in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione in quanto, determinando una interruzione automatica del rapporto di ufficio ancora in corso, violava, in carenza di garanzie procedimentali, il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello del buon andamento dell’azione stessa ed, in particolare, il rispetto del canone dell’efficacia e dell’efficienza alla luce dei risultati che il dirigente deve perseguire, avendo a disposizione un periodo di tempo adeguato.

Quindi, la revoca delle funzioni può essere determinata soltanto per accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti ed a seguito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato che assicuri al dirigente la possibilità di far valere il diritto di difesa (sent. n. 193 del 2002), in osservanza dei principi del giusto procedimento, all’esito del quale dovrà essere adottato un atto motivato che consenta un controllo giurisdizionale delle ragioni alla base della determinazione dell’organo politico, nel rispetto della distinzione funzionale tra azione di governo, di parte politica, e azione dell’amministrazione, la quale, pur tenendo conto dell’indirizzo politico, è vincolata ad agire al «servizio esclusivo della Nazione», ai sensi dell’art. 98 Cost. (sentenze n. 104/2007, 390/2008, 304/2010).

Con analoga motivazione la Consulta, con sentenza n. 161/2008 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 161, del d.l. n. 262/2006, convertito con legge n. 286/2006, nella parte in cui dispone che gli incarichi conferiti al personale dirigenziale ivi indicato cessino ove non confermati entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto.

Con sentenza n. 155/2011 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., della legge di una Regione che consentiva di continuare ad avvalersi, sino alla scadenza, di incarichi dirigenziali regionali, in contrasto con l’art. 14, comma 21, del decreto-legge n. 78/2010, il quale stabiliva che tali contratti fossero revocati di diritto, in quanto la stessa Regione non aveva rispettato il patto di stabilità interno che, da un lato, indicava «limiti complessivi di spesa» e, dall’altro, prevedeva «sanzioni volte ad assicurarne il rispetto». Infatti, la disciplina regionale censurata si poneva in palese contrasto con i principi di coordinamento finanziario fissati dalle disposizioni legislative statali.

Con sentenza n. 310/2011 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost., di una legge regionale che consentiva la prosecuzione nella validità degli incarichi dirigenziali, in contrasto con l’art. 40 del d.lgs. n. 150/2009 che, a modifica dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, al comma 6 stabiliva, con riferimento agli incarichi a soggetti esterni ai ruoli dell’amministrazione conferente, che la durata di questi ultimi «non può eccedere, per gli incarichi di funzione dirigenziale, di cui ai commi 3 e 4, il termine di tre anni, e, per gli altri incarichi di funzione dirigenziale, il termine di cinque anni». La suddetta normativa statale in materia di incarichi dirigenziali, conferiti a soggetti esterni all’amministrazione, è stata ritenuta dalla Corte riconducibile alla materia dell’ordinamento civile di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., poiché il conferimento di incarichi dirigenziali a soggetti esterni, disciplinato dalla normativa citata, si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato. Nella materia dell’ordinamento civile, devono ritenersi compresi anche i precetti relativi alla durata massima dell’incarico (sentenza n. 324/2010).

Con sentenza n. 217/2012 la Corte cost. ha ritenuto in contrasto con l’art. 97 Cost. una legge regionale secondo cui il personale del ruolo regionale che svolgeva incarichi dirigenziali a tempo determinato era inquadrato nel ruolo unico dei dirigenti regionali con incarico a tempo indeterminato. La Corte, richiamate le più recenti sentenze in materia (n. 299/2011, n. 90, n. 62, n. 51, n. 30 del 2012), ha posto in rilievo che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, di cui all’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo

rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali al buon andamento e ricorrano straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle; con la conseguenza che va esclusa la legittimità di arbitrarie restrizioni alla partecipazione alle procedure selettive, dovendosi riconoscere al concorso pubblico un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e quelli di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non instaurati dall’origine mediante concorso, in rapporti di ruolo.

Con sentenza n. 81/2013 la Corte cost. ha puntualizzato che la separazione tra funzioni di indirizzo politico-amministrativo e funzioni di gestione amministrativa costituisce un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost. L’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, però, spetta al legislatore. A sua volta, tale potere incontra un limite nello stesso art. 97 Cost.: nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, il legislatore non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione.

Con sentenza n. 27/2014 la Corte cost., confermando l’indirizzo consolidato espresso, da ultimo, nelle sentenza n. 228/2011 e n. 152/2013, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme regionali che prevedevano la decadenza automatica dei direttori generali, nella specie, delle aziende sanitarie locali, per violazione dell’art. 97 Cost. sotto diversi profili: contrasto con il principio di buon andamento, perché il meccanismo di decadenza automatica incide sulla continuità dell’azione amministrativa; violazione dei principi di efficienza e di efficacia, perché impedisce una valutazione oggettiva dell’operato del funzionario; violazione del principio di imparzialità dell’azione amministrativa, perché introduce un’ipotesi di cessazione anticipata e automatica dall’incarico del direttore generale dipendente da un atto dell’organo politico; violazione del principio del giusto procedimento, perché non prevede «il diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la motivazione di tale decisione» (sentenze n. 34 del 2010 e n. 390 del 2008).

Con sentenza n. 37/2015 la Corte cost. ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16/2012, convertito con legge n. 44/2012, il quale faceva salvi, per il passato, gli incarichi dirigenziali già affidati dalle Agenzie delle entrate a propri funzionari, e consentiva, nelle more dell’espletamento delle procedure concorsuali, di attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata era fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Secondo la Consulta, tale disposizione ha contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di un’assegnazione asseritamente temporanea di mansioni superiori, senza provvedere alla copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica. Al contrario, il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito della p.a. deve avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, ed il concorso è necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio.

Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso.

 

2) La nuova normativa contenuta nel disegno di legge A.S. n. 1577, approvato dal Senato il 30 aprile 2015: osservazioni su profili di illegittimità costituzionale e di irragionevolezza.

Prima di esaminare il disegno di legge in questione, che ha previsto radicali modifiche all’istituto della dirigenza presso la p.a., con particolare riguardo ai rapporti con il potere politico, è opportuno enucleare i principi formulati dalla Consulta sui requisiti di costituzionalità da osservare, alla luce delle sopracitate sentenze, particolarmente significative, nell’ambito delle numerose decisioni emesse in materia.

A) Uno stretto legame fiduciario con il potere politico non consente ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività gestoria la quale, pur tenendo conto dell’indirizzo politico, è vincolata nell’azione al «servizio esclusivo della Nazione», ai sensi dell’art. 98 Cost.

B) La chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione persegue la finalità di consentire al dirigente generale di espletare la propria attività in conformità ai principi di imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Cost.).

C) Il legislatore, nell’identificare gli atti di indirizzo politico amministrativo e quelli a carattere gestionale, non può compiere scelte che, contrastando in modo irragionevole con il principio di separazione tra politica e amministrazione, ledano l’imparzialità della pubblica amministrazione.

D) Un meccanismo (c.d. spoils system una tantum) di cessazione automatica, ex lege e generalizzata degli incarichi dirigenziali si pone in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione: in particolare, con il principio di buon andamento, con i principi di efficienza e di efficacia, con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, con il principio del giusto procedimento.

E) La revoca delle funzioni può essere determinata soltanto per accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti e all’esito di un procedimento di garanzia che garantisca il diritto di difesa: in osservanza dei principi del giusto procedimento, dovrà essere adottato un atto motivato che consenta un controllo giurisdizionale delle ragioni del provvedimento emesso dall’organo politico.

F) La disciplina regionale in materia di conferimento di incarichi dirigenziali che si ponga in contrasto con i principi di coordinamento finanziario fissati dalle disposizioni legislative statali, riguardo al patto di stabilità interno sui limiti complessivi di spesa e sulle sanzioni volte ad assicurarne il rispetto, comporta la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

G) La prosecuzione nella validità degli incarichi dirigenziali regionali, in contrasto con la normativa statale, viola l’art. 117, secondo comma, lettera l, Cost., in quanto la normativa statale è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile previsto nella citata disposizione costituzionale, tenuto conto che il conferimento di incarichi dirigenziali si realizza mediante la stipulazione di un contratto di lavoro di diritto privato.

H) La facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del pubblico concorso, previsto dall’art. 97 Cost., deve essere delimitata in modo rigoroso, potendo tali deroghe essere considerate legittime solo quando siano funzionali al buon andamento e ricorrano straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle. Di conseguenza, il conferimento di incarichi dirigenziali nell’ambito della p.a. deve avvenire, in linea generale, previo esperimento di un pubblico concorso, necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio o di passaggio ad una fascia funzionale superiore.

L’art. 9 del nuovo disegno di legge delega, approvato da uno dei rami del Parlamento, prevede, in sintesi, i seguenti principi e criteri direttivi:

a) Articolazione in ruoli unificati del sistema della dirigenza pubblica caratterizzato dalla piena mobilità tra i ruoli;

b) Inquadramento: I) dei dirigenti dello Stato, con istituzione di un ruolo unico dei dirigenti statali presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, eliminazione della distinzione in due fasce, confluenza nei suddetti ruoli dei dirigenti di ruolo, istituzione presso la P.C.M., Dipartimento della funzione pubblica, di una Commissione per la dirigenza statale, previsione delle relative funzioni sul rispetto dei criteri di conferimento degli incarichi e dei sistemi di valutazione al fine del conferimento e della revoca degli incarichi, attribuzione delle funzioni già di competenza del Comitato dei garanti; II) dei dirigenti delle regioni: istituzione di un ruolo unico dei dirigenti regionali, confluenza nel suddetto ruolo dei dirigenti di ruolo, attribuzione della gestione del ruolo unico a una Commissione per la dirigenza regionale; III) dei dirigenti degli enti locali: istituzione di un ruolo unico dei dirigenti degli enti locali, confluenza nel suddetto ruolo dei dirigenti di ruolo negli enti locali, attribuzione della gestione del ruolo unico a una Commissione per la dirigenza locale; IV) dei segretari comunali e provinciali: abolizione della figura, attribuzione alla dirigenza dei compiti di attuazione dell’indirizzo politico, coordinamento dell’attività amministrativa e controllo della legalità dell’azione amministrativa, inserimento di coloro che sono iscritti all’albo nazionale dei segretari comunali e provinciali nelle fasce professionali A e B nel ruolo unico dei dirigenti degli enti locali e soppressione del predetto albo.

c) Accesso alla dirigenza: I) per corso-concorso con titolo di studio non inferiore alla laurea magistrale, cadenza annuale del corso-concorso, immissione in servizio dei vincitori come funzionari, con obblighi di formazione, per i primi quattro anni e successiva immissione nel ruolo unico della dirigenza previo superamento di un esame; II) per concorso con titolo di studio non inferiore alla laurea magistrale, cadenza annuale del concorso per i posti disponibili nella dotazione organica, assunzione a tempo determinato e successiva a tempo indeterminato previo esame di conferma, dopo il primo triennio di servizio, risoluzione del rapporto di lavoro, con eventuale inquadramento nella qualifica di funzionario, in caso di mancato superamento dell’esame di conferma.

d) Sistema di formazione dei pubblici dipendenti: revisione della Scuola nazionale dell’amministrazione.

e) Definizione di obblighi formativi dei dirigenti.

f) Ampliamento delle ipotesi di mobilità tra amministrazioni pubbliche nonché tra le amministrazioni pubbliche e il settore privato.

g) Conferimento degli incarichi dirigenziali: possibilità di conferire gli incarichi ai dirigenti appartenenti a ciascuno dei tre ruoli dei dirigenti statali, regionali e degli enti locali; definizione dei requisiti necessari; conferimento degli incarichi mediante procedura con avviso pubblico, requisiti definiti dall’amm.ne secondo criteri generali indicati dalle Commissioni; preselezione di candidati per gli incarichi relativi ad uffici di vertice e di livello dirigenziale generale, da parte delle Commissioni e scelta da parte del soggetto nominante; valutazione di congruità successiva, per gli altri incarichi dirigenziali, da parte della stessa Commissione; previsione di procedure selettive e comparative per gli incarichi dirigenziali non assegnati attraverso concorso o corso-concorso.

h) Durata degli incarichi dirigenziali: quattro anni, rinnovabili previa partecipazione alla procedura di avviso pubblico; facoltà di rinnovo degli incarichi per ulteriori due anni senza procedura selettiva per una sola volta;

definizione di presupposti oggettivi per la revoca, anche in relazione al mancato raggiungimento degli obiettivi, e della relativa procedura; possibilità di proroga dell’incarico dirigenziale in essere, per il periodo strettamente necessario al completamento delle procedure per il conferimento del nuovo incarico;

i) dirigenti privi di incarico: erogazione del trattamento economico fondamentale e della parte fissa della retribuzione, già maturati e loro collocamento in disponibilità ; disciplina della decadenza dal ruolo unico a seguito di un determinato periodo di collocamento in disponibilità ; loro diritto all’aspettativa senza assegni per assumere incarichi in altre amministrazioni o nel settore privato, con sospensione del periodo di disponibilità.

j) Valutazione dei risultati per il conferimento dei successivi incarichi dirigenziali.

k) Responsabilità dei dirigenti: riordino delle disposizioni legislative relative alle ipotesi di responsabilità dirigenziale, amministrativo-contabile e disciplinare dei dirigenti, esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l’attività gestionale.

k) Retribuzione: (omissis)

m) Disciplina transitoria: confluenza dei dirigenti nel ruolo unico

n) Conferimento degli incarichi a dirigenti del Servizio sanitario nazionale: (omissis).

 

Una prima osservazione si impone: l’attuale struttura ordinamentale della dirigenza pubblica, – malgrado i ripetuti riferimenti nelle relative disposizioni ai canoni dell’efficienza, dell’efficacia, dell’imparzialità, del buon andamento, della “meritocrazia” – non ha risolto minimamente i problemi che affliggono da tempo le pubbliche amministrazioni, a partire dalla dilagante corruzione, accompagnata, o meglio, agevolata dal prevalente disconoscimento del merito soppiantato dal mero favoritismo, dai cronici ritardi, dalla farraginosità delle procedure, dalla scarsa chiarezza delle norme, dalla mancata consapevolezza di essere al servizio della collettività.

Come precisato dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, nel rapporto per il 2014 sul coordinamento della finanza pubblica, nel capitolo riguardante la dirigenza pubblica, “particolari criticità permangono nell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica amministrativa. A fronte di una sostenuta dinamica retributiva, non è mai entrato a regime un idoneo sistema di valutazione della capacità manageriale, presupposto per la corresponsione della cosiddetta retribuzione di risultato. La normativa sul reclutamento e sulla attribuzione degli incarichi, inoltre, non ha garantito il contemperamento delle necessarie esigenze di flessibilità organizzativa con la garanzia di un’effettiva autonomia gestionale dei dirigenti nei confronti degli organi politici. Quanto sopra alla luce degli ampi margini di discrezionalità tutt’ora esistenti per la riconferma del dirigente o l’attribuzione di un incarico di livello superiore”.

Di conseguenza una profonda riforma dell’attuale assetto era senz’altro auspicabile, ma non certo secondo i criteri adottati nel disegno di legge, nel quale le criticità denunziate sono destinate ad aumentare in modo esponenziale.

A prescindere dalle consuete, vuote, enunciazioni di principio relative all’efficienza et similia , sulle quali non è il caso di soffermarsi, alla luce delle precedenti esperienze, la finalità della riforma governativa è più che evidente: accentuare la precarietà dei dirigenti, estendere la discrezionalità sino ai limiti dell’arbitrio – tanto è vero che non è previsto neppure l’obbligo della motivazione per le scelte effettuate – del potere politico, di cui le “Commissioni” costituiscono un’appendice, riversare ogni responsabilità gestoria sui dirigenti, fermo restando che l’eventuale mancata, acquiescenza al volere della politica può comportare per costoro la perdita dello status acquisito.

Per tale disegno di legge l’insegnamento della Corte costituzionale è destinato a rimanere lettera morta: a nulla rileva il principio secondo cui “uno stretto legame fiduciario con il potere politico non consente ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo e imparziale la propria attività gestoria la quale, pur tenendo conto dell’indirizzo politico, è vincolata nell’azione al «servizio esclusivo della Nazione», ai sensi dell’art. 98 Cost.”. Ancora, per i dirigenti privi di incarico, la previsione del collocamento in disponibilità e la decadenza dal ruolo unico, in sostanza, dell’automatico licenziamento, collide totalmente con i principi affermati dalla Corte costituzionale secondo cui un meccanismo di cessazione automatica, ex lege e generalizzata degli incarichi dirigenziali si pone in contrasto con gli artt. 97 e 98 della Costituzione: in particolare, con il principio di buon andamento, con i principi di efficienza e di efficacia, con il principio di imparzialità dell’azione amministrativa, con il principio del giusto procedimento.

Ma anche sotto il profilo della ragionevolezza il disegno di legge presenta vistose carenze. Così, non si comprende con quale logica possa essere spostato arbitrariamente un dirigente da uno all’altro dei tre ruoli introdotti dalla riforma, sulla base dalla previsione della piena mobilità, con la conseguenza, per fare un esempio, che un dirigente ministeriale, esperto nella disciplina delle Amministrazioni centrali, possa essere destinato a dirigere un Comune, senza avere la minima cognizione delle complesse problematiche che riguardano gli enti locali, con intuibili effetti, sul buon andamento dell’azione amm.va, sui quali è superfluo soffermarsi.

Ancora, nella farraginosa normativa sull’accesso alla dirigenza si ravvisano inutili complicazioni procedimentali come, ad esempio, la previsione di un esame, seguito da un ulteriore esame di conferma.

Non mancano casi di assoluta mancanza di chiarezza, come quando si richiama una oscura “mancata differenziazione delle valutazioni dei dirigenti e dei dipendenti quale criterio di valutazione”.

Inoltre, rimane da comprendere se la misteriosa formula della “esclusiva imputabilità ai dirigenti della responsabilità per l’attività gestionale”, oltre a mettere al riparo da qualsiasi responsabilità gestoria i politici – i quali oltre tutto attualmente sono beneficiari dell’aberrante c.d. “esimente politica” prevista dall’art. 1, comma 1-ter, della legge n. 20/1994 – escluda anche la responsabilità degli impiegati e funzionari che abbiano curato direttamente la formazione degli atti amministrativi causativi di responsabilità, incrementando così inammissibili sacche di impunità, peraltro già presenti per i politici.

Sul punto è da ricordare un’ulteriore, innovativa, estensione dell’area dell’impunità, anche al di fuori della c.d. esimente politica, recentemente introdotta a favore di un presidente di Provincia, poi divenuto presidente del Consiglio dei ministri, condannato in primo grado, ma prosciolto in appello sulla base della sola, ipotetica, presunzione che lo stesso potesse essere un “non addetto ai lavori”. Questi, peraltro, aveva indicato nominativamente i destinatari del provvedimento di conferimento dell’incarico, causativo del danno erariale, aveva preso visione dei Curricula dei beneficiari ed aveva sottoscritto il relativo provvedimento. Ciò nonostante, secondo

la Sezione d’appello, avrebbe rivestito carattere di totale esimente per la responsabilità del politico, oltre alla asserita qualifica di “non addetto ai lavori”, anche il mero esito favorevole dell’istruttoria amministrativa e dei pareri espressi al riguardo (v. sent. Corte conti I Sez. app. n. 107/2015/A).

3) Profili di responsabilità amministrativo-contabile per violazione delle disposizioni relative al conferimento degli incarichi dirigenziali nella p.a.

Numerosissime (centinaia) sono le sentenze della Corte dei conti in ordine alla liceità degli incarichi professionali attribuiti soprattutto dagli enti territoriali: per brevità, un’esposizione di sintesi illustrerà soltanto le decisioni di maggior rilievo, limitatamente al corrente anno.

Con sentenza n. 272/2015 la Sez. I app., esaminato l’appello relativo alla nomina del direttore generale presso un ente locale, pur rilevando che al momento la normativa consentiva tale nomina, poiché la nuova legge finanziaria (legge n. 191/2009) che la inibiva non era stata ancora pubblicata, ha ritenuto che, in ogni caso, un buon amministratore, che agisca secondo le regole del buon padre di famiglia, abbia il dovere di prendere in considerazione ciò che il legislatore sta approntando ai fini di una più accorta gestione amministrativa, attraverso misure organizzative e di contenimento della spesa, specie tenuto conto che si trattava di aspettare un solo giorno per avere la certezza del regime nel quale si sarebbe andati ad operare. E’ stata quindi statuita la condanna dei responsabili, anche perché la stipula del contratto era avvenuta dopo l’entrata in vigore della nuova normativa.

Con sentenza n. 48/2015 la Sez. Lombardia, premesso che la fattispecie in esame rientrava all’ambito di applicazione del comma 1 dell’art. 110 TUEL, ha rilevato il profilo di illegittimità derivante dal conferimento diretto dell’incarico ad personam, sulla base di una valutazione personale ampiamente discrezionale, senza che fossero preventivamente fissati i criteri per la selezione e la valutazione dei  curricula  dei potenziali aspiranti né adottate idonee misure di pubblicità. Secondo la Sezione, anche a voler seguire l’impostazione difensiva, secondo cui l’avvenuto conferimento troverebbe disciplina nell’art. 110, comma 2, TUEL, altri profili di illegittimità si evidenzierebbero, in particolare l’assenza di professionalità analoghe all’interno dell’ente, requisito richiesto in modo cogente dal richiamato comma 2, tenuto conto che nell’organico dell’ente vi era un funzionario cat. D 3, munito di laurea che quelle funzioni aveva già ricoperto per diversi anni. Comunque, entrambe le ipotesi disciplinate ai commi 1 e 2 dell’art. 110 TUEL prevedono il rispetto dei requisiti richiesti “dalla qualifica da ricoprire” e, nella fattispecie, l’incarico per l’assunzione di un funzionario (categoria D3), in conformità al CCNL enti locali, richiedeva il diploma di laurea, requisito non posseduto dall’interessato.

Con sent. n. 306/2015 la Sezione Campania ha individuato un danno erariale nell’ammontare complessivo della remunerazione per un incarico dirigenziale conferito in violazione delle norme di contenimento delle spese per il personale. Infatti, il Comune non aveva rispettato gli obiettivi del patto di stabilità per le annualità 2005 e 2007, con ciò risultando carente  ab initio uno dei presupposti indicati nella legge finanziaria del 2008 per essere ammessi a deroghe sull’obbligo di riduzione delle spese per il personale, ovverosia l’assenza di violazioni del patto medesimo nel triennio precedente. Riguardo alla quantificazione del danno, la Sezione ha statuito che non poteva applicarsi il principio della “compensatio lucri cum damno”. in quanto, se un dato organo non poteva essere istituito, gli oneri finanziari conseguenti sono  contra legem , e costituiscono integralmente danno erariale, restando preclusa qualsivoglia operazione compensativa. Altra voce di danno ha riguardato il conferimento al segretario comunale dell’incarico di direttore generale dell’ente, ritenuto illegittimo in quanto collocato in un contesto finanziario dell’ente locale caratterizzato da un grave disallineamento del livello di spesa per il personale ed inoltre ingiustificato non essendo comprovati motivi di specifica necessità e urgenza in un comune di modeste dimensioni. Con sent. n. 31/2015 la Sez. Abruzzo ha ritenuto che non fossero ravvisabili ex ante i peculiari motivi necessari per la nomina a direttore generale in un comune di appena 1.900 abitanti, non evidenziandosi specifiche, eccezionali ed oggettive problematiche, con l’effetto che il conferimento dell’incarico si risolvesse nella attribuzione di un mero incremento salariale al segretario.

Con sent. n. 141/2015 la Sez. Lazio ha esaminato il caso di un incarico conferito per la collaborazione coordinata e continuativa con uffici di diretta collaborazione del ministro (art. 2, comma 3, d.P.R. n.198/2008) rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 ed ha osservato che, per accertare la sussistenza dell’effettiva necessità di procedere al reclutamento di un soggetto esterno per l’espletamento di compiti all’interno di tali uffici, occorre tener conto delle esigenze di attività del tutto peculiari che si caratterizzano per un contenuto particolarmente discrezionale.

Con sent. n. 3/2015 la Sez. Emilia-Romagna ha ricordato che l’art. 108, primo comma, T.U.E.L. riconosce la possibilità, nei comuni con popolazione superiore a 15.000 unità, da parte del sindaco di nominare il direttore generale scegliendolo al di fuori del personale dei ruoli dell’ente locale, anche con contratto a tempo determinato. I requisiti per essere ammessi a posizioni dirigenziali nel pubblico impiego, all’epoca dei fatti, erano formulati dal combinato disposto degli artt. 19 e 28 d.l.vo n. 165/2001 (nell’enunciato antecedente al DPR n. 70/2013). Tra questi vi erano il possesso del titolo di studio della laurea e aver prestato periodo minimo di servizio. Questi requisiti valevano anche per la dirigenza degli enti locali. Va quindi escluso che si possa invocare un principio di fiduciarietà per la designazione del c.d. “city manager” onde giustificare la scelta di un soggetto non in possesso del requisito della laurea.

Infine, degna di nota è la sentenza n. 7495/2015 con la quale la Cass. Sez. Lavoro ha ricordato che gli atti di conferimento di incarichi dirigenziali rivestono la natura di determinazioni negoziali assunte dall’amministrazione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro e che le norme contenute nell’art. 19, comma 1, d. l.vo n. 165/2001 vincolano l’amministrazione datrice di lavoro al rispetto dei criteri di massima in esse indicati, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cc, applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, per cui la p.a. è obbligata a formulare valutazioni anche comparative, ad adottare adeguate forme di partecipazione ai processi decisionali e ad esternare le ragioni giustificatrici delle scelte, sicché, ove l’amministrazione non abbia fornito nessun elemento al riguardo, è configurabile inadempimento contrattuale, suscettibile di produrre danno risarcibile.

Da ultimo, si rammenta che l’art. 110, comma 1, del d.lgs. n. 267/2000, in tema di personale delle Regioni e degli Enti locali, è stato modificato dall’art. 11, comma 1, lett. a), del d.l. n. 90/2014, convertito nella legge n. 114/2014, secondo cui  “lo statuto può prevedere che la copertura dei posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali o di alta specializzazione, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato. Per i posti di qualifica dirigenziale, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi definisce la quota degli stessi attribuibile mediante contratti a tempo determinato, comunque in misura non superiore al 30 per cento dei posti istituiti nella dotazione organica della medesima qualifica e, comunque, per almeno una unità. Fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire, gli incarichi a contratto di cui al presente comma sono conferiti previa selezione pubblica volta ad accertare, in capo ai soggetti interessati, il possesso di comprovata esperienza pluriennale e specifica professionalità nelle materie oggetto dell’incarico”.

Si è così notevolmente estesa (in misura percentuale che dal 5 è passata al 30% dei posti previsti in organico) la possibilità di attribuire incarichi dirigenziali senza concorso, ritenendosi sufficiente una semplice, e ben più sbrigativa, “selezione pubblica”, con quali effetti per le garanzie di imparzialità è superfluo soffermarsi.

Roma 5 giugno 2015.

 

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