20/04/2023 – Diritto di accesso dei consiglieri comunali ex art.43 del d.lgs. n.267/2000

Territorio e autonomie locali 17 Aprile 2023

Categoria  05.02.06 Diritto di accesso

Sintesi/Massima 

La regolamentazione del diritto di accesso dei consiglieri è da ritenersi legittima qualora sia coerente con le disposizioni delle norme vigenti e con i criteri interpretativi enucleati dai principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa più recente.

Testo 

(Parere n.11288 del 13/04/2023) Con nota del 24.03.2023 una Prefettura, per aderire ad analoga richiesta di un sindaco, sottopone al parere di questo Dipartimento la possibilità che il comune adotti un regolamento con il quale “limiti entro numeri, modalità e costi accettabili le richieste di accesso, informazioni, interrogazioni, ecc. da parte di tutti i Consiglieri Comunali …”. Ciò in relazione alla circostanza che il Comune lamenta l’eccessivo utilizzo degli strumenti di sindacato ispettivo (interpellanze, interrogazioni, mozioni, richieste di accesso agli atti) e di richieste di convocazione del consiglio comunale da parte dei consiglieri comunali, che provocherebbe disagi e disservizi. Pertanto, l’ente ha evidenziato la necessità di adottare un regolamento che disciplini in modo più puntuale il diritto di accesso dei consiglieri al fine, da un lato, di salvaguardare il diritto di informazione degli stessi e, dall’altro, di evitare che l’esercizio di tale diritto possa rallentare l’attività ordinaria svolta dagli uffici dell’ente locale. Al riguardo, si premette che il Consiglio di Stato, sez.V, con sentenza n.8667 del 10/10/2022 ha ricordato che “è principio pacifico quello per cui l’accesso agli atti, ex art.43 d.lgs. n.267 del 2000, da parte dei consiglieri comunali costituisce strumento di controllo e verifica del comportamento dell’amministrazione, in funzione di tutela di interessi non individuali ma generali, ed è pertanto espressione del principio democratico dell’autonomia locale”. Tuttavia, come evidenziato anche dalla Prefettura e come affermato, tra le tante, anche dalla sentenza n.393/2020 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, sez.I, la giurisprudenza ha anche avuto modo di precisare che “il riconoscimento da parte dell’articolo 43 del d.lgs. 18 agosto 2000 n.267 (Testo Unico sugli Enti Locali) di una particolare forma di accesso costituita dall’accesso del consigliere comunale per l’esercizio del mandato di cui è attributario, non può portare allo stravolgimento dei principi generali in materia di accesso ai documenti e non può comportare che, attraverso uno strumento dettato dal legislatore per il corretto svolgimento dei rapporti cittadino-pubblica amministrazione, il primo, servendosi del baluardo del mandato politico, ponga in essere strategie ostruzionistiche o di paralisi dell’attività amministrativa con istanze che a causa della loro continuità e numerosità determinino un aggravio notevole del lavoro negli uffici ai quali sono rivolte e determinino un sindacato generale sull’attività dell’amministrazione oramai vietato dall’art.24, comma 3, della L. n.241 del 1990” (… sentenza Consiglio di Stato, sez.IV, 12 febbraio 2013, n.846), ovvero ha sottolineato che sono da ritenere non coerenti con il mandato dei consiglieri comunali richieste di accesso che, per il numero degli atti richiesti e per l’ampiezza della loro formulazione, si traducano in un eccessivo e minuzioso controllo dei singoli atti in possesso degli Uffici, in quanto siffatte richieste “… si configurano come forme di controllo specifico, non già inerente alle funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo” demandate dalla legge ai consigli comunali (cfr. Consiglio di Stato, sez.V, 28 novembre 2006, n.6960). L’azione amministrativa deve ispirarsi al principio di economicità e pertanto, nell’esaminare le domande di accesso, l’amministrazione deve tener conto della necessità di arrecare il minor aggravio possibile, sia organizzativo che economico, alla propria struttura. Come evidenziato sempre anche dalla Prefettura, alla luce tra l’altro della citata sentenza del Consiglio di Stato, sez.V, 11 marzo 2021, n.2089, “il diritto di accesso del consigliere comunale è sottoposto alla regola del ragionevole bilanciamento propria dei rapporti tra diritti fondamentali. L’Alto Consesso ha evidenziato che, se da un lato è vero che il diritto di accesso di un consigliere comunale è più ampio, ai sensi dell’art.43, comma 2, del d.lgs. n.267/2000, per il proprio mandato politico-amministrativo, rispetto all’accesso agli atti amministrativi previsto dall’art.7 della legge n.241/1990, “è altrettanto vero che tale estensione non implica che esso possa sempre e comunque esercitarsi con pregiudizio di altri interessi riconosciuti dall’ordinamento meritevoli di tutela, e dunque possa sottrarsi al necessario bilanciamento con quest’ultimi”. Questo non solo perché ad esso si contrappongono diritti egualmente tutelati dall’ordinamento, ma anche per il limite funzionale intrinseco cui il diritto d’accesso, espresso dall’art.43, comma 2, d.lgs. n.267 del 2000, è sottoposto con il richiamo alle notizie ed alle informazioni che possono essere richieste all’ente locale se si rivelino utili all’espletamento del proprio mandato. Tale orientamento giurisprudenziale è stato ribadito anche dal TAR Veneto, sez.I, con sentenza 5 maggio 2021, n.604. Ciò posto, ricordando che le interrogazioni e gli altri istituti di sindacato ispettivo trovano una specifica previsione nel comma 3 del citato articolo 43 del d.lgs. n.267/2000, che rinvia ad apposita disciplina statutaria e regolamentare, appare legittima una regolamentazione della materia relativa all’accesso ed alle informazioni come previste dal comma 2 del citato articolo 43. La decisione di regolamentare il diritto di accesso dei consiglieri in modo articolato è da ritenersi legittima qualora tale regolamentazione sia coerente con le disposizioni delle norme soprarichiamate e con i criteri interpretativi enucleati dai principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa più recente. Sul punto si segnalala quanto espresso dal TAR Lazio, sez.I, che con sentenza del 3 febbraio 2023 n.49 ha ribadito che “il diritto di accesso come concepito dal legislatore deve incontrare comunque un equilibrato rapporto in grado di garantire anche l’efficacia e l’efficienza dell’operato dell’amministrazione locale; tale diritto, quindi, deve essere verificato al fine di un suo esercizio che sia in concreto efficace sia per il consigliere sia per l’amministrazione comunale e non sia meramente emulativo …”. La pronuncia sopra richiamata ribadisce alcuni principi importanti da rispettare: da un lato il consigliere non può presentare istanze di accesso generalizzato ed indiscriminato a tutti i dati di un determinato settore dell’amministrazione in quanto tale richiesta sarebbe sproporzionata rispetto alle esigenze conoscitive sottese alla “ratio” della norma di cui all’art.43 del TUOEL, nei limiti suddetti, e dall’altro il comune non può opporre alcun limite fondato sul richiamo alla protezione dei dati personali essendo tenuto il consigliere comunale al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge, per cui sarà quest’ultimo a mantenere inaccessibili eventuali dati sensibili, rispondendone personalmente della diffusione illecita. I principi sopra citati (bilanciamento fra le posizioni contrapposte, protezione dei dati personali) sono stati richiamati nella recente pronuncia del Consiglio di Stato, sez.V, del 1° marzo 2023, n.2189, con la quale è stato ribadito che il diritto di accesso “riconosciuto ai consiglieri comunali è strettamente funzionale all’esercizio delle loro funzioni, alla verifica ed al controllo del comportamento degli organi istituzionali decisionali dell’ente locale (Cons. Stato, sez.IV, 21 agosto 2006, n.4855) ai fini della tutela degli interessi pubblici (piuttosto che di quelli privati e personali) e si configura come peculiare espressione del principio democratico dell’autonomia locale e della rappresentanza esponenziale della collettività (Cons. Stato, sez.V, 8 settembre 1994, n.976)”. L’Alto Consesso ha, inoltre, precisato che sul consigliere comunale non può gravare alcun particolare onere di motivare le proprie richieste di accesso, atteso che, diversamente opinando, sarebbe introdotta una sorta di controllo dell’ente, attraverso i propri uffici, sull’esercizio delle funzioni del consigliere comunale (Cons. Stato, sez.V, 22 febbraio 2007, n.929; 9 dicembre 2004, n.7900). L’ente, quindi, nel regolamentare le istanze di accesso, sebbene possa porre in essere scelte organizzative discrezionali, dovrà tenere presente gli orientamenti giurisprudenziali che il giudice amministrativo ha espresso in materia.

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