tratto da mauriziolucca.com

Gli avvocati (non) possono lavorare gratis nella P.A.: equo compenso inderogabile

La prima sez. del T.A.R. Campania, Napoli, con l’ordinanza pubblicata il 25 ottobre 2018, n. 1541 censura la condotta di un’Amministrazione locale che pretenderebbe di ricevere una prestazione legale a titolo gratuito.
Il ricorso, previa sospensione dell’efficacia, è teso all’annullamento dell’Avviso di costituzione di un elenco di Professionisti per il conferimento di incarichi di difesa legale del Comune dove la determinazione del compenso non allineava «le tariffe professionali e comunque in contrasto con il principio di equo compenso, applicabile anche alla amministrazioni pubbliche, in particolar modo per il contenzioso di valore fino ad € 500,00, per cui l’onorario è pari a zero».
Giova osservare che le Linee guida n. 12 «Affidamento dei servizi legali», approvate dal Consiglio dell’ANAC con delibera n. 907 del 24 ottobre 2018, nell’indicare le procedure da seguire per l’affidamento dei servizi legali precisa che, con riferimento al criterio di «Economicità» (già presente nell’art. 1 della legge n. 241/1990, e che governa l’azione amministrativa), si impone che «prima dell’affidamento dell’incarico» le PA «sono tenute ad accertare la congruità e l’equità del compenso, nel rispetto dei parametri stabiliti da ultimo con decreto ministeriale 8 marzo 2018, n.37».
Più puntualmente, «in considerazione della natura dei servizi in questione e dell’importanza della qualità delle relative prestazioni, il risparmio di spesa non è il criterio di guida nella scelta che deve compiere l’amministrazione».
Se poi si considera la lettura della Relazione AIR, alle citate Linee guida, si legge che «per quanto concerne l’economicità, di verificare la congruità del corrispettivo e l’equità del compenso, anche tenuto conto delle disposizioni previste dal d.m. 8 marzo 2018, n. 37 (equo compenso)».
Ora, come tutto questo possa conciliarsi con una prestazione da liquidare “a gratis” è una questione ancora tutta da chiarire, e che richiama altri precedenti dove, anche allora, si richiedeva una prestazione ad elevato contenuto tecnico a titolo gratuito, «un fatto estremamente grave, che non viola soltanto la dignità dei professionisti ed il loro sacrosanto diritto a vedere adeguatamente remunerata ogni prestazione professionale, così come sancito da Costituzione e Codice Civile» (non volendo aggiungere altro o a tacer d’altro).
Il Tribunale, senza indugiare oltre sull’effetto immediato e lesivo, afferma che – in ogni caso – le esigenze di riequilibrio finanziario «debbano armonizzarsi con altri principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui quelli di ragionevolezza e di proporzionalità nonchè, nella fattispecie, quello di equo compenso per le prestazioni professionali».
In termini diversi, sembra di comprendere che a voler spendere meno e ridurre le spese pubbliche, fatto di per sé lodevole, questo non possa comunque compromettere i criteri di sana gestione amministrativa, richiedendo una prestazione senza controprestazione, in evidente contraddizione con i principi di liceità.
Ciò detto, sospende il provvedimento, invitando l’Amministrazione a riformulare l’avviso, evitando di imporre condizioni economiche inadeguate, non corrispondenti alla qualità della prestazione richiesta.
La vicenda, come negli altri casi (Minimi tariffari o lavoro gratis), impone che una prestazione professionale va “equamente” retribuita, senza utilizzare quale criterio selettivo (non trattabile perché imposto) l’esecuzione di una prestazione senza compenso, ovvero stabilire (altri casi) rimborsi spese o forme indirette di compensazione, che non depongono favorevolmente sulla trasparenza amministrativa, visto che potrebbe sorgere il rischio o il sospetto che l’inserimento di una clausola di tale natura possa pregiudicare la platea dei concorrenti, restringendo da una parte, la partecipazione di tutti coloro che “esigono” il diritto al pagamento della prestazione professionale, dall’altra, minare la qualità della prestazione in funzione dell’esiguità del compenso, recuperando il minor prezzo imposto sulle altre prestazioni remunerate.
Va peraltro annotato che sussiste (da parte del giudice) il divieto di liquidazione dei compensi sotto i livelli minimi previsti dai parametri del DM n. 55/2014 (modificato dal DM 8 marzo 2018, n. 37), confermando che il compenso degli avvocati deve essere equo (cfr. Cass. Civ., sez. II, 31 agosto 2018, n. 21487, nonché l’art. 19 quaterdecies («Introduzione dell’articolo 13 bis della legge 31 dicembre 2012, n.247, in materia di equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati») della Legge n. 172/2017, di conversione in legge, con modificazioni, del Decreto – Legge 16 ottobre 2017, n. 148).
Si tratta, alla luce delle indicazioni del Giudice di prime cure e delle Linee guida ANAC, di una clausola illegittima, non coerente con il tessuto normativo e i principi che reggono l’azione amministrativa (ex art. 97 Cost., e art. 1 della Legge n. 241/1990), e quelli presenti nel Codice dei Contratti pubblici (onerosità), senza citare i vari canoni costituzionali compromessi.
Considerazioni esterne, ex art. 21 Cost. «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Da questi fatti, l’opinione pubblica esce turbata. Più che una vicenda di natura amministrativa, di una corretta determinazione del rapporto sinallagmatico, di un sano confronto concorrenziale tra operatori economici, sembra di assistere ad una narrazione.
Altri, più attenti, consigliano in un sistema più catartico una “rappresentazione” (c.d. storytelling) , dove alcuni possono pensare che una persona sia disposta a tutto, anche a lavorare gratis pur di lavorare, dimenticando che in questa proiezione o percezione di valori si va a perdere non solo la dignità umana ma anche l’onere e l’onore (ex art. 54 Cost.).
Dove non è vergogna, manca virtù e onore», Proverbio)

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