Il disegno è “un altro” ma sempre lo stesso: smantellare quello che resta dello stato sociale. I territori sono stati privati in questi anni di tutta quella rete di nervature istituzionali che tenevano insieme il tessuto sociale. Hanno iniziato con le comunità montane; poi hanno smantellato le province e parallelamente accentrato i tribunali; soppresso o ridotto al lumicino presidi ospedalieri…. le scuole, le poste…. ora si attacca l’ultima istituzione. Dapprima ci hanno fiaccato con misure assurde. Possibile che a Roma non sappiano che un comune di 3.000 abitanti non può essere governato, salvo inezie, con le stesse regole della capitale? Ci hanno torturato e seviziato… Hanno provato con l’eutanasia lenta delle gestioni associate obbligatorie, alternando minacce e blandizie. Da ultimo stanno tentando i sindaci con la promessa di un contributo straordinario per le fusioni la cui entità è incerta (per dieci anni una cifra Y che però ogni anno potrà cambiare in funzione di quanto lo Stato, in piena autonomia, deciderà di mettere a bilancio ed in competizione con X soggetti che decideranno di percorrere lo stesso iter). Ora il gioco si fa più pesante. In questa corsa allo smantellamento dello Stato sociale, di cui le istituzioni periferiche erano un presidio ed un segno simbolico, non c’è freno e meno che mai termine. Siamo in overdose. Ogni taglio chiama ulteriore taglio. Sta a noi, come cittadini prima che come operatori, prendere coscienza che così non va. E non va non solo per quanti (10.600.000 persone vivono in comuni under 5.000 abitanti) risiedono nei comuni “minori”. Non va per tutti. Perchè un Paese, un sistema è in equilibrio se la crescita è armonicamente distribuita tra le classi sociali e tra i territori.
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Solo una subcultura da talk show può pensare che tutto si risolva con le fusioni e con soglie demografiche fissate rigorosamente con le ultime cifre a 0.
Cosa distingue un comune di 999 abitanti da uno con 1001… o uno da 2999 da uno con 3001 abitanti?
Solo un approccio, che definire superficiale è eufemistico, può pensare di tirare la riga su storie, tradizioni ed assetti territoriali che ci sono consegnati dalla Storia.
Quando studiare era un piacere ricordo le lunghe dissertazioni sul verbo “riconoscere” che sta scolpito nell’art. 5 della Costituzione, a significare che le autonomie preesistono allo Stato che, lungi dal “costituirle”, appunto le riconosce…..
Ma questi sono insegnamenti di un tempo in cui valeva la riflessione e non gli spot e le parole scritte nelle norme venivano soppesate e non pronunciate a vanvera.
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