Print Friendly, PDF & Email

Affidamenti di incarichi esterni illegittimi comportano sempre danno erariale

di Federico Gavioli – Dottore commercialista, revisore legale dei conti e giornalista pubblicista

 

La Corte dei Conti, sezione d’appello per la giurisdizione per la Sicilia, con la sentenza n. 112, del 19 settembre 2017, ha affermato che gli incarichi esterni affidati in modo illegittimo anche se sono necessari per l’ente che li conferisce, comportano sempre danno erariale.

Il fatto

Con atto di citazione dell’aprile 2015, la Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione siciliana citava in giudizio l’ex Sindaco di un Comune e il vice-Sindaco, chiedendone la condanna al pagamento, in favore della predetta amministrazione, rispettivamente delle somme di quasi 90mila euro e di oltre 85mila euro, oltre rivalutazione, interessi e spese del procedimento, a titolo di danno erariale conseguente all’indebito conferimento di alcuni incarichi di collaborazione, nonché all’indebita autorizzazione, di uno dei consulenti , allo svolgimento di missioni in località nazionali e estere.

Nell’atto di citazione, il PM evidenziava che il Prefetto, con nota del febbraio 2012, aveva trasmesso la relazione, redatta dalla Commissione d’indagine presso il Comune, con la quale venivano segnalate illegittimità in una pluralità di atti di conferimento di incarichi esterni ad esperti, conferiti dal sindaco e dal vice-sindaco, negli anni tra il 2008 e il 2011.

La Procura contestava ai predetti una presunta responsabilità erariale. Il PM procedeva, pertanto, alla notifica dell’atto di citazione confermando le contestazioni formulate, poiché riteneva che, nel conferimento degli incarichi e nell’autorizzazione anche di missioni, il sindaco e il vice-sindaco avessero scientemente violato i loro doveri di ufficio, cagionando al Comune degli esborsi, non dovuti e non utili, in una fase storica in cui l’ordinamento giuridico richiedeva a tutta la pubblica amministrazione, compresi gli enti locali, di orientare la loro azione alla massima economicità.

Nell’atto di citazione, il PM limitava la richiesta risarcitoria alle sole ipotesi in cui i pagamenti dei compensi erano avvenuti nel quinquennio precedente la notifica dell’invito a dedurre e, dopo aver delineato il quadro normativo, esponeva che il ricorso ai c.d. esperti del sindaco doveva ritenersi consentito solo:

a) in assenza di una struttura organizzativa idonea allo svolgimento della funzione ovvero in caso di un’oggettiva carenza d’organico, da accertarsi in concreto;

b) al fine di svolgere compiti che richiedessero conoscenze eccedenti le normali competenze del personale;

c) ferma restando l’indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per lo svolgimento dell’incarico;

d) improntando la durata dell’incarico alla stretta transitorietà.

L’analisi dei giudici contabili siciliani

La Corte dei Conti della Sicilia rileva che, la difesa di uno degli imputati ha eccepito che, nella fattispecie, vi sarebbero state responsabilità di altri soggetti (i funzionari responsabili, esattamente e analiticamente individuati, per ciascun incarico, nella relazione a firma del Vice-Prefetto) che, in assenza di un regolare contratto scritto tra il consulente e il Comune, non avrebbero potuto procedere, né all’impegno di spesa (non essendovi alcuna “…obbligazione giuridicamente perfezionata…”), né tanto meno alla liquidazione di compensi in favore di quest’ultimo; tale affermazione difensiva è evidentemente una eccezione in senso stretto o propria in quanto il fatto integratore dell’eccezione (l’inerzia dei funzionari che, titolari del potere di spesa e del relativo controllo, avevano sottoscritto gli atti di liquidazione ed i relativi mandati di pagamento) corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare; pertanto, non essendo stata proposta in primo grado, non può essere proposta, per la prima volta, in grado di appello.

I giudici contabili entrando nel merito delle contestazioni osservano che il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni rappresenta un’opzione operativa percorribile solo in presenza di speciali condizioni e, segnatamente, laddove sussistano (e vengano conseguentemente esternate nella motivazione del pertinente provvedimento di conferimento) i seguenti presupposti: assenza di una apposita struttura organizzativa ovvero una carenza organica che impedisca o renda oggettivamente difficoltoso l’esercizio di una determinata funzione, da accertare per mezzo di una reale ricognizione; complessità dei problemi da risolvere che richiedono conoscenze ed esperienze eccedenti le normali competenze del personale; indicazione specifica dei contenuti e dei criteri per il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni; indicazione della durata dell’incarico; proporzione fra il compenso corrisposto all’incaricato e l’utilità conseguita dall’Amministrazione; detti presupposti sono cumulativi e, soprattutto, devono essere oggettivamente sussistenti.

Nella vicenda in esame, come chiaramente rappresentato dal Giudice di primo grado, di cui la Corte condivide le motivazioni, il conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni è avvenuto senza rispettare le predette condizioni di legge e, infatti, dalla lettura dei provvedimenti attributivi di funzioni a soggetti esterni, a firma del vice-Sindaco, emerge chiaramente che:

– la genericità con la quale è stato definito l’oggetto degli incarichi e la carenza di motivazione dei provvedimenti di proroga, non soltanto non consente di valutare la riconducibilità degli incarichi stesso alle funzioni sindacali, ma preclude anche l’individuazione dell’utilità attesa;

– il limite massimo di incarichi conferibili, ai sensi dell’art. 14L.R. n. 7 del 1992, che per il Comune accertato era pari a 2 (tenuto conto che la popolazione ivi residente non superava le 30.000 unità), mentre, nella fattispecie, tale limite è stato evidentemente ampiamente violato;

– non è stato rispettato il limite massimo del compenso mensile indicato dall’art. 14L.R. n. 7 del 1992, ove è previsto che “….Agli esperti è corrisposto un compenso pari a quello globale, previsto per i dipendenti in possesso della seconda qualifica dirigenziale…” che era pari ad € 1.566,26 poiché i compensi riconosciuti ai consulenti avevano oscillato tra i 1.800,00 e i 2.448,00 euro mensili;

– non risulta presentata, da parte del Sindaco, e nemmeno dal Vice Sindaco in funzione di supplenza, la relazione sull’attività svolta al consiglio comunale, né è stata trovata altra documentazione idonea a compendiare i risultati dell’attività svolta dai consulenti; sul punto si osserva che, per gli incarichi conferiti dalla odierna appellante, appare logico che detta relazione avrebbe dovuto essere presentata da quest’ultima;

– manca una effettiva e concreta ricognizione delle risorse interne al fine di verificare che le medesime attività non potessero essere svolte utilizzando i dipendenti del Comune;

– in violazione di quanto previsto dall’art. 3, della legge finanziaria per il 2008 (L. n. 244 del 2007), gli incarichi conferiti non erano stati inseriti nella programmazione annuale del Consiglio comunale, e non era stato rispettato il tetto di spesa, fissato dallo stesso organo, in complessivi euro 8.800,00, con delibera n. 38 del 1° agosto 2008.

Tutto ciò premesso, non appare superfluo evidenziare che, secondo un orientamento giurisprudenziale pressoché pacifico , i profili di illegittimità degli atti costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che, all’adozione di quegli atti, abbiano concorso; in altri termini, la non conformità dell’azione amministrativa alle puntuali prescrizioni che ne regolano lo svolgimento pur non essendo idonea a generare, di per sé, una responsabilità amministrativa in capo all’agente, può assumere rilevanza allorché quegli atti integrino una condotta almeno gravemente colposa, foriera di un nocumento economico per l’Amministrazione.

Tale principio, certamente valevole come enunciazione di sintesi, deve comunque subire un’operazione di attualizzazione e specificazione, per tener conto dei peculiari connotati dell’agire pubblico che, di volta in volta, viene portato all’attenzione del Giudice contabile.

Ebbene, tale operazione di taratura del principio porta la Corte dei Conti a ritenere che le plurime e qualitativamente significative devianze dalle vincolanti prescrizioni di riferimento, in precedenza specificate, integrino fatti dannosi per l’erario dell’Ente.

A tale conclusione, induce la considerazione secondo la quale gli stringenti limiti al conferimento di funzioni dell’Ente a soggetti esterni sono posti a garanzia del preminente interesse alla corretta ed oculata allocazione delle risorse, nonché a presidio degli equilibri di finanza pubblica; la preservazione di tali valori ha luogo, oltre che attraverso la fissazione di tetti quantitativi alla spesa, anche mediante l’imposizione di vincoli di carattere modale che definiscono condizioni e procedure che legittimano l’esborso; in tale peculiare contesto, per quanto di rilievo nel presente giudizio, il rispetto delle limitazioni di carattere modale è presupposto di legittimità della spesa sostenuta; le lacune procedurali, rilevabili per il tramite della motivazione dei provvedimenti oggetto del presente giudizio, quindi, non sono meri vizi inficianti l’azione amministrativa con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità dei provvedimenti stessi, ma si riverberano anche sugli effetti economici prodotti da questi, rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa; tale ricostruzione è in linea con un orientamento giurisprudenziale consolidato sia in primo grado

Le conclusioni

L’illegittimità dei conferimenti di funzioni dell’ente a soggetti esterni costituisce, quindi, nella fattispecie, il presupposto antigiuridico che ha cagionato un danno erariale per l’Ente (pari alle somme che sono state pagate a soggetti esterni all’Ente stesso).

Corte dei Conti-Sicilia, Sez. Appello, sentenza 19 settembre 2017, n. 112

Torna in alto