E’ falso in atto pubblico anche quando la falsità non ha alcun rilievo giuridico, ma può comunque ingannare chi legge
Con la conseguenza che l’innocuità deve essere valutata non con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto, ma avendo riguardo all’idoneità dello stesso ad ingannare comunque la fede e l’affidamento che i terzi possono fare su quanto da esso risulti, non solo con riferimento ai suo contenuto intrinseco ma anche alla sua provenienza, potendo difficilmente rivelarsi irrilevante sotto il profilo documentale non solo la circostanza che un documento pubblico – nel caso di specie il verbale di un pubblico ufficiale- sia stato posto in essere da un soggetto in luogo di un altro, sia pure con la medesima qualifica, ma anche quella secondo cui l’atto risulti proveniente anche da soggetti ulteriori che in realtà non hanno partecipato all’atto, risultando tradita in entrambi i casi la stessa natura pubblica dell’atto medesimo (detta conclusione è ancora più chiara se si rammenta che, nella esegesi delle disposizioni che puniscono i falsi, è stato sempre usato come criterio discretivo il fatto che la condotta incriminata abbia o meno messo in pericolo il bene della pubblica fede; e che ciò che rileva ed è sufficiente è il dolo generico e giammai potrebbe assumere rilevanza il motivo della falsità; di talchè, insindacabile il motivo della falsa attestazione, ciò che rileva non può che essere la consapevole e volontaria falsità dell’attestazione medesima ).
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